Su “Le Baccanti” di Euripide a Siracusa

Arte e poesia
a cura di Luigia Sorrentino

MUSICHE E CORO NELLE BACCANTI DI EURIPIDE
di Alessandra Leone

Correva l’anno 1968 quando Pier Paolo Pasolini presentò a Venezia il film “Teorema”, prodotto da Franco Rossellini e Mauro Bolognini e tratto dall’omonimo romanzo pasoliniano. Protagonista dell’opera è una famiglia borghese milanese, che sarà scossa dall’arrivo di un giovane inquietante e misterioso. Tutti i membri della famiglia saranno stregati dalla presenza incantatrice del loro ospite senza nome, che riuscirà a sedurre ciascuno; tutti perderanno il senso della propria dignità sociale e persino della propria identità sessuale. Fonte d’ispirazione del poeta, giornalista, regista e scrittore nato a Bologna sarà proprio la tragedia greca per eccellenza: le Baccanti di Euripide.

In effetti “Teorema” è solo “uno dei molti e talvolta imprevedibili approdi delle Baccanti nel grande mare della tradizione occidentale”(1), come ha fatto notare Giorgio Ieranò, traduttore di tale tragedia nel XLVIII ciclo di rappresentazioni classiche al teatro greco di Siracusa. Ieranò ha svolto un’operazione di grandissima qualità teatrale, esaltando e valorizzando il senso drammaturgico dell’opera. In effetti, come ha confermato il regista dello spettacolo Antonio Calenda, “nella sua semplicità e immediata chiarezza, Ieranò è riuscito a restituire il testo ad una comprensione più ampia, senza tradirne i vari livelli sovrapposti di senso”(2).
Le Baccanti furono scritte da Euripide tra il 407 e 406 a. C. , negli ultimi anni della sua vita, mentre si trovava alla corte del re di Macedonia Archelao, e presentate postume ad Atene a cura del figlio del tragediografo ateniese. Sono, tra tutte le tragedie greche, le più complesse da mettere in scena, anche per il fatto che il protagonista è Dioniso, un dio che non si comporta da dio, il dio del teatro e dei travestimenti, in assoluto il personaggio più complesso e sfuggente. Una divinità tracia dell’ebbrezza, non volgare, né forse, in origine, connessa col vino, ma autogena e trascendente, seguita sempre da uno stuolo di Menadi, giovani donne che errano con lui per i monti e i liberi campi, danzando, folleggiando, cacciando fiere e compiendo opere prodigiose. Dioniso appare solitamente buono, ma capace anche di lacerare crudelmente i corpi degli uomini diffidenti verso il suo culto (così come accadrà al re di Tebe Penteo, massacrato brutalmente dalla propria madre Agave, la quale, invece, credeva di avere sgozzato un leoncino). Contraddizioni che si riflettono persino nei termini stessi utilizzati da Euripide nella tragedia, i quali hanno, appunto, ambiguità di senso.

La figura del figlio di Zeus e Semele divenne poi, come ci ricorda Ettore Romagnoli, “ospite abituale delle scene comiche, per trasformarsi, quale ci appare tuttora nelle Rane, in perfetto pulcinella, pacione, ghiotto, furbo, svelto di lingua e vigliacco per l’anima”(3). È da tenere in considerazione, inoltre, che circa quattro anni prima della composizione delle “Baccanti” erano state rappresentate le “Tesmoforiazuse”, una commedia che coinvolgeva direttamente Euripide. L’autore, infatti, è uno dei protagonisti. “Credo che il travestimento di Penteo nelle Baccanti- afferma lo studioso Vincenzo Di Benedetto- presupponga proprio la commedia di Aristofane “Tesmoforizuse”, in cui Euripide dovrà indossare un addobbo femminile per partecipare a un assembramento di donne riunite per ragioni di ritualità; la partecipazione potrebbe essere pericolosa e perciò si rende necessario il travestimento”(4).

Un personaggio, comunque, amato e molto studiato. Non era forse a Dioniso che Nietzsche si ispirava, facendone il suo nume tutelare ed emblema? Le testimonianze più vicine ed affidabili sulla pazzia del filosofo di Rocken, tra cui il suo caro amico Franz Overbeck, parlano di un Nietzsche che danza nudo in preda all’eccitazione dionisiaca, di un filosofo che ha perso ormai la ragione.

Tornando alla rappresentazione delle Baccanti che si è svolta a Siracusa dall’11 maggio al 30 giugno 2012, ruolo altrettanto centrale e fondamentale, accanto a Dioniso, è stato quello del coro, messo in scena stavolta dalla Martha Graham Dance Company, che si può considerare tra le più grandi compagnie di danza del XX secolo. Fin dall’antichità il pubblico vedeva il coro più simile e vicino a sè, ancora più delle figure eroiche degli attori; il dramma era mantenuto in un’unità concentrata di azione dalla presenza continua del coro, così come anche dallo spettacolo continuo di movimenti che dovevano rispecchiare qualsiasi cambiamento di situazione o stato d’animo. Esso abbellisce e ammorbidisce la severa linea d’azione (tutta la tragedia è, da cima a fondo, un contrasto tra Dioniso e Penteo); è come “un gran fregio che corre intorno al gruppo centrale del trionfo di Dioniso” (5). Uno stampo assolutamente innovativo e lontano dalla tradizione quello della Martha Graham Dance Company, adeguato alla profondità di una tragedia complessa ed enigmatica come le Baccanti. Scenografici ed efficaci i costumi di Pierpaolo Bisleri, creando per i danzatori abiti che “faranno loro parlare attraverso la coreografia dei loro corpi”(6), come lui stesso ha affermato. Body color carne, sopra i quali verranno poste delle ampie gonne di velluto rosso e nero, che al momento opportuno saranno fatte roteare nell’aria durante i balli e i culti orgiastici, quando cioè le donne devote a Dioniso saranno in trance, letteralmente possedute dal dio. I capelli rasta con le lunghe trecce nere danno allo spettatore un effetto forte e molto intenso, quasi a voler sottolineare quel misto di carne, latte, miele e centinaia di litri di sangue animale (ma non solo).

Dal punto di vista musicale, la tragedia già di per sé presenta grandi effetti: in seno ai riti dionisiaci crebbe e si svolse questo tipo speciale di melodia che dall’Oriente irruppe nella Grecia. Euripide, abile musicista e seguace o almeno ammiratore dell’innovatore Timoteo, dipinto dalla tradizione quasi come un Wagner di quei tempi, “dovè certo trar partito dei mezzi che gli offriva la nuova tecnica. Purtroppo tutta questa parte della sua creazione è irremissibilmente perduta, ma già l’analisi degli schemi metrici ci fa vedere che la cura posta da euripide nel musicare questo lavoro fu straordinaria”(7).

Le musiche, curate da Germano Mazzocchetti, si sposano alla perfezione con gli agili movimenti del coro. Inizialmente, nel Prologo, si sentiranno strumenti poco convenzionali, come gli oud e saz e richiami di conchiglie. In seguito il motivo diventa “ossessivo e crescente progressivamente di intensità, fino a quietarsi, sfinito, con l’ingresso del profeta Tiresia e del vecchio re padre di Semele, Cadmo” (8), come afferma lo stesso Mazzocchetti. “Un ruolo del tutto particolare giocano qui, come altrove, le percussioni e le pelli dei tamburi- continua- che divengono la rievocazione della nascita di Zeus, allorchè, per salvarlo dalla minaccia di Kronos, i Cureti ne coprirono i vagiti inscenando danze di guerra, e accompagnandole con una fragorosa ritmica ottenuta percuotendo con forza gli scudi di cuoio”. In seguito, nel primo stasimo c’è una precisa scansione musicale, mentre il secondo stasimo presenta sonorità più familiari, come archi e fiati. Totalmente staccate appaiono le melodie del terzo e del quinto stasimo, rappresentando un valzer spezzato, come omaggio del regista Calenda alla cultura e musica del 900.

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