Diego Caiazzo, “La Via Lattea”

Diego Caiazzo

Prefazione di Franz Krauspenhaar

La chiarezza e l’altitudine

La poesia di Diego Caiazzo è qualcosa che rimanda a cose estere, alla poesia anglosassone o tedesca. Sia chiaro che un certo filone di poesia narrativa, quella più pacata e sintomatica di un disagio che però non è mai invettiva – raro in Italia, comunque – ha influito sul poeta. Caiazzo, napoletano, è di quella genia di indigeni della metropoli, ideale capitale del Sud, che sta sottotraccia o alto nei cieli. La sua poesia, come potrete notare fin da subito, si sposta su frequenze che sembrano vicine fra loro, e invece compiono tutto il largo giro delle emozioni e delle pulsioni umane. E queste frequenze l’autore le fa diventare suono a volte sibilante, a volte rombante ma mai oltre le righe. C’è la nobile compostezza di una certa Napoli, che un amico giornalista del luogo purtroppo scomparso, Ciro Paglia, mi raccontava come discendente degli Hohenzollern, tra il serio e il faceto di quel suo bel modo di dire e di vivere. Dunque questo esordio davvero tardivo Diego Caiazzo lo fa con questo poemetto, La via lattea, che ebbi modo di leggere già alcuni anni fa. Un vero viaggio tra Paradiso e Inferno, nella coniugazione di un verbo che si fa dolore e passioni piane ma chiare. Ecco quello che può piacere e piace di questo poetare: la sua chiarezza, come se ogni volta sciogliesse il nodo gordiano delle cose ma non facendo un riassunto, bensì facendone una pura sintesi poetica. Ѐ questo che riceviamo da questo libro. Una sintesi di uno spazio vastissimo che diventa anche piccolissimo. Non c’è più limite nell’universo, l’Uomo è sempre lo stesso ma muta sempre, nel cielo della vita e della poesia.

ESTRATTI
da: La via lattea, Lupi Editori 2017
Prefazione di Franz Krauspenhaar
Postfazione di Giovanni Agnoloni
Illustrazione di copertina: Melania Di Felice

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C’è un viaggio
che compio ogni giorno
in composta solitudine
come fosse un pellegrinaggio
a un santuario lontano
ed è vero che cerco
come una guarigione
o forse è solo il cammino
di un devoto
al santo del ricordo
è un percorso mistico
fatto di immagini perdute
fissate alle pareti del cielo
la via lattea
delle dimenticanze.

**

Forse è questo la poesia
una via di salvezza
come la religione
un’invocazione alla divinità
sacrificio e preghiera
ogni componimento è una tappa
di riposo e di conoscenza
stazione di posta
del pensiero e dell’anima
in una via altrimenti smarrita.

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Il bianco e il nero
sono i colori della carta
e dell’inchiostro
e bastano alla poesia
per illuminare il mondo
non ne occorrono altri
tra i versi la vita
si riduce al disegno
e con un po’ di fortuna
se ne intravede la trama.

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Non so ancora bene
cosa sia la poesia
se fosse una via di fuga?
strada dolorosa
lastricata di versi
via crucis dell’anima
promette la vita eterna
offrendo il suo perdono.

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Incede ieratica
come una sacerdotessa
cui sia stato rivelato
il mistero
ha un’aria di santità
questa donna
incinta di nove mesi
tra poco benedirà
il mondo
con un doloroso cenno
del suo corpo
pronto a duplicarsi
d’amore.

**

Quando la vita comincia
ad essere scandita dalle pillole
se ne comprende la regola
e poco a poco viene fuori
un’insospettata posologia dell’universo.

**

Sto attraversando una fase
vegetale della mia vita
controllo pigramente
le modificazioni del corpo
e mi limito ad assecondarlo
immaginando i cerchi
che si formano al suo interno
come nel tronco di un albero
a indicarne l’età.

**

La mia vita ora
è in una stagione senza nome
non più devastata dai ricordi
come se un immaginario salvavita
di quelli degli impianti elettrici
fosse scattato per proteggermi
da un corto circuito fatale
così la memoria immagazzina
registra archivia
ma per pietà non rivela.

**

Il medico mi manipola
mi fa fare i soliti gesti
cerca nuovi segni della malattia
sembra un rabdomante
forse c’è più acqua del dovuto
nel mio corpo.

**

La guardo fisso negli occhi
e mi calo nel pozzo delle sue pupille
per vedere se anche al fondo
ritrovo la mia immagine
lei mi sorride tenera e divertita
e quando riemergo la luce
del suo corpo mi illumina
e tra le sue braccia ricompongo
la disarmonia del mondo.

**

La Via Lattea di notte
si offre ai desideri degli astronomi
mostra il suo corpo fatto
di isole di luce
di gas arroventati
di ingorghi di materia;
come una donna che rivela
un po’ alla volta
il suo mistero erotico
gioca con chi l’osserva
e ne suscita lo stupore immenso
lo sfacelo della comprensione
l’infinità dei calcoli e degli sguardi
così non resta che impazzire
di fronte ai numeri incredibili
dell’amore e dell’universo.

 

Nota dell’autore

Ho scritto “La via lattea” in un periodo ben determinato (19 aprile 2004 – 29 novembre 2011) una composizione, durata sette anni e mezzo. L’ho sentito subito come un discorso unico, una serie di poesie, disposte in ordine cronologico, unite tra loro da un unico filo, come fossero i canti di un poema. Volevo compiere un “pellegrinaggio” sul cammino della memoria, parlare delle cose e delle persone che mi hanno affascinato o solo interessato, che ho amato e da cui sono stato amato. E così i temi sono tanti: l’amore, innanzi tutto, la poesia, la musica, gli scacchi, l’astronomia, la politica, la cronaca, la maternità, la malattia, la scrittura, il sesso, la donna, la religione, il calcio, la filosofia, il dolore, la felicità. In ognuno di questi argomenti ho cercato una connessione con il tutto perché, come credo, tout se tient ed ogni cosa può essere la chiave d’accesso ad una scoperta. Diciamo che scrivere “La via lattea” è stato come cercare il bandolo di una matassa, la mia vita. Per quanto riguarda lo stile ho scelto un misto tra il lirico e il prosastico, tendendo più al secondo quando si trattava di narrare una storia, per poi trarne una conclusione sempre lirica (almeno questo era il mio intento).

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