Opere Inedite, Franco Buffoni

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

Oggi a Opere Inedite leggiamo la poesia di Franco Buffoni (qui accanto in una foto ritratto di Dino Ignani), ma anche un interessante saggio sulla poesia scritto sempre da Buffoni. Una riflessione importante che spero leggerete in molti. La poesia dell’oggi ‘allontanata’ dai mezzi di diffusione di massa (giornali e televisioni) registra un altissimo  tasso di interesse sulla rete internet.

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ll senso della poesia oggi
di Franco Buffoni

“1. Quando si celebrò il secondo centenario del tricolore italiano, nel 1997, a Reggio Emilia, patria della nostra bandiera, venne invitato Mario Luzi. Perché Luzi? Perché cento anni prima era stato invitato Carducci. Riflettiamo: Carducci, il poeta vate, alla fine dell’Ottocento, a festeggiare il centenario del tricolore aveva un senso. Cento anni dopo Luzi venne invitato nella convinzione di creare una simmetria. Chi era il poeta italiano in pole position per il Nobel secondo gli accademici del Lincei? Mario Luzi! E allora Mario Luzi venne invitato a Reggio Emilia. Nessuno dei presenti conosceva i suoi versi e nemmeno i titoli dei suoi libri. È evidente che, per creare una vera simmetria con Carducci, avrebbero dovuto invitare Claudio Baglioni.
Il bisogno di poesia anche nelle masse più incolte è immenso. Solo che viene soddisfatto dai versi delle canzoni. Gli adolescenti li conoscono a memoria, lo si vede da come partecipano quando uno dei loro beniamini si esibisce. Poi gli adolescenti crescono, e quei versi a memoria restano: sottocultura. Il fatto in sé non è così peregrino: ci sono tradizioni poetiche – come quella di lingua russa o di lingua araba – dove la poesia è cantata ancora oggi. Anche nella nostra tradizione era così: la “canzone”. Ma erano altri tempi.
Personaggi come Fernanda Pivano hanno fatto di tutto perché alla figura del poeta in Italia si sostituisse la figura del cantautore. Le conseguenze negative sono sotto gli occhi di tutti: una grande confusione. Per esempio: le preferenze di Pivano, presero le mosse – è vero – da Edgar Lee Masters ma approdarono a Bob Dylan; e in Italia presero le mosse da Cesare Pavese e giunsero a Vasco Rossi. Certamente l’idea di poesia di Fernanda Pivano non coincideva con quella di Ashbery o di Zanzotto.
I “suoi amici cantautori” – da Piero Ciampi a De André a Jovanotti – possono piacere anche a me. Anch’io li ho ascoltati e talvolta mi sono anche divertito. Ma, Nanda, nel paradiso dove sei ora, ascoltami: se rileggi con calma i loro testi, prescindendo dalle note che li vestono o li tra-vestono, ti accorgi che di poesia ne trovi davvero pochina: “Sparagli Piero, sparagli ora / E se non muore, sparagli ancora”. Lasciamola sopravvivere, povera poesia, quella vera, quella che magari pochi leggono; però non dimenticarlo, è solo quest’ultima che davvero “inventa” la lingua, che realmente la rinnova. Molto pertinenti, a questo riguardo, mi paiono le parole di uno dei miei maestri, Giovanni Raboni: “La poesia non è né uno stato d’animo a priori né una condizione di privilegio, né una realtà a parte né una realtà migliore. E’ un linguaggio: un linguaggio diverso da quello che usiamo per comunicare nella vita quotidiana e di gran lunga più ricco, più completo, più compiutamente umano; un linguaggio al tempo stesso accuratamente premeditato e profondamente involontario, capace di connettere fra loro le cose che si vedono e quelle che non si vedono, di mettere in relazione ciò che sappiamo con ciò che non sappiamo”.
De André e Vasco Rossi esistono in quanto le loro parole sono legate a un sottofondo musicale gradevole. Sono le note a rendere accattivante – a tratti – il dettato. Se esaminiamo il dettato in sé, non esistono come poeti né l’uno né l’altro.

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2. Il Novecento in Italia (e ovviamente non solo in Italia) ha sempre più preteso per la poesia (e non solo per la poesia: anche per la pittura, per la scultura, per la musica) un affinamento e una preparazione in chi legge (o in chi fruisce). Affinamento e preparazione che generalmente le persone non posseggono.
Inoltre in nessun campo come in poesia c’è dilettantismo deteriore. Perché è vero che il dilettantismo esiste ovunque, ed è giusto che ci sia. Quanta gente gioca a pallone sul campetto, poi però ammira Cassano e Balotelli. In poesia, invece, tanti dilettanti sono convinti che altri semplicemente abbiano avuto più fortuna di loro, perché loro sono bravi altrettanto. Per cui, mentre quello che gioca nel campetto poi vede le partite e ammira i protagonisti, il dilettante che scrive poesie – i cinquecentomila canonici che scrivono e pubblicano (a pagamento) poesia in Italia – non leggono i poeti veri, se non in minima parte. Questa è la tragedia, una tragedia di sottocultura e d’ignoranza.

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3. Per un poeta tradurre può essere importante perché si tengono in esercizio i muscoli, partendo da qualcosa che non è una pagina bianca; può essere un esercizio faticoso, ma anche molto piacevole. Poi, il vero giudizio viene col tempo; sono poche le traduzioni destinate a restare: traductions-text, le definisce Meschonnic.
Giungere a capacità tecniche di discreto livello in poesia è possibile, con molto esercizio. Avere delle urgenze, delle cose da dire, è possibilissimo. Le due cose non sono sufficienti; per far sì che si possa produrre vera arte, queste capacità e queste istanze devono sciogliersi in una poetica.
Perché questo è il punto: da un punto di vista tecnico si possono produrre testi ineccepibili sul piano formale ma tristemente aridi; come dal punto di vista contenutistico si possono avere grandi intuizioni, ma se fuoriescono testi non modulati, il risultato non può dirsi raggiunto. Il segreto sta nel modulare il grido.
Una poesia originale non è una poesia che parla di cose di cui nessuno ha parlato prima. Leopardi è unico quando parla della/alla luna, non perché l’oggetto sia originale (sta persino nelle lettere che il Colletta gli scrive), ma perché la sua poetica è immensamente pulsante e vitale. Keats – quando nel distico conclusivo dell’Ode on Grecian Urn associa Beauty a Truth e Truth a Beauty – non compie un’associazione originale: sono due termini che l’estetica inglese del Settecento frequentemente pone in connessione. Ma Keats rivive l’associazione all’interno della sua poetica. E quelli diventano versi che, letti una volta, non si dimenticano.

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4. Sono un anceschiano prima maniera: credo fermamente nei concetti di “poetica” e di “progetto”.
Avevo vent’anni nel Sessantotto e la prima cosa che lessi quando cominciai a occuparmi di poesia da adulto fu il manifesto a I Novissimi di Giuliani. Quindi potete immaginare quanti proclami ho ascoltato nella mia vita. Ma non sono mai riuscito a prenderli sul serio, cioè non ho mai pensato che attraverso delle parole d’ordine si potesse arrivare a produrre vera arte. Non credo che uno possa dire: abolisco l’io e arriverò a scrivere cose sublimi; se invece mi tengo l’io scriverò delle sciocchezze: non è possibile. Il vero punto non è abolire l’io; il vero punto è possedere una grande tecnica e una vera poetica. Una poetica non è qualcosa che ti costruisci abolendo l’io. “Sei ancora a fare il discorso sulle poetiche!”, mi disse Cortellessa tanti anni fa. “Certo!”, risposi. Poi più recentemente mi ha detto: “Ah, però il tuo discorso sulle poetiche è importante.” Per me è fondamentale. È questo il vero punto.
Vivere in apnea è possibile. Per qualche minuto ci si può anche illudere. Persino Zanzotto lo ha fatto. Ma poi per tornare a galla dovette ricorrere persino al suo dialetto.

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5. Come aggirare i pericoli della retorica? Semplicemente avendo qualche cosa di vero, di sentito, di urgente da dire. Per esempio, io non ho mai deciso di scrivere poesia civile: semplicemente la nostra attuale condizione è tale che ogni tanto qualche verso in quella direzione proprio non mi va di trattenerlo.
Quando nella poesia ‘Alla Costituzione italiana’ cito Gobetti, ogni volta mi commuovo, perché è stato massacrato di botte dai fascisti ed è morto dopo pochi mesi per i traumi riportati agli organi interni. E quando i diritti civili vengono irrisi, l’unica cosa che io poeta posso fare è ricordarlo ai più giovani.”

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Alla Costituzione Italiana

Le costituzioni, recita il mio vecchio
Dictionary of Phrase and Fable,
Possono essere aristocratiche o dispotiche
Democratiche o miste.
Ecco, per te che non prometti
Di perseguire l’imperseguibile
– La felicità degli uomini –
Vorrei non pensare da grande a quel “mixed”
Che ricade sugli effetti salvando i presupposti:
Di te che prometti il perseguibile
Vorrei restasse il lampo negli occhi di Gobetti,
Già finito per altro in poesia.
Franco Buffoni

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TEMPERATURE

Sento che proprio mi fa male questa bassa
Temperatura, che a respirare soltanto camminando
Mi brucia la trachea. Non era così
Fino a un decennio fa,
Con le mie tute i miei
Maglioni fiato-nebbia
Nei boschi d’inverno sul greto del Ticino.
E poi le cioccolate con panna e le Marlboro.

 

CIMITERI

I

Poi quando torni ne trovi
Qualcuno al cimitero,
Di quelli alti sul muro
A centrare per divertimento
Le dalie dei vicini.
Li vedi lì con i loro
Faccini stanchi
E ti domandi quanto ancora,
Ieri, ieri l’altro?

II

Cimitero di Gallarate le fotografie
Di quelli che conosci o conoscevi
Zie dei padri
E vittime delle moto i transigenti
Nipoti.
A loro modo una comunità,
Un piccolo paese,
Mentre nella metropoli di niente
Hanno conferma i vivi dei seppelliti
Nei falansteri fuori porta
O in transito verso la civiltà
Del vaso delle ceneri
In tinello.

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DULCISSIMA

Quando non ci saranno più le mie chiamate
Tra le sette e le otto
E se ritardo un labbro che leggermente trema.

Quando non sarai più una vecchia sola
E io al ritorno non dovrò più correre
Per te giù in farmacia
Prazene e Lexotan
Con la ricetta ripetibile
Il Karvezide con la ricetta nuova
E già che ci sei un Benagol
E la Borocillina.

Quando non dovrò più tenerti
Bassa la pressione
Quanto tempo che avrò
Per scrivere di te.

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MATER



Quando eri ancora adulta 

Prima di rimpicciolire 

Ti lasciavo sola volentieri, 

Dovevi espanderti e io non mi vedevo 

Nei tuoi spazi. 

Poi per davvero ebbi l’occasione 

Di fare attenzione alle tue forme, 

Al loro chiudersi, e i tuoi spazi 

Presi a difendere, meno li occupavi 

Più li presidiavo.
Finché non mi è restato 

Che un batuffolo con voce da proteggere 

In una ipotesi di spazio.

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A TEMPO PIENO

E’ il metodo della scienza,
Della prova e della verifica,
Che applicato al sentimento
Del groppo in gola senza senso
Porta a risultati confortanti:
Purché sia terzo il giudice e sereno
E rigorosa l’applicazione.
A tempo pieno.

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FATTO DI CRONACA IN LUNIGIANA

L’ho sentita morire
Soffocava
E non potevo intervenire…

Morta la moglie, soffocata
Da nastro adesivo e cellophane,
Rimane lui più anziano non vedente
A illuminarmi dal telegiornale
Sulle ragioni per cui in una pentola
Capovolta
Teneva i ventimila euro dei risparmi
Di una vita in missione.

Perché non in banca? chiede partecipe
L’intervistatore.
Perché non ci davano interessi
Anzi si facevano pagare, signore,
Per le spese di commissione.

Pronuncia le parole
In un rantolo scandito
E muovendo la mano
Mi fissa
Con gli occhi che videro
Gli Alleati sulla Linea gotica.

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ITALIEN
Infelice di quella molle ebbrezza
Che solo conosce chi vive
Senza diritti
In questa appendice
Ludica d’Europa.

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INVITO A NAPOLI

E in questo golfo attraversato stamattina
Da quattro jet sopra Posillipo e due cargo
Verso molo Beverello,
Io rivedo insieme a tre gabbiani
Da un balcone del Royal
La mia relazione
Per il convegno sulla traduzione.
In Cappella Pappacoda oggi all’Orientale
Saremo in tanti figli di navigatori
Santi e poeti, mi viene in mente ora
Tutti già un tempo anche traduttori.
Come i piloti quattro dei jet militari
E dei cargo i dieci marinai.
Lasciami Napoli
Nelle loro scie
E dolcemente strangolami in cielo
O in mare
Da questo ottavo piano.
Non mi tradurre altrove.

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LEGGENDO “GAY PRIDE” DA NOI E LORO

Mi commuovono i segnali che i timidi
Mi inviano a fine lettura. I più spavaldi
Tra loro poi me lo dicono piano
Mentre la sala si svuota: sa, avrei voluto…
Ehm… Intervenire… Ma grazie, grazie di averla letta.
Di averla scritta.
La poesia della mia dignità.

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PER EUGENIO MONTALE

Aveva il sorriso di K
L’amico di Gianni Testori,
Proprio per ciò ne scansasti
La mano. Guardando fuori.

(*K, il dedicatario in Ossi di seppia della lirica “Ripenso il tuo sorriso”, è lo stupendo ballerino russo Boris Kniaseff, da Montale conosciuto a casa dell’amico scultore Francesco Messina, per il quale aveva posato.
Qualche decennio più tardi, alla Scala, un Montale totalmente omofobo volge le spalle – rifiutando di stringergli la mano – ad Alain, il bellissimo giovane francese, amico di Gianni Testori.)

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IL MARE APERTO

Il mare aperto con i suoi operai
A darsi il turno,
Dentro a muoverlo
O a calmarlo
Solerti alle sollecitazioni
Del fisioterapista.

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Franco Buffoni (Gallarate 1948), vive a Roma. Esordisce come poeta nel 1978 su Paragone presentato da Giovanni Raboni. Ha pubblicato le raccolte di poesia ‘Nell’acqua degli occhi’ (Guanda 1979), ‘I tre desideri’  (San Marco dei Giustiniani 1984, Premio Biella), ‘Quaranta a quindici’ (Crocetti 1987), ‘Scuola di Atene’ (Arzanà 1991, Premio Sandro Penna), ‘Adidas. Poesie scelte 1975-1990’ (Pieraldo editore 1993), ‘Suora carmelitana e altri racconti in versi’ (Guanda 1997, Premio Montale), ‘Songs of Spring. Quaderno di traduzioni’ (Marcos y Marcos 1999, Premio Mondello), ‘Il profilo del Rosa’ (Mondadori 2000, Premio Betocchi), ‘Theios’ (Interlinea 2001), ‘Del Maestro in bottega’ (Empiria 2002, Premio Pascoli e Premio Pavese), ‘Guerra’ (Mondadori 2005, Premio Dedalus della critica e Premio Pasolini), ‘Croci rosse e mezze lune’ (Quaderni di Orfeo, Como 2007), ‘Noi e loro’ (Donzelli 2008, Premio Maria Marino, Premio Anna Osti, Premio Suio Terme), ‘Roma’ (Guanda 2009, Premio Alpi Apuane). 
Nel 1989 ha fondato e tuttora dirige il semestrale di teoria e pratica della traduzione letteraria “Testo a fronte”. Per Marcos y Marcos ha curato i volumi ‘Ritmologia’ (2002), ‘Mario Praz vent’anni dopo’ (2003) e ‘La traduzione del testo poetico’ (2004). Per Mondadori ha tradotto ‘Poeti romantici inglesi’ (2005) e curato opere di Byron, Coleridge, Wilde, Kipling. È autore di ‘Più luce, padre. Dialogo su Dio, la guerra e l’omosessualità’ (Sossella, 2006), dei romanzi ‘Reperto 74’ (Zona 2008) e ‘Zamel’ (Marcos y Marcos 2009), del pamphlet ‘Laico alfabeto in salsa gay piccante’ (Transeuropa 2010) e dei saggi  ‘Con il testo a fronte. Indagine sul tradurre e l’essere tradotti’ (Interlinea 2007), ‘L’ipotesi di Malin. Studio su Auden critico-poeta’ (Marcos y Marcos 2007) e ‘Mid Atlantic. Teatro e poesia nel Novecento angloamericano’ (Effigie 2007). È giornalista pubblicista e professore ordinario di Critica Letteraria e Letterature Comparate. www.francobuffoni.it

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