Paul Claudel, “La Scarpetta di raso”

Paul Claudel

La letteratura come gioia

Traduzione, note e saggio critico di Simonetta Valenti

Doña Prouhèze. — […] Perché far finta di non credermi quando credi a me disperatamente, povero infelice!
Dalla parte in cui vi è più gioia, è lì che vi è più verità.
il Vice-re. — A che cosa mi serve questa gioia se tu non puoi donarmela?
Doña Prouhèze. — Apri ed essa entrerà. Come fare per donarti la gioia se tu non le apri quella sola porta attraverso la quale posso entrare?
Non si possiede affatto la gioia, è la gioia che ti possiede. Non le si pongono condizioni.
Quando avrai fatto ordine e luce in te, quando ti sarai reso capace di essere compreso, è allora che essa ti comprenderà.

il Vice-re. — Quando sarà, Prouhèze?
Doña Prouhèze. — Quando tu le avrai fatto posto, quando avrai ritirato te stesso per farle posto, a questa cara gioia! Quando la chiederai per sé stessa e non per aumentare in te ciò che le fa opposizione.

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Paul Claudel, La Scarpetta di raso, XIII scena, III giornata, traduzione, note e saggio critico di Simonetta Valenti, Le Château Edizioni, Aosta 2011.

 

COMMENTO

DI

ALBERTO FRACCACRETA

 

La Scarpetta di raso (Le Soulier de satin) è il capolavoro di Paul Claudel (1868-1955). Fu pubblicata nel 1929 e fu messa in scena solo dopo molti anni, con grande fatica. La traduzione integrale della pièce — scritta sia in versi e in prosa — si deve all’appassionata edizione proposta da Simonetta Valenti, uscita nel 2011 per Le Château, arricchita da note preziose e da un commento esplicativo. Di cosa parla La Scarpetta di raso? È un opus magnum al limite della rappresentabilità, affollato da decine di personaggi e di quadri d’azione, emblema del teatro totale, anzi del «teatro-mondo» tipico della sterminata fantasia dell’autore francese. Eppure, le quattro giornate in cui si svolge il dramma hanno alcuni ‘fili’, alcuni motivi conduttori, che ne riescono a esemplificare il messaggio. Come sottolinea la curatrice, un ‘filo giallo’ è ad esempio legato al tema del potere e della conquista; un ‘filo blu’ coincide con l’ineffabile intervento del mondo spirituale a favore dei protagonisti della vicenda; un ‘filo verde’ riguarda il discorso sull’arte che lo stesso Claudel lungamente imbastisce, presentando l’ipotesi di un’arte ‘cattolica’, capace di toccare ogni angolo del cosmo e di dimostrarsi universale.

Ma soprattutto c’è un ‘filo rosso’. Su questo vorrei soffermarmi. Sì, perché le multiple, multiverse e labirintiche scene della Scarpetta di raso sono riassumibili in poche battute: l’amore di Don Rodrigue per Doña Prouhèze. Un amore ovviamente contrastato, che cerca di fissarsi nell’eterno e che ha suscitato splendide riflessioni — dal teologo Hans Urs von Balthasar a Carlo Bo — sulla natura non soltanto pragmatica (affettiva) di questo amore, ma anche per i suoi significati simbolici, filosofici, teologici. La storia è semplice: in un Seicento ancora fortemente ‘combinatorio’ Prouhèze è sposata prima con l’anziano Don Pelayo, poi — morto il coniuge — con il vile Don Camille. In entrambi i casi non può venir meno al vincolo matrimoniale, che accetta per obbedienza e per necessità. Don Rodrigue, che lei ama riamata, non può che desiderarla in un altro spazio e in un altro tempo, oltre le catene della necessità. Continua a leggere