LA FESTA, IMMAGINI DELLA MEMORIA, DI RAFFAELE DE MAJO

Nota di Roberto De Simone

Del mirifico catalogo di Raffaele De Majo

Stupito dalla dovizia di notizie, di documenti, di date, di citazioni profuse con lucida innocenza nella presente pubblicazione, chiamai Raffaele al telefono: – Scusami Raffaele, quanto tempo hai impiegato a scrivere questo libro?
Ed egli, candidamente: – Ho iniziato a scriverlo meno di un anno fa.
Restai basito. A una qualsiasi persona – giornalista, scrittore, antropologo – non sarebbero bastati tre o quattro anni di ricerche d’archivio, di consultazioni librarie, a meno che egli non avesse già acquisito tali materiali nel corso di una sua specifica attività congiunta ad interessi relativi alla tradizione. E per tradizione qui ci si riferisce a quel generico quid, a quella spinta irresistibile e misteriosa che allo scadere di un tempo rituale, metastorico, invade l’io, spogliandolo di soggettività per immergerlo nell’onirico flusso dell’io collettivo, di quella cullante oggettività che vi rende goccia d’acqua nell’oceano dei sogni di tutti. Ci si avvicina quasi a una trance, a un’estasi ritornante ove ricorrono stati visionari e memorie primordiali, e angeli e demoni di un’infanzia del mondo, di un’era di Saturno di latte e miele, di edipici sapori e di odori, di frasi e canti e di rappresentazioni condivise dai morti che già le avevano viste e cantate secondo la testimonianza dei precedenti morti, fino alla memoria cancrizzante  dei futuri defunti. In tale sinossi del ricordare, ovvero del trarre memoria dal cuore e non solo del rammentare relativo alla mente, alla ratio, si inquadra la presente fatica editoriale di Raffaele che accumula caledoscopicamente rare fotografie, e riproduzioni di stampe, di bozzetti, di macchine sceniche, di luminarie, di programmi bandistici e teatrali, inoltrandosi nelle pieghe della Storia, nei recessi della tradizione, del costume, evidenziati come proiezioni appaganti del proprio io che in quelle testimonianze si riconosce e si identifica, perché già prima di nascere egli le aveva vissute nel limbo di un inconscio sapere.

Raffaele De Majo è un monumento di oralità, di sapienza artigianale e di educazione accademica; è un entusiastico lettore in filigrana del documento storico non disgiunto dalla propria esperienza mistica di partecipante alla tradizione; egli si porta dentro, come artista, la luminosità di Luca Giordano e le ombre di Domenico Gargiulo, gli azzurri del De Mura e le tenere tinte della scuola di Posillipo, il tratto turgido di Salvator Rosa e la sacrale bidimensionalità dell’ex-voto, gli affreschi pompeiani e i cartelloni dei cantastorie, la monumentalità di Ferdinando Sanfelice e l’illusoria teatralità delle gouaches settecentesche, la querula battuta di Razullo e l’enfasi barocca del Marino, la perennità del marmo scultoreo e la precarietà metastorica della cartapesta, la ridondanza poetica del Tasso e gli epici film dell’Opera dei pupi, la vocalità grammofonica di Enrico Caruso e il chioccio pigolare della pivetta pulcinellesca.
Oltretutto questo libro può considerarsi il diario vissuto della doppia partecipazione di Raffaele alla festa dei quattro altari: quello di artista ricco di competenza architettonica, pittorico-teatrale, e quella di viscerale partecipante al mistero del Corpus Domini.
Sicuramente qualche borioso professore universitario potrebbe recensire con sufficienza la pubblicazione del De Majo, evidenziandone carenze di metodo scientifico, di rigore analitico, di discernimento selettivo, e censurandone l’evidente coinvolgimento emotivo con conseguente penalizzazione della lucidità storica. Ebbene, se lo stesso studioso trattasse il medesimo argomento, vi trasmetterebbe l’algida lettura di date e documenti, assolutamente disumanizzati e indirizzati a compiacere un ristretto gruppo di addetti ai lavori, iniziati al criptico linguaggio del settarismo accademico. Nulla di ciò in Raffaele, che, pur cedendo talvolta ai ricatti materni del campanilismo, mostra un innocente viso di putto marmoreo incastonato incastonato in un prezioso altare barocco; che si esprime con la semplicità del narratore intento a trasmettervi la sua anima più fanciullesca più che la sua perizia di addobbatore (e mi riferisco chiaramente alla occasionale veste dello scrittore, priva di cincischianti ricercatezze). Ma la sua anima trabocca di memoria, di adolescenziale fervore per la sua identità meridionale, per le sue esperienze culturali di scenografo, vissute nel quotidiano e nelle sfere onirologiche della tradizione. Quindi, rapiti da un enthusiasmos dionisiaco, i suoi occhi chiari rispecchiano il ciclo natalizio del presepe, della Cantata dei pastori, e quello estivo dei quattro altari, con la devozionalità di un antico benandante, d’un sacerdote, custode dei mistici scrigni in cui si serbano le parole misteriose dei colori, dei volumi, dei gesti, dei segni, della scaralità più antica, espressa con la massima dignità della fattura.

“LA FESTA” Immagini della memoria, di Raffaele De Majo, è stato pubblicato con il sostegno dell’Associazione Amici delle Arti – Lucio Beffi, finito di stampare a dicembre 2008

Raffaele De Majo compie i suoi studi presso la Facoltà di Scenografia delle Belle Arti di Napoli. Personalità poliedrica ha maturato qualificanti esperienze in Italia e all’estero.
Le sue scenografie hanno accompagnato i lavori di importanti registi della prosa, della televisione, del cinema, della danza e della lirica per oltre trecento realizzazioni, facendone un protagonista indiscusso della scena teatrale dell’ultimo cinquantennio.
Docente di Scenografia dal 1960, è stato scenografo della Rai.
Il suo nome è particolarmente degato alla festa religiosa dei “Quattro Altari” che si celebra nell’ottavario del Corpus Domini a Torre del Greco, per le sue raffinate realizzazioni barocche.
Nel 1985 ha pubblicato il libro “La scena della festa” (Guida Editore).

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