Sergio Garufi, “Il nome giusto”

Nello scaffale: Sergio Garufi ‘Il nome giusto’
a cura di Luigia Sorrentino

E’ in libreria il primo romanzo di Sergio Garufi, Il nome giusto, Ponte alle Grazie (€ 16.00) .
L’autore, predestinato alla letteratura, deve molto a un grandissimo scrittore, Jorge Louis Borges, con il quale ebbe diversi incontri, il più importante nel 1984, due anni prima della scomparsa di Borges, un incontro che avrà un ruolo fondamentale anche nel romanzo Il nome giusto.  


Sergio Garufi, ‘Il mio ricordo di Borges’
“La prima volta che ne sentii parlare fu l’ottobre del 1982. Mi ricordo precisamente il periodo perché era pochi giorni prima dell’assegnazione del Nobel per la letteratura, e io lessi sulla terza pagina del Corriere della Sera – che mio padre portava a casa ogni sera dopo aver finito di lavorare – delle brevi dichiarazioni di scrittori famosi italiani che rispondevano alla domanda: ‘chi lo meriterebbe quest’anno?’.

 

Più o meno tutti (mi sembra fossero una decina) risposero ‘Borges’, aggiungendo che per i ben noti motivi politici non l’avrebbe avuto. Quelle dichiarazioni suscitarono in me grandi curiosità. Chi era quel grande scrittore? Dovevo assolutamente conoscerlo. Magari vivevo in un periodo come i primi del 1300 e non sapevo dell’esistenza di Dante. Mi ripromisi di comprare un suo libro e informarmi sui motivi dell’esclusione. Seppi in seguito che era considerato un conservatore, e che l’accettazione di un premio letterario da parte di Pinochet gli aveva reso invisi gli accademici svedesi, più propensi in quegli anni a premiare l’impegno politico degli intellettuali. Io ero un moderato, probabilmente sul calco di mio padre, che votava repubblicano, per cui Borges mi fu simpatico. Ciononostante il libro non lo comprai subito, come tanti bei propositi finii per dimenticarmene fino a quando, sempre sul Corriere, lessi una recensione di Pietro Citati sull’ultimo libro dell’argentino, una raccolta di poesie edita da Mondadori e intitolata ‘La Cifra’. Lo comprai poco prima della chiusura dei negozi e iniziai a leggerlo dopo cena. Ancora oggi so a memoria la prima pagina, che è una dedica bellissima che lui fece alla propria donna, Maria Kodama. Col senno di poi devo ammettere che m’innamorai di lui col suo libro peggiore, e anche la sua produzione poetica oggi mi sembra inferiore a quella saggistica e narrativa. Iniziai a studiarlo in modo monomaniacale. Ordinavo libri suoi e su di lui in spagnolo alla defunta libreria Croce di Roma (allora vivevo a Milano), o addirittura a Parigi, nella piccola libreria hispanoamericana di rue Monsieur Le Prince, vicino a San Germain des Pres. Arrivai a possederne quasi 150, oltre alle fotocopie di moltissimi articoli usciti in Italia sul suo conto.

Poi arrivò il giorno in cui avrei potuto incontrarlo. Lessi sui giornali che stava a Palermo, per ricevere il Premio Novecento. Mio padre era disposto a offrirmi il viaggio in treno, ma quando telefonai alla Fondazione siciliana mi dissero che lo stesso giorno Borges si sarebbe trasferito a Vicenza, dove doveva tenere una conferenza all’Accademia Olimpica presieduta dal democristiano Rumor. Andai a Vicenza, che era molto più vicina, e non capii nulla, perché parlò in francese. Fu lo stesso una emozione intensissima. La mia cameretta aveva poster a parete del suo sguardo cieco, lo idolatravo come i miei coetanei facevano con le rockstar. Nel pubblico che assisteva alla conferenza il mio vicino era un giornalista veneziano che mi confidò che Borges si spostava la stessa sera a Venezia, per partecipare il giorno dopo a un convegno della Fondazione Cini, e mi disse pure in che hotel avrebbe alloggiato, il Londra Palace sulla Riva degli Schiavoni. Qui, come ho detto nel mio libro, lo conobbi e parlammo dei più bei versi poetici di diverse lingue: l’arabo, il tedesco, l’italiano, natuaralmente lo spagnolo, il francese, l’inglese, il latino, tutti idiomi che conosceva.

Dopo quel primo incontro ci rivedemmo in altre occasioni, e la volta in cui riuscimmo a parlarci più a lungo fu a Roma, nell’ottobre 1984, dove fu ospite per 4 giorni dello Stato Italiano. Lo ricevette Pertini, andò alla Sapienza, all’Accademia dei Lincei, all’Istituto Italo Latino Americano, all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, poi ricevimenti in Ambasciata e quant’altro. Io presenziai a ogni appuntamento, ed ebbi un colloquio con lui nella sua camera d’albergo, all’Hotel Ambasciatori Palace in via Veneto. L’unica foto che possiedo di noi due assieme si riferisce a quest’occasione.

In quel periodo capitò anche che ci parlammo al telefono da Milano a Buenos Aires, allora bisognava prenotarsi con il centralino per queste chiamate intercontinentali. Mi riconosceva dalla voce, eravamo quasi amici.

L’ultima volta fu a Milano, più o meno un anno dopo, così come l’ho raccontato ne Il nome giusto. Era l’autunno del 1985, e a giugno dell’anno dopo sarebbe morto. Morì a Ginevra nel giugno 1986. Io facevo il militare nei paracadutisti della Folgore di Pesaro. Chiesi il permesso al mio capitano di recarmi al funerale ma mi fu rifiutato. Non era un mio parente, e agli occhi dell’ufficiale quel nome non era nessuno.

Dopo la sua morte mi misi a leggere altro, come mi aveva saggiamente consigliato lui di fare nel nostro ultimo colloquio. Oggi ogni tanto mi capita di riprendere in mano qualche suo libro, sfogliarne delle pagine, sempre con una grande emozione per quello stile ineguagliabile. Mi resta il ricordo di una persona generosa e mite, che coltivava le tranquille avventure della conversazione, e che spesso mi attribuiva delle idee geniali che non mi avevano neppure attraversato l’anticamera del cervello ma che erano totalmente sue. Con lui si aveva l’impressione di essere più intelligenti, si usciva dalla stanza credendo di aver capito qualcosa in più della vita.”

di Sergio Garufi


Un estratto di una lettera scritta da Tiziano Scarpa a Sergio Garufi.

“Ogni tanto incrocio i tuoi scritti, ma meno di frequente di quanto vorrei. Penso che tu abbia una delle penne più felici in Italia oggi, non esagero. Ci sarebbe bisogno che persone dalle altissime potenzialità come te deponessero la loro comprensibile e ammirevole modestia e si dedicassero a dare forma al libro che sognano, al libro che gli piacerebbe leggere. Ecco, alla fine la soluzione è semplice, se ci pensi: che libro ti piacerebbe leggere a te? Bene: scrivilo! Scrivilo tu! Tu ce la puoi fare. E’ un’impresa che può far tremare, me ne rendo conto, ma siccome il talento ce l’hai, evangelicamente hai anche il ‘dovere’ di metterlo a frutto.”

(Tiziano Scarpa)

IL LIBRO
Alla vigilia del suo quarantottesimo compleanno, un milanese giace in fin di vita sull’asfalto della circonvallazione Trionfale, a Roma. Come ci è arrivato? A narrare la storia è lui stesso o meglio il suo fantasma, dalla sede del suo limbo terreno: un negozio di libri usati al cui proprietario è stato venduto l’unico bene che aveva: la sua biblioteca. Ogni volta che le figure più disparate entrano nella bottega e comprano i volumi, il protagonista ne segue i passi: l’incontro fra i testi (di Borges o Kafka, Leopardi o Foster Wallace o Céline) e i nuovi proprietari presenta sempre una coincidenza bizzarra, che gli dà la sponda per raccontare un pezzo della sua vita di spirito solitario e inconcludente, di creatura dolcissima e spacciata, capace di umorismo nella tragedia e di riflessione nella farsa.
Un uomo che vagando in morte, come ha vagato in vita, alla ricerca di un senso e un’identità, conserva ancora in sé la febbrile apprensione del naufrago. Un uomo qualunque e al contempo speciale, com’è speciale e qualunque la vita di ogni lettrice e lettore: segnata dall’amore per la letteratura come chiave profonda di comprensione dell’esistenza e del mondo, dalla convinzione riposta che non siamo noi a leggere i libri, ma i libri a leggere noi.

 

I GIUDIZI
“L’inventario ramingo di un fantasma che ritorna sui luoghi del suo delitto: l’arte, le letture, gli amori e tutte le altre cose vive della vita che ha vissuto. Una ghost story di formazione. Un romanzo bellissimo.”
Tommaso Pincio

UN BRANO
“L’ultima immagine da vivo impressa sulla mia retina fu quella di una corona di facce raccapricciate, il capannello dei curiosi che mi si accalcò intorno quando giacevo sull’asfalto della circonvallazione Trionfale. Ricordo di aver pensato che la prospettiva di quella scena era la stessa della Camera degli Sposi del Mantegna; e infatti, sotto uno spicchio di cielo azzurro, tra quelle persone che mi circondavano sbucò un bambino con le lentiggini e i capelli rossi, che somigliava tanto a me alla sua età.”

L’AUTORE
Sergio Garufi (Milano, 1963) vive da qualche tempo a Roma. Ha collaborato con Liberazione, Diario, Stilos. È stato fra i redattori di Nazione Indiana. Questo è il suo primo romanzo.

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