Silvana Mangano, attrice e icona

Riletture
Federico Rocca,  Silvana Mangano, L’Epos 2008, euro 28,30
a cura di Luigia Sorrentino


L’ATTRICE E L’ICONA. SILVANA MANGANO
di Nadia Agustoni

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E’ del 2008 una biografia di Silvana Mangano scritta da Federico Rocca, un giovane critico cinematografico laureato al Dams in Storia del cinema italiano. Con questo libro Rocca mette in luce la Mangano interprete e il suo mito e ci fa rivivere la sua recitazione, rivelando uno sguardo attento ai particolari: dai gesti fino alla voce e all’espressione del volto.

La Mangano di Riso amaro, corpo sensualissimo e morbido, di una bellezza popolare, lascia progressivamente il posto a una donna e attrice raffinatissima, fino al punto di capovolgere la propria immagine in quella un po’ snob e altera della signora viscontiana di Morte a Venezia. Tra un film e l’altro sono passati trent’anni e per chi seguì l’attrice nelle sue metamorfosi, la sua quasi ultima incarnazione è, non una rivelazione, ma una conferma del suo essere diventata, ben oltre la donna e l’interprete pur raffinata e adorata dai grandi registi del tempo, l’icona Mangano. Pier Paolo Pasolini le aveva già reso il grande omaggio ne Il Decameron, di un unico emblematico fotogramma in cui l’attrice appariva come la Madonna.
Scrive Federico Rocca: ” Pasolini destina alla Mangano il ruolo più sublime e regale che si possa immaginare, quello di un’umanissima e nello stesso tempo sovrannaturale Madonna”.(1) Luchino Visconti, ai cui occhi personificava la figura materna, vide in lei la forte somiglianza con Carla Erba, madre amatissima del regista.

La Mangano, ci dice Rocca, se fu interprete capace di grandi ruoli drammatici era anche dotata di una verve comica notevole. Il capitolo sulla commedia all’italiana, forse il periodo più trascurato da chi ha scritto della Mangano, è restituito dal critico con il ripercorrerne i ruoli in cui era la spalla spalla di attori quali Alberto Sordi e Bette Davis segnalandone perà i camei.

Goffredo Fofi scriveva a suo tempo di averne apprezzato le interpretazioni in L’oro di Napoli di De Sica, dove è Teresa donna umiliata e schernita per il suo passato e in La terra vista dalla luna, episodio diretto da Pasolini con un Totò inedito, in cui è Assurdina Caì, fantasma poetico di donna idealizzata e qui vien da sorridere, perfetta infine perché morta.

Se L’oro di Napoli appartiene al primo periodo della Mangano che la vede attrice drammatica, la commedia all’italiana la reinventa capace di far sorridere. Gli anni aggiungono spessore alle sue interpretazioni, per altro quasi mai da protagonista e il dopo commedia all’italiana le porta, finalmente, registi capaci di capirla profondamente. Pasolini e Visconti ne faranno la loro musa. Soprattutto per loro la Mangano sarà icona muta e idealizzata, quasi trasfigurata in una spiritualità che non è più nemmeno recitazione, ma buca lo schermo. Osserva, in un passaggio del libro Federico Rocca, che Silvana Mangano è la bellezza; e siamo d’accordo, ma come poi egli stesso ci dice, è anche personaggio dalle molte sfaccettature e indecifrabile. All’attrice, diva e icona internazionale, si sovrappone sempre la donna concreta, forte a tratti, ma più spesso sofferente.

Il libro oltre ad occuparsi delle tre fasi della carriera della Mangano, contiene interviste interessanti a persone che l’hanno conosciuta e frequentata. Tra tutte la costumista Bruna Parmesan e lo stilista Roberto Capucci che la raccontano spaesata e timidissima.
Alle tristi vicende personali dell’attrice, Rocca fa qualche accenno discreto e inevitabile.
Inquadrare un mito, come è stata la Mangano, vuol dire non poter del tutto sorvolare sui risvolti privati, per altro ampiamente pubblici.
Pochi gli accenni al libro della figlia di Silvana, Veronica de Laurentiis e lieve, sfiorato quasi con tenerezza, il ricordo della tragedia della morte del figlio Federico, ventiseienne, in un incidente aereo.
Federico Rocca conferma l’impressione di molti che Silvana Mangano voleva essere attrice, amava il suo lavoro e che le sue rimostranze riguardo al cinema riguardavano piuttosto una certa volgarità insita nell’ambiente.
Alcune dichiarazioni della stessa, sincere e non “dovute” come al solito, fatte durante le riprese di Oci ciorni, sono lì ad avvalorare questa tesi.
Le sue ultime foto, per un servizio di moda, svelano un volto ancora bellissimo ma provato dalla malattia di cui morirà di lì a poco. Dello sguardo magnetico della Mangano rimane la spietata fragilità. Quella che si coglie a distanza ancora oggi e che ce la restituisce, sì icona, sì mito, ma soprattutto, umanissima.

Note:
1) Federico Rocca; Silvana Mangano, pag. 206, L’Epos 2008.

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