Patrizia Valduga, Poeti innamorati. Da Guittone a Raboni

«Fuoco di paglia è amore di poeta, / perciò è vorace, ed è così fugace». Questo dice Attila József.
«L’amore dei poeti è come l’amore degli adolescenti, che vogliono essere quello che non sono, che vogliono che gli altri siano quello che non sono, che vogliono dare l’amore a chi non lo vuole, che perdono l’amore appena lo possiedono, che se ne stancano appena lo conquistano, che pensano di poter davvero possedere una persona, davvero conoscerla interamente e definitivamente»: così scrive Patrizia Valduga, una delle poetesse più note per i suoi versi d’amore, introducendo un’originale antologia
Poeti innamorati, Da Guittone a Raboni da lei stessa curata per Interlinea Editore, euro 10.

“Questa piccola scelta antologica sui poeti innamorati, (da Guittone d’Arezzo fino a Giovanni Raboni), potrebbe essere testimonianza, in qualche modo, della storia del sentimento amoroso, oltre che, naturalmente, di quella della nostra lingua, e del gusto di oggi nei confronti della lingua poetica. Fino al Quattrocento nessuno avrà quasi niente da ridire, ma subito dopo ci sarà chi lamenterà l’assenza di quello e la presenza di questo. Perché, ad esempio, non ho messo Buonarroti? Perché, a mio parere, si è scambiata per grandezza poetica la rudezza di un geniale dilettante. Perché non ho messo Penna? Perché la sua voce mi sembra assai flebile. Perché non ho messo Gozzano? Perché, tolte le polverose carabattole della nonna, quello che resta è già tutto in Pascoli. E così via. Perché ho messo poeti che da anni dichiaro di non amare? Perché sono grandi intellettuali che hanno lasciato un segno, da vivi o da morti, nella storia della nostra letteratura.”
(Patrizia Valduga)

Ne li occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch’ella mira;
ov’ella passa ogn’om ver lei si gira,
e cui saluta fa tremar lo core
[…]
(Dante Alighieri)

Se ridete gioiose,
dolci labbra amorose,
non sa mostrarne Amore
pregio d’amor maggiore
in alcun nobil viso,
che ‘l vostro bel sorriso;
e pur ne mostra Amore
pregio d’amor maggiore
nel vostro nobil viso
col lampeggiar d’un riso,
se ridono gioiosi
gli occhi vostri amorosi
(Gabriello Chiabrera)

Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sia de la morte) e senza mutamento
[…]
(Gabriele D’Annunzio)

Sei tu, l’attesa non è stata vana.
Sei venuta fin qui dove la pioggia
affumica le piante e s’allontana
un’eco quieta dorme nella loggia
[…]
(Mario Luzi)

PRESENTAZIONI
Milano, 10 febbraio 2011, ore 18, Libreria del Mondo Offeso (corso Garibaldi, 50) Patrizia Valduga presenta l’antologia da lei curata Poeti innamorati. Da Guittone a Raboni leggendo poesie d’amore e dialogando con Guido Davico Bonino curatore di Le cento più belle poesie d’amore da Dante a De André

Pieve di Soligo (Treviso), 14 febbraio 2011, ore 18, Cinema Teatro Careni (via Marconi, 16) Andrea Zanzotto, in occasione dei suoi 90 anni, presenta l’antologia Poeti innamorati. Da Guittone a Raboni a cura di Patrizia Valduga

Patrizia Valduga, (nella foto di Dino Ignani), nata a Castelfranco Veneto nel 1953,  è poetessa e traduttrice. Vive a Milano. Moglie del poeta, traduttore e critico letterario Giovanni Raboni, ha fondato nel 1988 la rivista mensile “Poesia” che ha diretto per un anno. Tra i suoi libri di poesia Medicamenta (Guanda 1982), Donna di dolori (Mondadori 1991), Requiem (Marsílio 1994), Corsia degli incurabili (Garzanti 1996).
Ha tradotto John Donne, Molière, Mallarmé, Valéry e Kantor.

25 pensieri su “Patrizia Valduga, Poeti innamorati. Da Guittone a Raboni

  1. E’ interessante questo post, che invito a leggere. Quasi tutti gli autori di Oper Inedite hanno citato Penna, tra i loro poeti amati. Qui la Valduga apre un dibattito, in quanto dice che la voce di Penna è “assai flebile”.

  2. Cara Luigia, voglio raccogliere il tuo invito a discutere, anche se conosco poco Penna.
    Credo che Patrizia Valduga non abbia tutti i torti, perché i versi di Penna hanno in sé qualcosa di adolescenziale sempre, direi di ” infantile”, di ingenuo e puro, nel senso più positivo dei termini che ho usato, questo forse li rende molto belli, delicati,ma senza una grande forza espressiva, soprattutto se l’argomento in questione è l’amore.
    Un critico definisce la poesia di Penna come illuminata dalla ” flebile luce di un mesto sorriso”.
    In ogni caso colgo l’occasione per andarmi a rileggere i versi di Penna.

  3. Non sono d’accordo Maria Pia, perchè non ho dimenticato la lezione di Giovanni Raboni che nel suo ‘La poesia che si fa’ (Garzanti), una vera e propria antologia storica del Novecento poetico italiano, inserisce, il nome – e la poesia – di Sandro Penna accanto ad altri ‘grandi’ del Novecento come Ungaretti, Montale, Luzi, Caproni, Sereni, Pasolini e Zanzotto.
    Lo stesso Andrea Cortellessa, critico letterario, inoltre, ha definito Sandro Penna, ‘un grande poeta’ citando una delle sue liriche più famose: «Felice chi è diverso / Essendo egli diverso / Ma guai a chi è diverso / Essendo egli comune».

  4. Visto che abbiamo iniziato un confronto, sono curiosa di sapere il tuo parere su Buonarroti, visto che Valduga dice di lui che ” si è scambiata per grandezza la rudezza di un geniale dilettante”. Premetto che non sono molto addentro alle cose , ma mi piace capire, scoprire . Adoro Michelangelo, come tutti, credo, ho letto qualche sua poesia a scuola e mi era piaciuta molto proprio la sua rudezza, ossia la forza quasi scultorea dei suoi versi. Certo è uno dei minori del suo tempo.
    Vorrei sapere cosa ne pensi.

  5. … richiesta agli esperti. Chi mi consiglia qualche poeta?
    …faccio l’identikit. Forte ricerca verso un’immagine femminile,carnale, potente ,vitale ,misterioso ,posiivo. Hikmet e Neruda ,cui calzerebbe l’ientikit come un guanto, sono già stati affrontati e consumati. Ho bisogno di scrittura contemporanea.
    Qualche nome? ciao, grazie.

  6. Michelangelo Buonarroti fu ‘il sommo artista’. La sua vita si concentrò sull’arte, più che sulla poesia. Quindi non lo definirei ‘un poeta’, ma ‘un artista-poeta’.

  7. Si, Luca…
    Se vai in rete e fai una semplice ricerca alla voce “antologia della poesia italiana contemporanea”, hai un’ampia scelta di autori del primo e secondo Novecento.
    E’ un buon inizio.

  8. Sono in totale disaccordo con la Valduga e sono complice dell’affermazione espressa da Luigia nel commento precedente. Penna è tra i migliori poeti del Novecento Italiano, per limpidezza, fragranza inconfondibile di un verso così antico e così originale.Si,perchè considerarlo “adolescenziale, ingenuo” è soprattutto ” voce flebile” è, a mio avviso, un errore comune fertilizzato da una lettura troppo sterile,forse, mal sostenuta. Bisognerebbe slegarsi dalla corda della prima impressione.

    ” Io vorrei vivere addormentato
    entro il dolce rumore della vita ”

    Penna declina il verbo amare nelle sue poesie, senza custodire il suo cuore. La vita è la protagonista debole, prigioniera, amata e improvvisamente disamata, interrogata sulle sue radici più profonde che non possono non nascere ( e a volte rinascere) dal ” ricordarsi di un risveglio\ triste in un treno all’alba : aver veduto \ fuori la luce incerta : aver sentito \ nel corpo rotto la malinconia \ vergine e aspra dell’aria pungente.
    La sua voce non è affatto flebile. Anzi, urla.
    Urla il suo amore-destino di sofferenza incontrastabile e lo fa con una leggerezza unica, mai giovanile..( semmai il contrario).
    Penna è il poeta d’amore, l’amore, ripeto e non mi stancherò mai, per la vita.

    ” Amavo ogni cosa nel mondo. E non avevo
    che il mio bianco taccuino sotto il sole”

  9. Grazie Bruno per il tuo intervento su Penna.

    Sempre nel su citato “La poesia che si fa” di Giovanni Raboni, curato da Andrea Cortellessa, nel capitolo dedicato a Penna, intitolato “Perfezione di Penna” Raboni scrive:”Pochi poeti dallo Stilnovo in qua, hanno ‘posseduto’ la propria lingua come Penna la possiede.”

    E ancora: “[…] La lingua di Penna è immutabilmente alta, letteraria, tranquillamente e senza alcuna enfasi […]”

    E ancora: “[…] l’immisurabile fascino della poesia di Penna ha a che vedere […] con questa impossibilità di districare malinconia da contentezza, gioia di vivere da volontà di morire. […]”

  10. …ho appena dato un’occhiata alla Viduga, in una nota libreria…
    Caspita! Ci credo che possa appellare un poeta ometto, come voce flebile…
    Non conosco Penna… posso dire però, che intuita la poesia della Viduga parteggerei a priori per lei.
    Devo prenderla bene, nel giusto momento, le idee, letta qualcosa così al volo, si accavallano… però, d’intuito trovo una risonanza in quello che propone, una dialettica forte e carnale con l’altro, col diverso inteso come uomo, per la donna, e la donna, per l’uomo. Dialettica difficile a volte, ma unica ed immediata, fisica e psichica insieme (parlo proprio del rapporto sessuale). Ad una donna che ti proponesse ciò, qualsiasi vezzo da poeta, fiori, colline, descrizioni poetiche di volti eterei, beh, non possono che farle girare le scatole. E’ come se, nel momento in cui una donna, con tutta l’ambivalenza del misterioso linguaggio femminile, pretendesse che la baciassi, io cominciassi a parlare in maniera astratta della bellezza del posto dove ci troviamo, di quanto è soave la musica di Mozart, rinunciado in pratica a quella dialettica.
    Anche i poeti uomini, poeti molto carnali, parlano di questo, del fatto che il vissuto, abbia la meglio sulla riealaborazione artistica, che il rapporto reale, fisico con la donna, sia unico e una sorta di balsamo che toglie l’artista dalle sue fantasie. Che lo porta ad una realizzazione completa, alla vera felicità. Io tifo per la Viduga, tifo per Lawrence…
    p.s. cmq il mio pensiero complessivo sulla Viduga resta in sospeso, lettura troppo sommaria e precipitosa…

  11. …cioè, per rispondere ad una donna che propone ciò, bisogna rispondere col corpo… e nel casso fosse una risposta poetica,bisognerebbe ripondere di pancia.(ripeto, non ho letto Penna e non so perché dica di lui, voce flebile.)

  12. Caro Luca,
    Credo che per ‘flebile’ la Valduga intendesse la voce poetica di Sandro Penna. E’ su questo punto che non sono d’accordo, con la Valduga perchè penso che la voce di Penna sia ‘Musica’.

    E’ come se ti chiedessero: ‘Chi è il più grande musicista del mondo?’
    A chi penseresti? a Beethoven… A Mozart…

    Se mi ponessero questa domanda io risponderei che forse il più grande era Beethoven, ma che la ‘Musica’ è Mozart.

    Sarebbe interessante sapere quale libro hai consultato della Valduga. Imperdibile, ad esempio è ‘Requiem’ che mette in luce l’essenza tragica della sua poesia.

    Se non ci hai fatto caso, ti dico che il sonetto è la lingua in cui si muove la poesia della Valduga, una forma stilistica che tuttavia non esclude nulla.

    Proprio Raboni scrive di lei nel citato “La poesia che si fa” la Valduga ‘a livello sintattico, mescola con una spericolatezza da brividi la curvatura abbagliante, la sinuosità sublime di un fraseggio, cinquecentesco-barocco (ma dove filtrano e s’incastonano, spesso, durezze guittoniane, concerezze petrose) con la dolcezza asmatica, lo smarrimento, la tenebra della petite musique cèliniana.’

    Allora la lezione di poesia dice questo:
    leggi Guittone, leggi Penna, leggi la Valduga, leggi Celan.
    Ma non in un ‘passaggio’ veloce in libreria. Leggili davvero.

  13. Luigia! I saggi e i commenti critici di Raboni ( trovati qua e là in numerose traduzioni di poeti stranieri ) sono tutti efficaci e precisi per possedere un’idea concreta di ciò che si sta per leggere.
    Errore è per me anche non inserire Gozzano!
    Anzitutto credo che la questione de ” Gozzano ultimo dei classici o primo dei moderni ? ” sia un qualcosa di superato a favore della seconda alternativa ( Montale docet! ). La questione se inserirlo o meno tra i poeti innamorati, credo che debba far riflettere e ritornare ancora ( si, ancora..) su i suoi testi. La provocazione della Valduga ” il resto è già tutto in Pascoli” non mi convince. Gozzano ha una voce sicuramente meno delicata del Corazzini ma comunque innamorata. Essere poeta era per lui un mestiere prima di tutto ed amava spassionatamente giocarci su. Le sue poesie rispecchiano, appunto, questa volontà. Crepuscolore, esteta,antico, moderno o quel che sia..la sua poesia è caricata, sicuramente con il giusto ingrendiente di “artificium”, d’Amore.

    (..)
    e non sono triste. Ma sono
    stupito se guardo il giardino..
    stupido di che ? non mi sono
    sentito mai tanto bambino..

    Stupito di che ? Delle cose.
    I fiori mi paiono strani:
    ci sono pur sempre le rose,
    ci sono pur sempre i gerani..

  14. … Luigia non erano sonetti. Interamente quartine. Tutti improntati sul rapporto con un suo lui…
    il titolo (o sottotitolo) aveva un chiaro riferimento all’amore.
    Si, si, hai ragione sulla necessità di non bruciarsi un autore.
    La mia era appunto una ipotesi da estraneo alla poesia di Penna, che si era trovato davanti i versi crudi della poetessa.
    Conscio che spesso, gli artisti(parlo in ottica maschile), nel rapporto con le donne fanno dei bei disastri e che di fronte ad una domanda forte di rapporto, magari se ne scappano.
    Ti confesso però, che certe tematiche con la mia idea di arte cocciano ed è probabile che quell’aspetto che mi sottolinei della Valduga non riuscirei a mandarlo giù, per più d’un paio di versi.
    Come quando leggo i Karamazov. Dostoevskij è fantastico, un genio immenso. Ma pieno di contraddizioni. Io tiferei apertamente per il padre, Fedor, e non per lo Starec, il monaco. E tutta la parte del monaco(l’ho fatto)la salterei.
    Per cui, se c’è da prendere, prendo sempre, ma scanso quello che non mi piace.
    Trovi Mozart così flebile?… credo che l’apertura de Le nozze di Figaro sia più potente di qualsiasi sinfonia di Beethoven,secondo mov. della nona incluso. Che sia l’emblema della musica, siamo pienamente d’accordo.ciao

  15. Attenzione Luca: Non ho detto che Penna ‘è la Musica’.

    Ho detto che per me la poesia è ‘forma’, ‘rigore’, ‘ossessione’ di una forma, ma è anche qualcos’altro, ad esempio quello che c’è nella nostra vita.

    La ‘Musica’, in senso metaforico, è dunque, ciò che c’è nella nostra vita, la gioia, l’amore, ma anche il dolore frontale, senza nessuna retorica.

    Diciamo che mentre il ‘Musicista’ sta attento in modo ‘ossessivo’ alla forma della ‘Musica’, che deve essere perfetta, ‘la Musica’ suona…

  16. Si, forse erano le famose “Quartine” di Patrizia Valduga quelle che hai letto?

    Maurizio Cucchi scrive nel 2001 su ‘Tuttolibri’ a proposito delle “Quartine” di Patrizia Valduga che l’ abilità letteraria della poetessa arriva proprio nelle Nuove Quartine ‘al suo livello più alto proprio perchè non ha bisogno di mettersi in mostra. Agisce dentro il testo con pazienza, servendo un desiderio di verità ineluttabile quanto elementare che dà forza a tutto il libro’.

  17. …no, non avevo inteso che Penna è la…musica, come la chiami tu. No, mi ero fatto l’idea he prendessi il paragone Beethoven Mozart per sottolineare una certa morbidezza del secondo(come Penna,avevo immaginato), ora credo d’aver capito cosa intendessi. Cerco di tradurlo: Beethoven è più musicista, ma Mozart fa scattare una risonanza più intima… Sulla prima non posso esprimermi, sulla seconda confermo assolutamente. E su Penna, ti risponderei che dovrei leggerlo (non sei l’unica che me ne parla bene). E’ vero che prediligo una letteratura che vada diretta al rapporto uomo/donna, ma in fondo non mi è necessario. Penso a Shakespeare e cito ancora Dostoevskij…potrei dire Tarkovskij. Costoro fanno una grande riceca sull’essere umano, parlando di lati differenti, tracciando dinamiche e profili quasi psichiatrici, incollandoti però alla scrivania (o allo schermo) con la fantasia e col calore delle loro immagini. A me basta che ci siano immagini che sappiano parlare, anche senza parole (in scrittura sembra un paradosso, ma non lo è), di fantasia, nuove. Toccherà rimediare Penna…

  18. Non so cosa intendesse la Valduga (poeta che amo e ammiro) con “voce flebile”. Forse non è una critica negativa. Mi sembra che Penna appoggi sul tavolo, delicatamente, dei diamanti. E’ un modo di essere flebile. Anche i pianissimo di Rostropovich erano “flebili”. Una volta lo accusarono di questo, rispose che erano preghiere, quando si prega, mica si strilla.

  19. caro Filippo,
    Questo l’articolo uscito su Corriere della Sera il 10 febbraio 2011

    Il problema non è secondo me aver o meno inserito Penna nella piccola antologia della Valduga. Penna è un grandissimo poeta, e lo sappiamo quasi tutti. Ma la Valduga sostiene, tra l’altro, che Leopardi è “un piccolo poeta”…

    Vi riporto l’articolo del Corsera, con frasi riportate della stessa Valduga (ripeto, non è qui in discussione la poesia della Valduga! che considero un’ottima voce contemporanea…)ma il pensiero che ‘passa’, sui media. Dire che Leopardi non è un grande poeta significa offerderlo, e così dicasi di Montale…

    “A scorrere la lista degli invitati vien fatto di pensare: questa è una provocatrice. C’ è Luigi Pulci e non c’ è Manzoni, c’ è Teofilo Folengo e manca Sandro Penna, c’ è il pedantissimo Tommaseo e non l’ Alda Merini. Patrizia Valduga è un’ ospite rigorosa e scegliendo i suoi «Poeti innamorati» per l’ antologia edita da Interlinea – che presenta oggi alle 18.30 alla Libreria del Mondo Offeso (corso Garibaldi 50) – non si è certo curata di scandalizzare qualcuno… «Il criterio è semplicissimo: ho messo gli autori che mi piacciono di più. E poi sono secoli che sostengo che Leopardi è un piccolo poeta e che Manzoni è un grandissimo che purtroppo non ha scritto grandi versi d’ amore». Solo due donne (Stampa e Matraini): le poetesse non sanno parlare d’ amore? «Nel Cinquecento era diventata quasi una moda di società, poi ci sono state molte poetesse nel secondo Novecento, ma nessuna sufficientemente grande». Nemmeno la Merini? «La Merini era un personaggio mediatico, una da Costanzo Show. Ha scritto qualche bel verso negli anni Sessanta poi ha inondato le orecchie di chiunque al telefono con quello che le passava per la testa». Sostiene che bisognerebbe ridimensionare perfino Montale. «Sì, ridargli le giuste proporzioni tra i due più grandi: Rebora e Betocchi. La poesia di Betocchi che ho messo nell’ antologia (da Poesie del sabato) è di un’ altezza da brivido». E Folengo e Ruzante: cosa c’ entrano con l’ amore? «Sono dei grandissimi che a torto non vengono mai presi in considerazione. Ma perché parlare solo dell’ amore sublime? Esiste anche quello carnale, esiste il ridicolo…». A quale dei «suoi» poeti si sente più vicina ? (E non mi dica il Raboni delle Canzonette mortali perché non vale). «Amo molto il sonetto di Petrarca perché è la prima analisi della fenomenologia amorosa. Con la sua intelligenza straordinaria, il poeta dice tutto: che l’ oggetto d’ amore è creato da te, che ti fa soffrire ma anche ti appaga». Milano è una città poetica? «Non so cosa vuol dire. Per me poetico significa solo “che riguarda la poesia”. Se si riferisce all’ ispirazione, non è mai dal fuori che nascono i versi». Lei perché scrive? «Per cavare un po’ di piacere dalla lingua quando non mi riesce di cavarlo altrove».”
    di Carlotta Niccolini

  20. Caspita! Non avevo letto l’articolo, grazie Luigia di averlo riportato. Beh, come dichiara la Valduga, si tratta di preferenze personali; non mi pare (ma leggerò il libro) che proponga davvero una rilettura critica della nostra poesia, sostanziando, argomentando in modo approfonditole sue scelte. E questo è legittimo e non può far male. Adoro i filmetti degli anni settanta, quelli con la Fenech- per capirci- e li metterei, in una personale antologia, davanti a tanti mostri sacri. Non per questo mi sentirei di difenderne davvero la forza lirica… Trovo le preferenze della Valduga, interessanti, divertenti, anche perché consentono di ritrovarsi del tutto in disaccordo! Costringono, in ogni caso, di uscire dall’automatismo con cui ci si inchina ai poeti più celebrati. E questo aiuta a ripensare perché ci inchiniamo e che, spesso, facciamo bene a farlo!

  21. Che in Gozzano, “tolte le polverose carabattole della nonna, quello che resta è già tutto in Pascoli” non mi sembra, con tutto il rispetto, un assunto plausibile. Quello che resta… è la poesia di Gozzano.
    Lo rilegga meglio.

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