Elena Petrassi, una riflessione sulla poesia

Nello scaffale
a cura di Luigia Sorrentino

Una riflessione sulla poesia
di Elena Petrassi

È la materia che sceglie la sua lingua? Sono le cose che scelgono la forma? O è la poesia, segno di un altrove, che sceglie lingua e materia? Ed è il ritmo che accompagna la parola e la fa vibrare? O è la parola che si contorce intorno alla materia e trova il ritmo giusto per dire proprio quella cosa? Domande che a volte si fanno i poeti, certo, ma sono le stesse domande che mi accompagnano da tutta la vita. Ho scritto la prima poesia, dedicata all’arrivo della primavera, nell’anno in cui ho compiuto sedici anni. Quell’estate ho aggiunto alle poesie imparate a scuola i libri di Garcia Lorca e Ungaretti, Montale e Quasimodo. Continuo a farmi le stesse domande e come allora non trovo risposte. So che nei giorni in cui scriverò una poesia lo sguardo sul mondo si offusca e si rivolge all’interno. Il respiro accelera nell’attesa di un verso che arriva e sosta nella lingua. Lascio che faccia il suo nido, guardo il quaderno ma ancora non scrivo. Aspetto, come ho sempre fatto, in attesa che quelle parole trovino la loro forma e il loro ritmo. Quando mi si chiede perché amo certi poeti e certe poesie rispondo che mi fido del mio orecchio, del mio occhio, della mia pancia. La grande poesia continua a mozzarmi il fiato, il cuore batte più forte, il senso di una rivelazione imminente mi invade. Solo quando contenuto, ritmo, forma e verso sono un insieme armonico ai miei sensi, so che sto leggendo poesia. Ci sono parole che ho scelto di non usare e temi che ho deciso di non trattare nella mia poesia perché credo che ci siano altre forme di scrittura e di arte più idonee, secondo me, a dire la cronaca della vita quotidiana e la realtà. Invece ho una predilezione per alcune parole che nei miei versi ritornano di frequente: rosa, vento, silenzio, luce, soglia, pioggia, legno, stagione; e anche per alcuni paesaggi: i palazzi e i cortili di Milano, la terra bruciata dal sole in Calabria e Puglia, il mare Mediterraneo visto da dalle rive di Liguria, Calabria, Puglia, Costa Azzurra, Toscana, Sicilia, e diverse isole. Astratto e concreto si mescolano, stanno in tensione, si scontrano. È da questo fronteggiarsi degli opposti che la poesia può nascere. La parola poetica è orlo del silenzio, ritaglia e rende vivido il mistero che ci circonda. La poesia vive di immaginazione e introversione, ma vive anche della vita stessa, del guardare curioso al mondo, degli incontri con gli altri. La poesia si nutre anche di altra poesia, la mia è cresciuta negli anni in compagnia dei versi di Bramati, Bonnefoy, De Angelis, Anedda, Leopardi, Celan, Rilke, Bertolucci, Salinas, Plath e qui mi fermo per non fare un elenco lungo come un vecchio elenco telefonico. Leggere poesia è un rito quotidiano, una forma di preghiera che favorisce la scrittura di altra poesia. Scrivo su quaderni dalle pagine bianche e uso inchiostro turchese perché anche la dimensione materica dell’atto dello scrivere ha un suo valore particolare. Le grandi case editrici non scommettono più sulla poesia, assistiamo a una rarefazione dei libri e a un ripetersi dei nomi. Ma ogni volta che mi capita di leggere in pubblico o di assistere a una lettura, sento che le persone si emozionano e continuano ad avere bisogno di poesia, di leggerla, di ascoltarla, in tanti anche di scriverla. Ma provare emozioni, tutti proviamo emozioni, è condizione necessaria ma non sufficiente a scrivere poesia. Bisogna prima di tutto leggere molto e scrivere con dedizione, e poi riuscire a farsi leggere da qualche amico che sia un forte lettore di poesia, da un poeta già riconosciuto, da un critico. Per questo leggo volentieri le poesie che mi arrivano anche da persone sconosciute e sono grata a chi, amici, critici e poeti e poi i lettori, dedicano parte del loro tempo a leggere i miei versi. Perché non si scrive mai solo per sé, secondo me chi lo afferma mente, credo che chi continua a scrivere poesia nel XXI° secolo lo faccia prima di tutto perché non può farne a meno e poi perché sa che da qualche parte nel mondo c’è almeno un lettore che reagirà proprio a quei versi che lasceranno nella sua anima una traccia profonda. Prediligo, e non smetterò di farlo, i libri di carta ma trovo che i blog siano un buon modo, veloce ed economico, per far circolare la poesia. Scrivere poesia è fare un uso non comune della lingua comune, leggere poesia è sospendere il tempo cronologico e accedere per qualche istante alla verità del mistero che siamo e che ci circonda.

da “Il calvario della rosa” (Moretti & Vitali) 2004

La stessa riva

Lo splendore della soglia

Siamo rimasti fermi
sulla stessa riva, guardando
direzioni opposte tra la fine
e l’inizio della luce, accecati
intenti, pronti a riconoscere
il calvario della rosa
che fiorirà in novembre.

 ***

Geometrie

Una singola equazione
il risultato è la conferma,
la punta delle dita sulla
piega del tuo sorriso
aspetta l’esito definitivo
che non tolga ombra
al solco di sale che ha
rovesciato nel suo contrario
il triangolo iniziale:

non ci sono geometrie
cartesiane nel mio cuore.

 ***

L’ultima onda
Un frammento d’osso, tempo
pietrificato sulla sabbia.
Lo abbiamo intravisto, noi
cercatori di promesse.

Il mare ha lavato il senso a
tutte le ragioni dimenticate.
Il sale si asciuga, protesta
la sua colpa. Origine assoluta.

L’ultima onda sale alle caviglie
cerca l’osso rotondo, il perno
del tuo peso. Ripete a stento
il nome esatto che hai suggerito.

E’ solo un refolo, un sibilo
di vento un battere di ali
prima del silenzio.

***

La soglia

Avvolti nella luce
del mezzogiorno indugiamo
sulla soglia della cucina.

Fuori, non c’è altro che
la pietra delle cose
l’osso essenziale del sole.
L’oleandro bianco chiama
a irretire le ombre.

Dentro, lo sguardo dimora
nel fuoco: pomodoro
e cipolle creano il mondo.
Pentole nere di fumo
stanno in silenzio, a contare
i giorni che verranno.

Dove noi saremo,
per metà ombra, per metà brace.

 ***

Al tavolo della cucina

Perché scrivo?
Perché scrivo, lo so.
Ho dita prensili per
afferrare la penna
mucchi di carta da rovesciare
per scrivere sul retro, un
appetito vorace e facili
digestioni. Al tavolo della
cucina so stare per ore
senza un falso movimento.
Ho la pazienza della pietra,
l’ostinazione delle onde.
Soffio parole sulla carta
mentre il vento trascina
le ore, il senso, il momento
sono nella punta delle dita.
Questo inchiostro è l’opposto
l’ombra acquietata, nessuna
luce ne cambia la posizione.

Elena Petrassi, scrittrice e poetessa, vive e lavora a Milano dove si occupa di comunicazione aziendale.
Ha pubblicato con l’editore Moretti&Vitali le raccolte di poesia Il calvario della rosa (2004) e Sillabario della Luce (2007) e con ATì Editore il romanzo Frammenti del tredicesimo mese (2007) la cui voce narrante principale è la città di Milano e la raccolta di poesie Figure del silenzio (2010). Nel 2012 uscirà il secondo romanzo In giornate identiche a nuvole.

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