“I ricordi dovuti”, di Antonietta Gnerre


Antonietta_GnerreGiovedì 28 maggio
alle 18.00,  al Circolo della Stampa di Avellino (Corso Vittorio Emanuele) si terrà la presentazione del libro di Antonietta Gnerre I ricordi dovuti”, Collezione di quaderni di poesia “Le gemme” (2015).

Introduce Stefania Marotti, giornalista de “Il Mattino”.  

Interverranno, Cinzia Marulli, curatrice della collana Le Gemme, il poeta Davide Rondoni, il vaticanista di Avvenire, Mimmo Muolo, Paolo Saggese del Centro di Documentazione Poesia del Sud. Modererà la serata Cosimo Caputo.

Scrive Davide Rondoni nella prefazione:
 “La poesia della Gnerre è una voce tra gli alberi. Appartiene a quel livello della natura umana che riguarda il sacro, l’amore fondamentale, la memoria. La sua voce, trasfigurando vicende personali e luoghi precisi a cui si riferisce, rappresenta un punto di vista e di visione sulla vita. E sul destino. Non a caso qui si parla di Custodia, di parti di sé seppellite. i-ricordi-dovuti-150x150E non perché contino risvolti biografici malcelati o censure, ma tutto – le cose visibili e invisibili – è materia vivente…Non a caso si trova qui un omaggio a Maria Luisa Spaziani, poetessa del più alto decoro della recente tradizione nostra. Ma la Gnerre anche quando tende a offrirsi in dizioni così polite, levigate e terse, ha poi un altro movimento, una necessità di essere selva, alberi, un controtempo di selvaggio, di primario”. Preziosa è in questa silloge dal forte valore spirituale, l’epigrafe che l’autrice ha scelto da un’opera di Papa Francesco che recita così: “ C’è sempre dell’altro. / C’è sempre un’altra possibilità./ C’è sempre qualche orizzonte aperto”.

Alla fine della presentazione, Antonietta Gnerre leggerà alcune poesie dal libro.

Sottofondo musicale di Massimo e Francesco Lobresca.

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UN ESTRATTO DAL LIBRO

 

Il tempo divide i miei anni in traiettorie.

Già sono in movimento nella nuova stagione.

Tra le tante parti di me che ho seppellito.

 

Chiamo dal mio stesso corpo la bambina che sono stata.

Per vedere quello che avrei voluto essere. Un’altra donna

uguale e diversa da tutte le donne che sono nate.

Diversa da me. Sono nella vita, eppure nella vita muoio

trattenendo le foglie dei miei ricordi.

Muoio guardando i morti nel sonno,

nel tempo prima dell’alta marea.

 

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Di tutti i colori amo il verde,

l’immaginazione della sua andatura.

La base quando contiene ciò che rimane,

la forma che sfila collane di acqua.

 

Dove trovo il verde

il tempo delle cose si ripete.

Si ripete da lontano fino all’inizio dei rami

nel gioco dell’istante.

Dal verde tutto emerge e tutto muta

nel miracolo di un nuovo germoglio.

 

—–

C’è una strada

in questo esilio che esploro

tra le ombre assegnate dalle piante

come pagina di un libro.

Non c’è altra vita.

Solo questa mi appare, telaio di me stessa.

Luogo che comunica lungo l’orizzonte,

sulle punte dei rami tranciati.

Attraverso ondulati pendii che conosceva mio nonno

e che conosce mio padre,

contando sulle dita le mie domande.

Questi campi sgualciti sono le mie radici.

Carne di una strada che mi porta ovunque.

 

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