Enzo Lamartora, “La dimensione della perdita”

copertina-jpgNota di Enzo Lamartora

Come tutte le cose umane – le emozioni, i valori, le relazioni – anche la poesia è soggetta al tempo, alle stagioni, nel senso che cambia di forma e di sostanza.
Da giovani si è naturalmente portati a pensare che l’arte, ma anche l’amore e l’amicizia, debbano essere dei moti spontanei, debba tradurre emozioni spontanee. Poi il tempo, l’esperienza e la perdita fanno il loro lavoro di scalpello. L’emozione e l’arte diventano il frutto di una disciplina di vita.
Oggi io credo che la poesia debba essere fondamentalmente una riproduzione fotografica della realtà, cioè che debba presentare ogni volta un pezzo umanità così com’è. Penso alle foto di guerra di J. Natchwey, alle foto parigine di A. Kertesz, a quelle di Scianna o Depardon.

Un poeta non deve inventare nulla.

La creazione artistica, svincolata dalla realtà, è puro esercizio di fantasia. Può essere anche “bella”, ma rischia di finire nell’album dell’estetica, e non avere alcuna capacità di presa e trasformazione umana e sociale.

Allo stesso modo, la poesia dev’essere comprensibile. Continua a leggere