Alessia D’Errigo, “Pasto Vergine”

 

foto-Alessia-D'ErrigoNon credo di aver scritto “Pasto Vergine”con molta consapevolezza; non mi ero data nessuna tematica, nessun riferimento, nessun punto di partenza. Ho lasciato che le parole arrivassero.

Vengo dal teatro e prima ancora dalla danza. Da anni porto avanti un enorme lavoro sulla ‘parola parlata’ e soprattutto sulla parola poetica. Negli anni e con l’esperienza, avida e curiosa, sono andata avanti con la mia ricerca in maniera sempre più estrema e assoluta, come se non ci fossero mai punti di arrivo ma sempre nuove possibilità di apprendimento, nuovi linguaggi e forme espressive. Via via si è andata a delineare una mia identità artistica e sono andata a definire i punti più importanti del mio lavoro: diventare corpo cavo, essere agiti, lavorare sugli stati alterati di coscienza. Per questo debbo molto alla “Performazione”(www.performazione.com), una forma di teatro assolutamente unica che continuo a praticare, centrata sull’improvvisazione totale, e che per me è la forma più alta che la poesia possa assumere. In effetti la scrittura mi arriva in modo assolutamente naturale (appunto quasi “performata”), invischiata e pregna di tutto ciò. Ho necessità di scrivere. Questo libro mi arriva come un dono, un dono molto sofferto e molto ingombrante, così ingombrante da sembrare che abbia una sua identità autonoma, un dono che ha lasciato in me un senso di estremo e crudo denudamento.

Solo dopo un anno, lasciando depositare il libro e rileggendolo, con enorme stupore mi sono accorta che le tematiche che vi emergono in maniera prepotente sono fondamentalmente tre: la ricerca della Grande Madre, di Dio e la mia esplorazione Umana di Donna.

Desidero ringraziare Luigia Sorrentino che mi ha concesso questo spazio, Maria Grazia Calandrone che ha pubblicato alcuni miei testi su Poesia di Crocetti e tutti i blog e le riviste che hanno sostenuto e sostengono il mio lavoro.

Se la poesia ha un senso, sicuramente lo ha in virtù di una collettività che ne semina le speranze.

Alessia D’Errigo

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ESTRATTI

Anche io sono avversa alla mia forma, alla tua forma, alla mia.
Io sono avversa sì, a questa morte, al lutto dei giorni senza fiori
e rammendo nel cuore un biancospino per ricordarmi del nome
e rammento il tuo nome ch’è il biancospino ricamato nel petto.
Il profumo dei fiori, l’inevitabile profumo dei fiori.
Perché è notte? Cos’ho oscurato senza ricordare? C’era un davanzale,
una stanza e poi la coltre scura di qualche oblio, in sordina,
una memoria vicina alla pelle, l’ortica dei tuoi occhi.

***

Il giglio aperto si schiude, addio.
Il giglio aperto ha vesti esangui, il nudo grembo
madre di ricordo, madre di pancia, addio.
Madonna madre chiedi alla figlia,
Madonna madre che nel silenzio bianco, chiedi.
Non ti somiglio per forma e grazia, non ti somiglio.
Pulsione di carne senza lacrime sante,
di me dentro te, un giorno fu.
Madre Madonna figlia, non ti somiglio per grazia e pallore,
ho cosce sode, sguardo al mondo, l’uovo pronto a sacrificare dalla tua testa.
L’indice e il medio tra gli occhi ho spostato, per accecare il tuo martirio di
donna, il fuoco del tuo cuore è una prigione di preghiere.
Madre sposa del nulla, il tuo vacuo sguardo porgi sulla terra,
l’imene del seme tuo Gesù.
Donna avvinta all’amore, alla carne senza peccato, all’amore,
alla carne senza peccato.
Figlia madre Madonna sposa, porgi l’imene del seme tuo Gesù.

***

Io non so se il cielo possa fabbricare le tue mani di carta,
la nuvola sclerotica del petto e la pioggia che viene, sempre.
Io mi ci fabbricherei un pozzo per vedere il mondo nel suo ombelico,
cadervici dentro sarebbe mandare in pezzi la sala delle bambole.
Fabbricando fabbricando ho sognato un filo d’oro che dal pertugio del ventre
saliva pendulo al seno, era il latte del tempo trascorso che più non torna.
Tu invece fabbricasti, mentre io dormivo, un sogno che viene dal mare, un
sale porporino aperto agli occhi, pianto distillato a cadere, e cadesti.
Pregando, in sordina, fabbricai l’antenna sensibile all’urto e allo schianto,
m’arrampicai nel pozzo, accecai le mie bambole, misi il sogno in una scatola,
col pozzo costruii un binocolo, l’ombelico divenne un bottone e tra i seni
s’addormentò un bambino.

***

calla
et
amore
semper
scollo
del tuo
toro
pietra
seminale
et
geranio
et
geranio
et
preghiera
amen
scollo
del tuo
pene
archivio
et
amore
semper

***

Non so se il mio
è un suffragio di resti sparsi ovunque;
nei tuoi occhi, nei suoi, nei miei.
Non so raccapezzare più la strada;
scivola il giorno, la notte, le ore.
Si scostano pezzi di cuore all’interno;
per amore, per dolore, per troppo dolore.
S’arresta qualcosa oltre il tempo;
un soffio, una ruota, un congegno.
L’architettura del corpo permea inesorabilmente;
che sia io, che sia tu, è una lunga corsa.
Un sudore spossante solca crepe e canali;
d’un verde e bianco fiore si discostano le ore.
La parte lesa e inoffensiva ha un grande cuore;
piange, scalpita, freme.
La parte lesa sono io nei tuoi occhi, tu nei miei;
lo stesso Dio, la stessa partitura, il suono fosco del mattino.
La bocca, il viso,
rientra qualcosa in silenzio
la lunga fenice apre l’ala grande
pronuncia il suo suono, il suo indovinello pagano.
Sono io, sei tu che piangi;
le lunghe occasioni della notte.
Un gatto addormentato nella beatitudine;
sono io, sei tu, non ricordo.

***

Di te impallidisco, luna mia quiescente, tomba mia
possa il pianto innevarti d’alture infinite.
Per le tue mani bianchissime, per la tua pelle pallidissima
ti vedo farti sposa desolata delle valli,
dei lugubri campi sterminati che setacciano ogni dolore, in canto.
Tutta occhi di radici nel grembo, tutta occhi e radici alate a premere
il nervo di Dio, la solitudine immonda e irreale, il pozzo interminabile
di cadute, di detriti, d’uomini e d’embrioni, mia bella d’embrioni fatta,
vagito schiuso al mondo, accarezzarti potessi una volta sola, abbracciarti
e dirti anch’io di quando si cade, ch’è caduta, di quando si ama, ch’è amore,
di quando si muore ch’è infinito cieco.
T’ho cercata spoglia, tanto da tremare di nudità esposta,
così vera da impallidire, mi credi
ch’è così puro l’oblio, se si sente,
intreccio di mani mie,
se si sente, insieme,
io piango.

***

Figlio mio che t’è preso
quale fantasma ha catturato i tuoi occhi, fatti di pietra
così duri al mondo. Io volea abbracciarti mentre piangea sassi.
Creatura,
fermiamoci sulla roccia a piangere assieme, non v’è differenza tra noi
la divisione è un’invenzione macabra per sopravvivere al mondo
ma c’è verità se guardiamo con gli stessi occhi,
c’è verità se la paura non ci ottenebra chiudendoci il cielo, disperdendoci.
Io t’amo. Le mani sono così vicine al cuore
è solo la stonatura a cantare, avvinta, alle radici passate,
ai morti che tremano ancora nelle vene. Ma tu non piangere
ch’io ti bacio e assieme il mondo diviene un prato.
Il fiore raccolto nel tuo occhiello, sei così bello,
ed io m’annebbio tra gli alberi come diventassi uccello.

***

Ho un Uomo, si chiama Amore,
mi ha donato sette morti e un aborto
mi ha donato sette vite e un figlio.
Ho una Casa, si chiama Speranza,
mi ha donato tre croci e un avemaria.
Ho un Dio, si chiama Uomo,
ma non so cosa m’abbia donato.

***

Perché Egli non mi salva se non sono io a chiederlo.
Egli dorme nei suoi sotterfugi, sdraiato nella croce.
Veritiero è chi della verità ne rasenta la forma, la sua cuspide immortale.
Ora taglio le assi, le assemblo per costruirne il cielo,
un bocciolo, la cappella del Creato.
Veritiero è chi della verità ne rasenta la forma, la sua cuspide immortale.
Prendine la fune, la sua enorme mole, scortica la foce, il resoconto di qualche
ragione.
Ma Egli, Egli no, dorme, saluta coll’indice e il medio, tergiversa l’aria
piegandone la fuga, il ritmo naturale, piega la luce attorno, chiama gli angeli a sé.
Veritiero è chi della verità ne rasenta la forma, la sua cuspide immortale.
Ora scortico la corteccia e la lascio morire tra il libeccio,
lascio imperlarmi per una volta, una sola.

***

Allora scriverò, no, non scriverò più, intaglierò parole nel bosco
estrarrò radici di baci e lingua, tutto il mio sentire reso disponibile
a Dio, per la gloria del suo indice volatomi in seno, io tacerò
il silenzio che avviene nell’incavo e sulle alture dei cipressi
ove cantano i morti e i flauti del mare; la mia vagina è spuma.
Ecco che viene, a raccogliermi, come fossi divenuta alga,
pesce muto di speranza, spiaggia del mio pianto al mondo,
viene, l’Amore ad espropriarmi delle omissioni, degli ammanchi,
del mio uccello pigro che il nido fabbricò su di un’ isola. Perdono.
Avvengo al mio assolo come sasso in un prato, esfoliato dalla
ruvidezza, poro di pelle aperto e nudo, per perdono e dolore
rimastomi in petto, per perdono e dolore che ho taciuto. Sasso.
E non so spiegarmi più, se ora taccio e mi schianto, non so
spiegarmi poggiata sulla fronte del mio nascituro, io Madre
a farmi statua e corpo tra le braccia; tu, marmo
e il seno alla bocca tua, no! Perdono per le mie altezze
io non posso più fabbricare morte se ho te, cuore, se ho te.
La resa, la resa, l’oblio, la resa, lo schianto, lo scolo, il mio
apparato, il mio parato volo, io, Figlio, non posso ancora
mollarmi se tu mi tieni a palloncino e volo, tenuta dal
piccolo filo, in trasparenza e riposo, tra la nuvola e Dio.
E passano calpestandomi, e mi rialzo che ancora non sono
in piedi, mi rialzo, che piango. Tu ridi. Lasciami il filo.

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Alessia D’Errigo
Ricercatrice in campo teatrale e cinematografico.
Scrittrice, interprete e regista di varie opere teatrali.
Dopo un percorso classico come attrice inizia una ricerca personale sull’atto scenico e sulla reale necessità del suo manifestarsi.

Nel 2004 apre, insieme al suo compagno, l’artista e regista Antonio Bilo Canella, il “CineTeatro di Roma” (www.cineteatro.it) centro di ricerca formazione e produzione in campo teatrale e cinematografico. Proprio al CineTeatro inizia un lungo percorso sull’improvvisazione totale (la Performazione: www.performazione.com) e porta avanti una ricerca personale sull’Improvvisazione Poetica. Da questa ricerca – nel 2011 – Alessia D’Errigo apre il progetto IMPROMPTU THEATRE (http://impromptutheatre.jimdo.com/ ) l’intento è quello di voler fondere varie arti (musica, poesia, danza, pittura e teatro) in uno scenario d’improvvisazione totale. Progetto sancito dall’omonimo spettacolo “Impromptu” con il pittore-performer Orodè Deoro, e da altre due performance “Variazioni Belliche (LamentAzione)” e “Per i tuoi occhi bianchissimi”

(VEDI VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=h9WManvZMwA )

Dal 2012 ad oggi, ritorna a lavorare con Antonio Bilo Canella con la Performazione, aprendo insieme a lui il “Collettivo Performativo” e collaborando con vari artisti, scrittori, danzatori, musicisti, pittori e poeti.

Nel 2011 ha pubblicato la sua prima silloge poetica ‘Carne d’aquiloni’ con l’editrice Zona Contemporanea. I suoi testi sono presenti in numerosi blog, riviste web e in alcune antologie. Tra il 2011 e il 2012 Ha curato la rubrica di poesia “Rediviva Donna (classica e contemporanea)” sulla fanzine Versante Ripido. A dicembre 2013 una ventina di testi inediti della raccolta ‘Pasto Vergine’ escono sulla rivista “Poesia” di Crocetti Editore con l’introduzione di Maria Grazia Calandrone.

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IMPORTANTE: Per volontà dell’autrice il libro “Pasto Vergine” è gratuito.

Chiunque desiderasse avere una copia in formato pdf può inviare una mail su: derrigoalessia@gmail.com

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