Opere Inedite, Steven Grieco

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

“Il poeta è prima di tutto osservatore della realtà, come questa appare ai sensi, originando allo stesso tempo al nostro interno. Per questo egli sa che l’oggettività in senso puro è un’illusione, che ogni faticare umano è eternamente in bilico fra “interiorità” e “mondo esterno”, fra essere e non-essere.
Ciò che egli trae dal mondo è quindi l’immagine sottile. L’immagine sottile è un fuoco che arde e purifica. Non è la gioia, e soprattutto non è il dolore, che tentano entrambi di assumerne le sembianze, ma sono soltanto stati d’animo che modellano le forme dell’esperienza e spesso tendono a deformare di questa la più profonda, inalterabile, natura. Possiamo, certo, ritrarre il dolore o la gioia, ma dovremmo essere sapienti nel farlo, se davvero è al superamento d’ogni emotività passeggera che l’arte per sua natura tende, come il pastore epirota che se ne sta sdraiato sulla via polverosa suonando la floghièra, flauto dei greggi.

Dobbiamo salire più su, perché l’espressione poetica che d’un tratto ci allarga l’animo è una viva voce che può provenire da chiunque – da un bambino, un ubriaco, un poeta o un analfabeta. Nell’attimo in cui essa fa trasalire per la sua inspiegabile intensità, tutto scompare: chi ha detto, ciò che è stato detto, chi ha udito. Il poeta non possiede il suo dire. Bashō non lo dimenticò mai.
Sì, questa cosa, “poesia”, è più grande perfino di se stessa. Per questo la troviamo in ogni altra forma artistica, e oltre ancora. Quando un dipinto, un film, una prosa, raggiungono quel suono chiarissimo, quel senso dell’eterno presente, ecco la poesia.”

di Steven Grieco

COPPIA DI AGRITURISTI IN VAL D’ORCIA

Eccoli davanti al casale
seduti insieme, assorti
in un intimo dialogo sul Bello:

non per nulla oltre la siepe
è la campagna toscana, nitida, luminosa:
cipressi, ronzìo d’api, colline azzurre
frammiste ad altri azzurri;

e loro
fin nel profondo coscienti
del miracolo di una terra
sfrondata da guerre e transumanze,
da ogni miseria e sporcizia,

dove la storia è un sogno d’arte
e miti greggi su morbidi pendii
provvedono da soli
a tacere la ferocia dei mattatoi.

Ah, queste dolci, immemori strade –
la vita, così, può durare
mille anni, un’eternità…

Ma, no, sbagliate,
il loro sguardo
non è fermo su niente,
né rivolto in alcuna direzione!

Sono ciechi entrambi,
e tutto intorno,
il magico, esangue paesaggio.

***

COSA VEDEMMO DAL PONTE S. TRINITA:

La mattina grave
gonfia di piogge intermittenti
e palazzi, neri macigni in vie strozzate

ma anche strappi, ventate qua e là
e ardite, in alto, nubi
bianchi sbuffi di carbone
un ricordo d’ali
.per sempre scendendo

Noi, rapiti dal fiume limaccioso
ingombro di rottami e nudi tronchi
vedemmo su un viluppo di rami
sospinto a riva
una coppia di anitre,
.naufraghi risplendenti
dallo squarcio fra cielo e acqua,
da un’icona che narra il suo nulla:

e loro, rivolte ai nostri sguardi
erano della lucentezza che scavalcherà i secoli
appena consapevoli d’esser qui,
ma svegli a quest’atto creatore

ancora dialoganti con un pittore sgraziato
che ha infine il pensiero che spumeggia
quietato
e scorge, di là dalle distanze
loro comporsi

due forme sottili
precipitando in corridoi d’aria

e le plasma, e stupito l’attira
e nel tumulto è loro

fin qua, sulle onde brute
i due fulgidi corpi
doppia tenebra piumata –

Un corvo gracchiò dal cornicione
fai tua quella lucentezza!
impiega i colori che nel tempo
risplenderanno

Risalendo in alto,
alla vertigine di quelle barriere
un soffio ti schiuda l’uscio chiaro di quaggiù:
dove i pioppi ondeggiano,
e sempre perdi
fra le acque di primavera,
ritrovi
il sentiero dell’immagine

***

VIA DE’ CANACCI

In questa via stretta
dai portoni sempre chiusi,
deserta nel bagliore di mezzogiorno,
ho ricordato un poeta che io conobbi,
timoroso di finestre, timoroso di squarci,
che al tramonto spiava da dietro le persiane
l’arrivo della notte.

Forse era proprio sua questa via
dal rotto selciato, dove sul tardi appaiono
sfiorite falene dietro i cassonetti,
e ubriachi spargono vino sui marciapiedi
e berciano gli spacciatori, e piangono
gli eroinomani inconsolabili,
sbirciati da dietro le persiane
da uno stormo di vecchi ostili e gechi
e pipistrelli.

Ma quando infine chiudono i locali
e tacciono i tubi di scolo
e prende sonno
anche l’aria,
la via mille volte violata
s’acquieta;
nel silenzio senza respiro
torna a fendere la sua anima tenebrosa
il canto di un ebbro d’amore
già avviato
oltre il ciglio dell’aurora.

***

NEL CALEIDOSCOPIO

Quel tempo in cui pensavo
di dover percorrere solo questa desolazione,
mi rende un pugno di immagini rovesce:

pensavo, spalancando forte
la tua porta mai chiusa
.di non
trovarti
(ignaro di non poterti raggiungere);

dopo rovina, deliquio e morte,
ritrovarmi uomo, padre dei miei figli,
seduto alla mia tavola
sotto la fiaba di un arco arabescato:
e stretto in questo doloroso abbraccio
perdermi al suo interno,
diventando irraggiungibile;

sì, adesso riconosco
il paradosso del tuo sguardo:
è nessun dove:
“tu” trovare “me”:

scala
che s’attorce su nella mia dispersione,
ma di cui l’ubriaco immaginare
può rovesciarsi:
Geme il catenaccio, dell’abbaino
s’aprirà lo sportello aperto…
non so
ancora esito a percorrere le vie dell’aria

***

 

1. LEI AL FRATELLO

Sarà questa l’ora del risveglio:
quando l’alba grigia cola dalle finestre
e le zanzare ronzano pigre
sui visi dei dormienti;
quando i facchini del mercato
si tolgono canticchiando
i grembiuli macchiati di sangue.

E dimmi, se lo sai dimmelo, cosa
narrano le preghiere che sventolano
dalle fessure all’orizzonte?
Dove vanno gli uccelli dai corpi celesti
in un cielo così mirabilmente profondo?

L’impossibile, vero distruttore di sogni,
è da tempo la nostra guida.

*
2. COSA LUI LE RISPOSE

Sorella amata, questa tua nostalgia
mille volte più bella d’ogni casa
è quello che conosco anch’io quando
salgo le scale alla sera lucente

la tua gioia, più grande d’ogni gioia,
è freccia che colpisce il suo bersaglio
porta che in noi si spalanca su un luogo
dove risplende il passo sotto i passi
e alitano ombre nell’aria senza aria

dove è oro nel buio di parole,
e il nostro sapere un dire lievissimo
che turba questo sogno ad occhi aperti

***

 

LASCIANDO KORONISIA, 2002

Sopra l’acqua e le isole
volava un pellicano
nell’oscuro quarto di cielo,
saliva
sfiorando i monti all’orizzonte!

Volemmo dire addio, scambiare
questo per l’altro mare d’autunno,
le campagne ferme nel tempo
dove tacciono gli uccelli dipinti
fra i cipressi.
Ma qui, in ogni angolo
le cose mutavano con sorriso malcelato:
e la loro voce era una sola.

Allora in quella sera di tardo dicembre
improvvisa l’aria ingoiò se stessa,
i voli, e l’acqua,
scorciò le nostre illusioni e ogni radice di sillaba
che io, sapiente, avevo intessuto
nella sua traslucida tela.

Ingoiatasi fino in fondo
lasciò soltanto tenebra spalancata,
pioggia, l’autobus verso Igoumenitsa.

Dopo Messopotàmi,
i promontori sul mare
si nascosero meglio della notte,
finché il pullman parve star fermo
mentre la strada, libera
da ogni inversione o ripensamento,
correva avanti senza mèta;
e noi nel frullare del motore
ancora pieni di sogni e visioni,
ciechi come la coda del pavone.

Perché il balbettio, perché
le parole più semplici che ardue,
talvolta intere, incredule?
Una piuma
mi sfiorò di quel fardello grave,
forme prive d’ogni spessore,
esistenze illimitate
nel tendere di luce e oscurità.

Mezzanotte, ai finestrini apparvero
agenzie, caffè, gente e specchi in attesa.
Cadeva la pioggia a fili nelle pozzanghere
sull’asfalto:
scivolammo verso moli nel buio
e navi addormentate una dopo l’altra,
fino al nostro traghetto
vuoto, colmo di luce:

al cui interno
uno sguardo appena disattento
avrebbe rivelato
volo di pellicani, e acqua,
e nuove isole.

***

INDOVINELLO SULLA CODA DI RONDINE

Valutazione del critico:

Completo dici tu questo presente:
del domani che ci dilaga incontro
ravvisi il volo, splendida nerezza
dileguarsi nei multipli passati.

Risposta del poeta:

Sempre, volgendomi avanti, io osservo
che precede in perpetuo combaciarsi:
come l’anelito se stesso insegue,
e sempre si rimira nei nostri occhi.

Esortazione del critico:

Il non-spazio tra ricordo e speranza
dunque è un seme che intero li contiene?
Sii lucente, supera ogni censura,
ogni assurdo: da sé, stesso disgiungi.

Risposta del poeta:

Abbagliato, trascuri il mio lettore:
sul bianco foglio io traccio mero inchiostro,
ma lui quel senso sprigionando incanta,
il cieco incastro fa guizzare in alto.

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Steven J. Grieco, nato in Svizzera nel 1949, poeta e traduttore. Scrive in inglese e in italiano.
In passato ha prodotto vino e olio d’oliva nella campagna toscana, e coltivato piante aromatiche e officinali.
Attualmente vive fra Roma e Jaipur (Rajasthan, India).
Ha effettuato negli anni diverse letture di poesia, fra cui a New Delhi, alla Sahitya Akademi (Accademia Statale delle Lettere).
Sempre in India pubblica dal 1980 poesie e prose in riviste di Bombay, Delhi e Trivandrum.
Nel febbraio 2006 ha presentato sue traduzioni del poeta urdu Mirza Asadullah Ghalib all’Istituto di Cultura dell’Ambasciata Italiana a New Delhi. L’anno seguente, una selezione del lavoro è apparsa in “Pagine”, rivista letteraria romana. Il lavoro è stato realizzato in collaborazione con Shree Ashok Vajpeyi, poeta hindi.
Queste traduzioni costituiscono il primo tentativo, in Italia, di presentare la poesia di un grande poeta Urdu in chiave non strettamente filologica, più accessibile all’amante della cultura e della poesia. E’ in progetto un volume intero delle poesie.
Attualmente sta ultimando un decennale progetto di traduzione in lingua inglese e italiano di Heian waka, in tandem con il Prof. Teppei Yamada, dell’Università Meiji di Tokyo.

5 pensieri su “Opere Inedite, Steven Grieco

  1. Caro Steven, che sorpresa! Le tue poesie sono belle e suggestive – e mi ricordano per molti aspetti quelle di Alessandro Ricci. E le parole con le quali le accompagni sono acute e pienamente condivisibili.

  2. Dear Steven.
    When I Read Your Poems, Something Inside Of Me Starts Ringing. Thanks For This Feeling That You Shared For Free.
    Yours. Arash.

  3. Caro Steven, ho cambiato mail e ho perso tutti i miei contatti, potresti rimandarmi la tua mail? Volevo invitarti a presentare la tua opera poetica all’Isola dei Poeti, una bella manifestazione che si tiene a giugno-luglio all’Isola Tiberina. A presto.

  4. Stremata dal maelstrom traduttorio affrontato insieme tra fatica e ironia, mi ritrovo stamane come il tuo pastore epirota, stordita e panica, pronta ad accogliere il riverbero di questi tuoi versi. Gli uccelli-elefante preistorici si sono dileguati, nell’aria e’ rimasta soltanto di nuovo la chiara luce mattutina.

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