Addio a Evgenij Evtushenko, il poeta amico dell’Italia

Yevgeny Yevtushenko (Cybersky/fonte Wikipedia)

di Luigia Sorrentino

Vanno le nevi bianche/ e anch’io me ne andrò/ non mi rammarico della morte/ e non aspetto l’immortalità“. L’autore di questi versi è il grande poeta russo, Evghenij Evtushenko, che si è spento il 2 aprile 2017 all’età di 84 anni in un ospedale degli Stati Uniti. Il poeta lascia oltre 150 opere e soprattutto la sua mai domata voglia di libertà e di lottare contro le ingiustizie.

Grande amico di Vittorio Gassman e dell’Italia, Evtushenko era nato nel 1933 in Siberia, nel villaggio di Zimà (“inverno” in lingua russa), ma dal 1991 viveva negli Usa, dove insegnava letteratura all’università di Tulsa. E’ considerato uno dei poeti più significativi dell’Urss post-stalinista e di tutta una generazione di artisti che rivendicò maggiore libertà di espressione nella letteratura puntando a ridurre la retorica di regime.

Dopo aver esordito giovanissimo nel 1952 con la raccolta “Gli esploratori dell’avvenire”, dove è forte la suggestione della poesia di Majakovskij, Evtushenko dedicò spesso le sue opere ai temi di attualità e ai problemi della società. E di certo non fu sempre in sintonia con le politiche del Cremlino.

Quando i carri armati sovietici invasero la Cecoslovacchia, nel 1968, Evtushenko condannò fermamente la mossa di Mosca e scrisse questi versi, suggerendoli come proprio epitaffio: “Uno scrittore russo/ stritolato dai tank russi a Praga”.

La poesia che lo rese famoso nel mondo fu però “Babi Yar“, dedicata all’eccidio di decine di migliaia di ebrei commesso dai nazisti nel 1941 vicino a Kiev: “Tutti gli antisemiti – scrisse – devono adesso odiarmi come un ebreo”.

Il suo slancio ideale verso un mondo più giusto lo portò ad appoggiare la rivoluzione cubana, e conobbe sia Fidel Castro sia Che Guevara. A quest’ultimo dedicò anche una poesia in spagnolo: “La chiave del comandante”, scritta dopo aver visitato il villaggio boliviano di La Higuera, dove fu ucciso Ernesto Che Guevara. “Non la chiamo poesia politica – disse in un’intervista parlando della sua opera – la chiamo poesia dei diritti dell’uomo. La poesia che difende la coscienza umana come il valore spirituale più alto”.

Non tutti però apprezzavano i versi di Evtushenko. Un altro grande poeta russo, il dissidente Joseph Brodsky, lo accusava di non essere abbastanza critico nei confronti del potere. “Lancia pietre solo nelle direzioni ufficialmente permesse e approvate”, disse il premio Nobel. E si dimise dall’Accademia americana delle Arti e delle Lettere quando questa accolse Evtushenko come membro onorario.

Evtushenko è morto “circondato dai suoi cari, in modo sereno, nel sonno, per un arresto cardiaco”, ha detto la vedova Maria Novikova. E secondo i media russi ha chiesto di essere sepolto a Peredelkino, il “villaggio degli scrittori” vicino Mosca. Non lontano dalla tomba del grande Boris Pasternak.

UNA MIA PERSONALE NOTA SU EVGENIJ EVTUSHENKO

“L’11 dicembre del 1987, incontrai Evgenij Evtushenko nella storica libreria Marotta di Napoli di Via dei Mille, punto di riferimento culturale fin dagli anni Sessanta, oggi chiusa, dove il poeta russo venne per presentare la sua selezione di “Poesie d’amore” pubblicata con Newton Compton Editore nel 1986 con la traduzione di Evelina Pascucci.” […]

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