Alberto Fraccacreta, “Sine macula”

Alberto Fraccacreta

Pubblichiamo in anteprima alcuni testi tratti dal nuovo libro di poesie di Alberto Fraccacreta in uscita a novembre 2020 per Transeuropa.
Il volume  raccoglie Uscire dalle mura Basso Impero, pubblicati da Raffaelli nel 2012 e nel 2016, aggiunge sequenze inedite e riordina il materiale alla luce di Delia, ineffabile presenza femminile sempre sul filo dell’epifania, colei che è lì da mostrarsi ― com’è inscritto nel suo etimo ―, immagine della donna costantemente cercata. Delia è l’idea di Maurice Scève, la Velata che nei suoi lineamenti interiori dà ragione di una traccia sine macula, trasparenza, poesia stessa e tensione del soggetto verso un’edenica relazione con il reale.

A cena con la tua assenza

 

Talvolta viene a trovarmi la tua assenza.
Allora, in visibilio, apparecchio
con precisione che esige devozione
e già la tavola brilla di posate all’ora esatta.

Una piatta ripulita mi do e dal bagno sento
l’orlo distorcersi, la crepa discreparsi,
ciò che non ha corpo farsi carne ―
ecco, bussa alla soglia di anni e anni persi

il tuo non esserci che mi vive.
Non c’è la donna della mia vita
ed è tenace negazione che diventa
eventualità, dono del possibile

eppure ostinazione del diniego che amo
per un dopocena nell’incavo
del non conosciuto, delusa ricaduta in sé
in vista di una più ospitale uscita dal me

che ancora non è,
ancora per poco, incontro di te.

*

 

Quattro tempi di Psiche

4.

L’esistenza è allora condivisione: lo dice anche la meccanica quantistica. Se una particella non è osservata, non esiste. L’osservatore determina inderogabilmente la presenza concreta di una particella. Se non mi guardi, io non esisto. Se non mi dai l’attenzione del tuo sguardo, anche tu non sei in niente, perché la tua attenzione è la mia attesa, mentre volgi lo sguardo verso di me. Noi siamo l’attesa l’uno dell’altro. Non allarmarti se ti guardo: sto solo dicendo che tu esisti. Quando posi gli occhi su di me, io vivo di un’esistenza che non può essere da sola, senza il tuo sguardo. Il tuo vedermi è il confine dal quale non posso uscire. Sono realtà, se mi guardi. Divento il tuo sguardo. Non sono di per me. Tutto me stesso si trasforma nel tuo incontro. Niente dice che sono se non ci sei. E, allo stesso modo, è vero che se non entro con te in una relazione di reciproco riconoscimento, noi non esistiamo.

*

Montale va in pensione

 

ad Andrea G.

 

Si avviava da via Bigli con l’impermeabile e il cappello.
Che fosse in taxi o nella sua andatura strascicata,
simile alle gragnole che tambureggiano i cofani delle auto,
l’arrivo in redazione era quello di un polipo
o di un altro cefalopode, dentro una nube di fumo.
Cercava la poesia nel giornale, sezione ‘oggetti smarriti’, leggeva i caratteri
tipografici non come segni portatori di senso
ma in sé, sciame di vespe, tracce infide della Musa che lo stava
irrimediabilmente salutando. Si era già avviata al silenzio.
Nondimeno, qualcosa lo lasciava incredulo
anche nella disabitazione delle illusioni.
Leggeva il giornale fitto come una stele in granodiorite.
L’effluvio catramato della stampa, la riunione delle 18, la fuga
di notizie. Il tic agli angoli della bocca, solcata dalle Giuba. Batteva a macchina
con un solo dito, il mignolo alzato, il discutibile anello.
Più di tutto lo perplimeva la mancanza negli altri di perplessità.
Le parole si attaccavano ai tasti come tentacoli ventosi del moscardino.
Verso mezzanotte abbandonava il posto di lavoro,
certo di non aver commesso errori. Il prezzo era la perdita del sublime,
l’asciugatura da ogni carta assorbente intrisa di dottrina:
non poteva esserci Clizia in via Solferino,
benché lui uscendo si guardasse attorno.
Giunto a casa una sera di fine novembre, tra l’upupa impagliata,
lo stufato della Gina e l’acetosa, ecco che però
in maniera del tutto inattesa
tornava a spuntare
contro ogni esitazione
la radice rizomatosa dell’iris.

 

Reportata Urviniensia

 

1.

 

Urbino è venata dal mormorio
di una bufera prossima a giungere.
Così dev’essere e non sarà
a consegna avvenuta, quando le file
turrite di pini dal mausoleo
dei duchi, gli ippocastani
chiericati della promenade
sul giro delle mura vorrebbero concedere
un’altra, svirgolata chance ―
l’intrico smagato, l’arteria sterrata
con cui reagire ‘sine macula’
alla presente mancanza
di una vera donna della vita.

 

2.

 

Donna che non c’è, mentre il ciclone
sincopato muove le impalcature,
aggiunge pascoliana evidenza
a troppi chiostri in abbandono
visitati dagli spettri di tarme
attente alle infiltrazioni
calcaree, al duomo segnato
da oziosi balzi tellurici,
architettura più ballerina
della mia chioma a fungo,
che non reggerà a conti fatti
la cruna tra il malessere e l’interesse,
l’idiota e il peccatore…

 

3.

 

La poiana che tagliò la luce
nell’irraggiungibile cielo delle Capute
non prende il sembiante del falco.
Delia, non appari adesso
sulle lunghe ciglia della via di casa
benché conosca a memoria
i vetri dei tuoi crepuscoli,
abbia pareggiato col sangue battesimale
il liquido del sacco lacrimale,
che varia la limpidezza
della vera donna, ‘immacolata’,
tradotta, salita dal fondo
del ‘sine macula’.

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Alberto Fraccacreta (1989), originario di San Severo, è assegnista di ricerca in Letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Collabora con vari quotidiani nazionali.

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