William Carlos Williams, “La primavera e tutto il resto”

William Carlos Williams

La primavera e tutto il resto (1923) è la precoce testimonianza di una fra le più inesauste e febbrili esperienze di poesia del Novecento.

Scritto dal grande poeta modernista americano William Carlos Williams come risposta alla pubblicazione di The Waste Land di T.S. Eliot del 1922, La primavera e tutto il resto è un prosimetro che raccoglie i versi giovanili che egli riteneva migliori e mostra quanto l’esperienza dell’arte cubista e la violenza della grande guerra appena conclusa avessero destrutturato ogni scrittura e reso necessaria una radicale apertura verso un’incognita vita nova.

Ne risulta un’opera fremente, mossa, spezzata, liberata da ogni piaggeria formale, in cui il poeta pone al centro il tentativo di una rinascita dell’intera cultura Occidentale grazie all’immaginazione, intesa però come l’unica forza capace di far sostare il lettore su ciò che da sempre gli è stato tolto, ovvero il momento attuale, l’adesso, dove ognuno di noi possa infine ritrovare se stesso.

ESTRATTI

Se qualcosa del momento verrà fuori – tanto meglio. E più probabilmente ciò accadrà, tanto più non ci sarà nessuno che vorrà vederlo.

C’è una costante barriera tra il lettore e la sua consapevolezza dell’immediato contatto con il mondo. Se c’è un oceano, è qui. O piuttosto, l’intero mondo è nel mezzo: Ieri, domani, Europa, Asia, Africa, – tutte le cose remote e impossibili, la torre della chiesa di Siviglia, il Partenone.

Che cosa intendono quando dicono: «A me non piacciono le tue poesie; tu non hai alcuna fiducia. Sembra che tu non abbia sofferto né abbia sentito nulla in maniera profonda. Non c’è niente di attraente in quello che dici, ma al contrario le tue poesie sono assolutamente repellenti. Sono senza cuore, crudeli, si prendono gioco dell’umanità. Che cosa, nel nome di Dio, hai intenzione di dire? Sei un pagano? Non hai nessuna tolleranza per la fragilità umana? Puoi anche fare a meno delle rime, ma del ritmo! Perché non ce n’è nessun ritmo nelle tue poesie? È questo ciò che chiami poesia? È davvero l’antitesi della poesia. È l’antipoesia. È l’annientamento della vita a cui sei destinato. La poesia è solita andare mano nella mano con la vita, la poesia che ha interpretato i nostri più profondi impulsi, la poesia che ha ispirato, che ci ha condotto verso nuove scoperte, nuove profondità di tolleranza, nuove vette di esaltazione. Voi moderni! Voi state portando a compimento la morte della poesia. No, non posso comprendere la vostra opera. Dalla vita, non avete sofferto un colpo crudele. Quando lo avrete sofferto, scriverete differentemente»?

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If anything of moment results – so much the better. And so much the more likely will it be that no one will want to see it.

There is a constant barrier between the reader and his consciousness of immediate contact with the world. If there is an ocean it is here. Or rather, the whole world is between : Yesterday, tomorrow, Europe, Asia, Africa, – all things removed and impossible, the tower of the church at Seville, the Parthenon.

What do they mean when they say : « I do not like your poems ; you have no faith whatever. You seem neither to have suffered nor, in fact, to have felt anything very deeply. There is nothing appealing in what you say but on the contrary the poems are positively repellant. They are heartless, cruel, they make fun of humanity. What in God’s name do you mean ? Are you a pagan ? Have, you no tolerance for human frailty ? Rhyme you may perhaps take away but rylhm ! why there is none in your work whatever. Is this what you call poetry ? It is the very antithesis of poetry. It is antipoetry. It is the annihilation of life upon which you are bent. Poetry that used to go hand in hand with life, poetry that interpreted our deepest promptings, poetry that inspired, that led us forward to new discoveries, new depths of tolerance, new heights of exaltation. You moderns ! it is the death of poetry that you are accomplishing. No. I cannot understand this work. You have not yet suffered a cruel blow from life. When you have suffered you will write differently ? »

da « La primavera e tutto il resto » di William Carlos Williams, a cura di Tommaso Di Dio (FinisTerrae di Ibis edizioni, 2020)

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William Carlos Williams (1883-1963) fu insegnante, medico, poeta. Nato a Rutherford, nel New Jersey, da padre di origine inglese e spagnola e da madre invece basca ed ebraico olandese, perseguì in tutta la sua opera il tentativo di dare voce alla cultura americana e di sviluppare l’intreccio fra la grande tradizione poetica del suo paese e i suoni, i ritmi, la voce della gente comune. Partecipe – non sempre in accordo – con Pound e Eliot della grande vicenda modernista, ne ha tratto una sua visione originale, da cui sono scaturiti i capolavori Al Que Quiere (1917), The Desert Music (1954) e infine Paterson (1946-1963), tentativo di un’epica tutta ambientata in una piccola cittadina di provincia. Fin dalle sue prime pubblicazioni, ha accompagnato la scrittura di poesie ad opere in prosa, in cui si alternano riflessioni filosofiche, spunti autobiografici e di poetica, nonché veri e propri racconti. L’opera La primavera e tutto il resto (1923) è la precoce testimonianza di una delle esperienze artistiche che più contribuirono a costituire l’identità artistica americana del Novecento.

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Tommaso Di Dio (1982), vive e lavora a Milano. È autore di alcuni libri di poesia, fra cui Tua e di tutti (2014, Lietocolle-Pordenonelegge) e Verso le stelle glaciali (2020, Interlinea). Si occupa di critica letteraria, traduzione e filosofia. È tra i fondatori del progetto di poesia e arte Ultima.

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