Crocetti ristampa “I luoghi persi” di Umberto Piersanti

Umberto Piersanti

Nota critica di Alberto Fraccacreta

 

 

La poesia di Umberto Piersanti raggiunge uno snodo fondamentale del suo percorso con il trittico einaudiano che da I luoghi persi (1994) arriva a Nel tempo che precede (2002) e a L’albero delle nebbie (2008).

Tre libri unitarî, sospesi sul filo di «cronaca e memoria», sapidamente conchiusi nel «tempo differente» del mito che risospinge il canto melodioso in allegorie tassiane, cioè in ambientazioni pastorali locate nella foresta delle Cesane, eletto a locus amoenus topico, a pochi chilometri da Urbino.

I luoghi persi, che è appunto il primo capitolo della costituzione e sistemazione più matura del mondo di Piersanti, ritorna oggi per Crocetti (introduzione di Roberto Galaverni, pp. 108, euro 12,00), con alcuni inediti – dodici per la precisione – approntati dall’autore tra il febbraio e il dicembre 2021.

A quasi trent’anni di distanza dalla prima uscita, a differenza di molte sedicenti avanguardie, la silloge non ha perso nulla del suo smalto, tutto giocato su un vitalismo botanico, su un’edoné gentile e biaccata «sotto le querce gialle e il pungitopo».

E le nuove liriche riescono miracolosamente a essere in chiave, segno che l’azione elegiaca del poeta urbinate si mantiene su registri analoghi anche a distanza di decenni (radicalizzando, anzi, la portata di un messaggio di fondo che potremmo definire “parnassiano”).

Come osserva Galaverni con molta adesione nel testo prefatorio, «questa poesia da una parte racconta dell’aspirazione del poeta verso una specie di patria edenica, di paradiso terrestre, di luogo protettivo e, detto nel senso più pieno, materno; un luogo – la parola come si vede è fondamentale – di percezioni piene, di estasi sensibili, d’integrità e di perfezione, lì dove non ci sono più angosce e paure e solitudine, dove non c’è il tempo che scorre, che consuma, che porta via i bei momenti, gli amori, le persone e le cose che importano, e noi con loro». Nulla di più condivisibile.

L’integrità, la pienezza dell’esserci e la strenua volontà di accaparrarsi uno scampolo di paradiso terrestre sono il senso della ricerca del luogo perduto: località dell’infanzia, suprema tensione dell’umano a un gesto “totale”, all’incarnazione femminile della giovinezza sveviana; eppure ecco il «tempo» che «muta», la «vicenda» che «cambia» nel divenire e nell’incessante metamorfosi delle stagioni.

«Oggi m’inquieta il tempo che m’attende / le sue opere e i giorni che non vissi / che non conosco e trovo per la strada / di questa età di mezzo già sgomenta / che senza consultarmi mutò il corso // questa vicenda lunga come la vita / forse cambia chi viene e non conosco / io nell’attesa sono come sempre / in giro sui miei colli nella cerchia / e poi vado lontano e qui ritorno».

L’ansietà e, quindi, l’insofferenza nascono dalla bellezza insidiata, dalla precarietà di quanto conquistato nei momenti di splendore e abbandono. Qui, in questi endecasillabi purissimi, si nota l’autentica freschezza del dettato piersantiano: l’età dell’oro era nell’incoscienza, nell’inconsistenza, nell’amor fati, nel «suono monocorde dell’azzurro / che s’alza nel silenzio fino al cielo / senza una striscia bianca, senza una piuma».

Il luogo perso diventa così utopia, cosa che è stata e non c’è più se non nello spazio fantastorico della poesia. Paradigmatici sono, in tale frangente, i «frammenti di poema», nati sulla scorta del film Sulle Cesane (1982), registrati dunque oralmente al magnetofono.

Ecco apparire Madìo, lo sprovinglo (una sorta di demone dei boschi: «Giù per il fosso Madìo / trovava lo sprovinglo, / un cane che gli era entrato nel biroccio / e poi diventa sempre più grosso e nero / l’incontrava laggiù, sotto Che Spasso»), lo «spino bianco», il «favagello» – fiore nominato in letteratura per la prima volta proprio da Piersanti –, e tanti altri personaggi che iniziano a costituire una sorta di pantheon della memoria, in cui poter sottrarre sofferenze e spasmi, là dove «l’acido secca l’erbe / schiarisce il muro / passano gli anni / e tutto si dissolve».

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