Opere Inedite, Carmen Gallo

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

“Credo che la poesia sia per me un modo di vedere le cose, un modo di vedere le cose che non si vedono ma ci sono. Non mi interessa dare un nome alle cose, mi basta riuscire a metterle a fuoco, anche nella loro forma improvvisata e incompleta. Ho scritto la mia prima poesia guardando un quadro, e leggendo T.S. Eliot. La poesia inglese mi ha accompagnato in questi anni insieme a poeti italiani che amo leggere e rileggere: Montale, Quasimodo, Pavese, e ora Anedda, De Angelis, Mesa, e tanti altri. Negli anni universitari, l’incontro con i poeti metafisici, e John Donne sopra tutti, ha cambiato il mio modo di scrivere e di pensare la poesia. L’audacia delle sue immagini, la vertigine delle sue argomentazioni, la cieca fiducia nella capacità della parola di creare mondi, e farsi mondo, senza abbandonare mai la realtà più quotidiana e particolare dell’esperienza.

Mi ha sempre colpito ciò che Conrad, molti secolo dopo, avrebbe scritto nella sua nota a La linea d’ombra, a proposito della sua convinzione che ‘tutto ciò che pertiene al dominio dei nostri sensi deve esistere in natura e, comunque eccezionale, non può differire nella sua essenza da tutti gli altri effetti del mondo visibile e tangibile di cui noi siamo una parte cosciente di sé’.

Da alcuni anni lavoro a una raccolta dal titolo provvisorio “Paura degli occhi”. Si tratta di una riflessione su ciò che riusciamo a vedere e ciò che non vogliamo vedere. Sulla possibilità stessa di vedere le cose quando fanno parte di un intero, e quando invece, sole, provano a trovare un senso rispetto al vuoto che le precede e che le segue. Sulla possibilità di vedersi attraverso le immagini della poesia, e di vedere di sé quanto abbiamo e quanto stiamo perdendo.”

Carmen Gallo

—- 

Come avere
paura degli occhi
come sapere
che tutte le bocche
professeranno il falso
e per prima la tua
dirà cose che non vuole
vedrà cose che non sa
e il vero più del falso
resta nelle parole che non riconosco
perché non hanno la tua forma
la calce bianca dei tuoi sensi
deformati per l’occasione
parole annerite, scartavetrate
cercano rifugio tra le mie
ma non trovano
che una pace fatta di spilli
di mura che non tengono
di soldati che non parlano la tua lingua

 
*****

 

 
Cosa riportare
delle nostre alte ferite
fila di coperchi alle pareti
e cancellare il margine orizzontale
delle tue ciglia disposte ad est
nell’inverno dei tralicci
le tue schiere di superfici
a misurare la calura
l’asfalto che si scioglie
su ogni cosa e si consuma
distanza minima di paesaggi inchiodati
di profili poco umani
resistere all’aria immobile
degli scompartimenti
e respirare lo spazio nuovo
che si nasconde in alto
abitare i soffitti cavi delle parole
e tendersi a raccogliere
solo i tempi imprecisi delle cose

****

Abitarsi nelle mani e addormentarsi
a poche bocche di distanza
al riparo della corteccia
della sua forma improvvisata
c’è un vento che ci ascolta
arrivare da lontano
da dove è profondo e non si tocca
da dove si resta vivi a guardare

A largo, ancora più a largo ci teniamo
la terra si fa grido fermo, e non ci vede
noi soli la sentiamo
respirare nelle sere che non riempiamo
nelle voci che non ci somigliano
nelle facce che risalgono il fondo
crespo di ogni superficie

La luce ci sorprenderà estranei
da ciò che non abbiamo scelto
nella perdita degli occhi
tutto sembrerà inseguirci
ma noi impareremo a vivere
a essere senza di noi
polmoni pieni d’aria
sotto il vetro dell’acqua

 

***

 

e mai più cercare ragione del torto
ché il torto lo portiamo al collo come
una pietra levigata nella stretta
un silenzio da osservare da vicino
Allentare la presa non è ancora
Respirare, ma entra l’aria, lo senti
nelle braccia che accolgono il colpo
nelle spalle liberate in dispersione

Come se gli occhi fossero finalmente
Da un’altra parte, come se la fronte
non stesse lì a dividere il soffitto dalla gola
E la caduta è rivendicazione silenziosa
Di ogni cosa al di qua della visione
una domanda che scende dagli occhi
e non si riempie e non si svuota.

Carmen Gallo (Napoli, 1983) è dottore di ricerca in Letterature comparate, e da alcuni anni si occupa di poesia metafisica inglese (Donne, Herbert, Crashaw), dei rapporti tra teologia e letteratura, e delle invenzioni dello spazio in letteratura. É stata due volte finalista al premio Mazzacurati-Russo per la poesia (2009-2010; 2011-2012), e al premio Subway Letteratura-Sezione Poesia 2011. Alcuni testi sono stati pubblicati in antologie (Registro di Poesia #3, 2010 e Registro di Poesia #5, 2012, Edizioni D’If, Napoli). Con Tommaso Di Dio, Alessandra Frison, e Domenico Ingenito cura gli incontri di lettura di giovani poeti “Fuochi sull’acqua” che si sono tenuti a Milano, Napoli e continueranno nei prossimi mesi in altre città italiane.

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