“Terracarne”, intervista a Franco Arminio

Nello Scaffale, ‘Terracarne’ di Franco Arminio
a cura di Luigia Sorrentino

Franco Arminio (nella foto di Mario Dondero) nel suo ultimo libro, Terracarne, (Mondadori, 2011) compie un vero e proprio viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia. Terracarne è l’istantanea ‘fisica’ – e psichica –  del perfetto paesologo. Non a caso Arminio dice: “La paesologia è una via di mezzo tra l’etnologia e la poesia”. Ecco dunque Arminio calzare ora le scarpe del poeta, (colui che attraversa con il proprio corpo il paesaggio, lasciando  che il paesaggio entri nel proprio corpo), ora il cappello dell’etnologo, (colui che studia l’antropologia culturale dei popoli, partendo dalla lingua, ma utilizzando anche la gestualità, l’osservazione intesa come mimica facciale di un popolo).  Con la cifra inconfondibile della sua umoralità  Arminio traccia con Terracarne la figura di un ‘io errante’, alla continua ricerca di sé e del mondo esterno inteso come ‘patria riconoscibile e dalla quale essere riconosciuti’, luogo su cui ‘fondare’ la propria origine. Ma Terracarne ci fa intravedere anche un’altra figura, direi anche, più divertente: quella dello “scavalcamontagne“, ossia, del guitto, che gira da un paese all’altro per proporre, nei luoghi più sperduti della terra, il proprio amore  per il teatro della vita.  Il grande Eduardo De Filippo, definiva così questo genere di personaggio (a cui egli stesso sapeva di appartenere):  «dorme sempre fuori casa, spesso solo e in stamberghe, mangia sovente male in bettole di quart’ordine, recita in teatri polverosi e pieni di spifferi, affronta viaggi pieni di incognite… ma tutto questo è sempre meglio che lavorare».  La conversazione che segue con Franco Arminio è di Antonietta Gnerre. 

di Luigia Sorrentino
Antonietta Gnerre
a colloquio con Franco Arminio

Franco Arminio, puoi parlarci della tua scrittura, di come nasce?
Nasce dal disagio di stare in un corpo destinato a morire e di stare in un mondo che è morto. Parlo del mondo degli umani. Un mondo in cui non riesco a entrare, e quando sembra che ci sto dentro quelli sono i momenti in cui l’esilio è più grande.

Terracarne (Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia, Mondadori 2011) è il titolo del tuo ultimo lavoro. Parlaci di questo libro…
Si tratta di un libro paesologico. Sono andato a vedere tanti posti e ne ho scritto. Un libro sulla terra che ho visto e sulla carne da cui guardo la terra. In un certo senso è un libro semplice, che parte dal fatto che ci siamo noi e ci sono le cose. Noi non possiamo fare molto, però almeno le cose possiamo guardarle.

In questo libro terra e carne si uniscono come nella splendida poesia di Andrea Zanzotto. Il corpo si fa paesaggio e il paesaggio prende corpo…
Ho appena finito un film sull’Irpinia in cui il paesaggio non ha il ruolo di sfondo che gli è assegnato di solito, ma è il protagonista della narrazione. Ormai mi nutro di paesaggio più che di persone.

L’originalità del tuo libro consiste in uno sguardo nuovo sui piccoli paesi del Sud, percepiti e osservati non più nella loro valenza meridionalista ma nella loro sostanza visibile…
Le astrazioni sociologiche non mi interessano. Mi interessa quello che si vede, la sostanza dolente e poetica del nostro sud.

L ‘erranza è un motivo dominante del libro?
Il mio è un errare che prevede sempre il ritorno a casa. Scrivere è sempre un tentativo di tornare a casa. Quella di muovermi nei dintorni mi pare una piccola invenzione. Esiste la letteratura di viaggio ed esiste la letteratura fatta nella propria stanza. Io faccio la letteratura dei dintorni.
Un libro che mostra una specie di nuova devozione, un rinascimento letterario dei luoghi?
Devozione mi pare la parola giusta. A un certo punto è come se mi fossi accorto che sono rimasti solo i luoghi. E li vado a vedere, sapendo che stanno sparendo.

Terracarne è una sorta di grande riassunto di tutto quello che hai fatto in trent’anni di scrittura. A quale libro sei più legato?
Forse Nevica e ho le prove è il mio libro più ricco. Lì dentro ci sono le pagine a cui sono più legato.
Io vado molto dietro alla luce. Quando c’è la luce giusta niente può tenermi in casa, devo andare, devo andare a prenderla questa luce. Non so se questo c’entri con quello che scrive Roberto.

Roberto Saviano ha detto che in questo libro ci sono frammenti di luce. A tratti abbaglianti. È così?
“Io vado molto dietro alla luce. Quando c’è la luce giusta niente può tenermi in casa, devo andare, devo andare a prenderla questa luce. Non so se questo c’entri con quello che scrive Roberto”.

Secondo te uno scrittore è sempre un lettore in vari sensi?
In verità ultimamente leggo poco. E molti libri mi annoiano, ci trovo un gioco vecchio. In un certo senso anche andare in giro è una forma di lettura. Leggo i paesi, sono un loro affezionato lettore, uno dei pochi. Il paesologo legge tutti i paesi, il paesanologo legge solo il suo paese.

A quale autore italiano ti senti più vicino in questo periodo?
Non so rispondere a questa domanda. Ho delle affezioni provvisorie. Non c’è un autore che occupa la mia mente in mondo stabile.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Entro un mese conto di consegnare il film sull’Irpinia e un libro di poesie. Poi vorrei dedicarmi a un libro che per ora si chiama Osteria del malumore.

di Antonietta Gnerre

4 pensieri su ““Terracarne”, intervista a Franco Arminio

  1. Arminio è un autore che m’intriga molto.Esplora il “paesaggio” di fuori, elevandolo a persona viva, in agonia. Ma il “paesaggio interiore” non è altrettanto degno di attenzione e di pietas?

  2. L’intervista restituisce con efficacia tanto il fascino e l’originalità della scrittura di Franco Arminio, quanto la spigolosità del personaggio e dello scrittore.
    Leggere “Terracarne”, ad ogni modo, è fondamentare se si intende attraversare un Sud distante e diverso da quei ‘panorami di sfondo’ di molta cinematografia e dai luoghi comuni della cronaca quotidiana. Magari per dissentire dalle ‘letture’ dell’Autore, magari per farsi venire la voglia di andare oltre gli stereotipi e le caricature. E magari per sperimentare come paesologi si può diventare per vocazione o elezione (è il caso di Arminio) o per reazione. In attesa della necessità di farsi attraversare dai paesi. Questo libro ci spiega come fare.

  3. Bella questa intervista che consacra, se mai ce ne fosse bisogno, un grande scrittore: Franco Arminio. L’Irpinia purtroppo, non apprezza mai chi davvero merita. E’ una terra meravigliosa, caro Franco, ma in cui purtroppo ancora vige una prostituzione letteraria vergognosa che vede fregiarsi del titolo di poeta e di scrittore persone sgrammaticate ed ignoranti che nulla hanno da condividere con questa nobile arte. Tu sei sempre andato avanti da solo e tenacemente. Chi scrive in questa terra è sempre più isolato; ma non sfiduciamoci mai… Con i migliori auguri per tutto
    Monia Gaita

  4. Pingback: Terracarne (Franco Arminio) – Dell’immergersi e nuotare. Wild swimming (Roberto Cogo) » fulviocortese.it

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