Mariagiorgia Ulbar, da “Hotel Aster”

Mariagiorgia Ulbar

1

Sulle strade, alla mia destra, vedevo sempre macchie di sporcizia.
Tornando a casa di notte le vedevo nella direzione laterale del mio sguardo: questo mi ricordavo più tardi, muovendomi per le poche stanze per molto tempo, nel lungo tempo impossibile da narrare che intercorreva tra il mio essere coperta da vestiti e la svestizione. Guardavo il mio corpo e le espressioni in ogni superficie specchian- te che li ritraesse a un mio passaggio casuale e in segui- to ragionavo. Sono sola, registrata pedissequamente da un occhio esterno, estraneo, non so se di telecamera, di uomo o di padre. Ho accumulato storie, le ho sgranate: una contentezza repentina e convulsa mi coglie al pensie- ro del numero: non le racconterò, ma sono in grado di enumerarle.

Da qualche tempo vado raccogliendo una selezione di meraviglie: gocce di vetro soffiato turco, una fibula proveniente da una necropoli del VI secolo a.C., una gabbia per uccelli di legno, due piume, fotografie in bianco e nero di gente morta, portasigarette con iniziali incise, la zampa tagliata di un collo di volpe, caratteri tipografici in piombo, carbon fossile. Ho raccolto tutto nella mia stanza: saltuariamente la attraverso fingendo di essere un’estranea e una buona osservatrice e passo in rassegna gli oggetti per procurarmi stupore.
Tuttora ogni pomeriggio mi stendo sul letto o sul divano per traverso e con le mani mi aggrappo alla stoffa dei pantaloni o delle calze vicina all’inguine, il tessuto si tende e preme nel punto che conosco da vent’anni, quello che inizialmente faceva nascere e crescere un verme che fuggendo fuori mi dava una scossa elettrica e che adesso fa nascere un’onda calda e breve che mi conserva calma e senza testa per alcuni minuti.

Lo ripeto più di una volta.

La ripetizione è un concetto che genera sentimenti di superiorità in chi ascolta, che riterrà di aver colto l’ora- tore in fallo o distrazione: debolezza oppure incertezza, poca conoscenza della retorica, troppa indulgenza verso se stessi, povertà.
Io avevo sposato la ripetizione, certa che, presa in considerazione scientemente, conteggiata, avrebbe fatto affiorare le intenzioni inconsce.

2

Non amavo sentire pronunciare frasi come
torno a casa e mi infilo nel letto, è ora di andare a dormire,
vado in branda,
ho ore di sonno arretrate.

Avevano attinenza con la morte,

rifiuto l’idea del bisogno, ma soprattutto rifiuto l’idea del
dovere o volere cedere a quel bisogno.
Il sonno non mi appartiene o
mi appartiene quanto la morte,
come termine che allude alla rovina o a una liberazione
dal sapore orgonico.

*

Il senso di non appartenenza non ha a che fare con la disaffezione. Sono divisa, spaccata, e la spaccatura mi conduce sul filo rosso di una lunga serie di giorni che chiamerò la mia esistenza.

*

Sul confine tra il fastidio e il piacere ho fatto proliferare le mie più fervide convinzioni.

*

Un uomo possedeva un bel fucile con cui uccideva begli animali.
Io amavo il fucile e gli animali.
Disdegnavo l’atto che mette in relazione il primo con i secondi, ma era la natura sporca di quell’atto che mi componeva.

*

Non posso fare a meno di concentrarmi su tutti gli elementi che formano una giornata, non posso distrarmi, devo descrivere tutto ciò che accade. Non apro la bocca per darle voce, ma la descrizione di ciò che vedo deve essere portata avanti sistematicamente. C’è una finestra io guardo la finestra sento dei rumori dovrebbero essere macchine che lavorano in un cantiere più tardi dovrei uscire ho corso corro le scarpe si muovono c’è una pozzanghera bagnata l’acqua mi bagna le scarpe un uomo sulla panchina ha un oggetto in mano non capisco che oggetto sia è la seconda volta che passo di qui starà pensando che è la seconda volta che passo di qui il ginocchio mi fa male sono trascorsi ventisette minuti vado verso casa c’è il sole sono arrivata devo stirare i muscoli salgo le scale il pavimento delle scale è macchiato di scuro entro in casa ora devo pranzare e scrivo due righe e adesso mi alzo e vado in bagno e ora faccio un caffè nel frattempo lavo sarà il tempo giusto del caffè che sale poi sono pronta quando è salito le scarpe devono asciugarsi devo comprare biglietti
il tempo non basta

*

Didascalie, e figurarsi sentimenti alti, avvenimenti eccelsi, cercare. Cerco come un cercatore d’oro, setaccio, ma l’esaltazione mi abbandona presto. Visualizzo una topografia costituita da paesi intermedi di colline e terrapieni e una popolazione che si dirada.

*

Ci fu un’epoca, a un certo punto, in cui ogni picco o abisso iniziò a sembrarmi raggiungibile, possibile, normato, e presi ad amare il sonno.

da “Hotel Aster”, Mariagiorgia Ulbar, Amos Edizioni, 2022

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