Giuseppe Carracchia, da “Stanze della luce”

Giuseppe Carracchia

Il muro

«[…]
sarà questo il mistero del chiodo:
tingilo d’azzurro e piantalo nel vuoto»

Sorridere è mordere azzannare
una violenza inaudita,
è fare del male al male

dissipare quell’aria pesante
quell’aria tagliare
con un colpo di mano netto

separare il niente dal niente,
ricongiungere detto e non detto.

*

Come un cieco avanzare
come per afferrare qualcosa che era
pesante, che era presente lo giuro

qualcosa che appena colpita sfregata disfatta
non è più che aria,
ricongiunta chiarezza,

nient’altro che aria svanita:
aria di zolfo e sacrosanta presenza.

*

Non importa del buio, non importa.
Una scatola di fiammiferi in tasca
è più di un’idea che conforta,

con un colpo di mano netto
separando il niente dal niente
dando fuoco di colpo al non detto.

«Azzurro, azzurro ed oscuro
azzurro accecante
ben oltre i detriti del muro».

 

Venendo meno gli occhi

Un’aiuola
col recinto di legno bianco
su più livelli, e molti moltissimi fiori
dei più svariati colori,
tutti frutti del riciclo
meravigliosi, margherite
rose gigli e garofani
e ciuffi d’erba
violette ed erba vento
e altri stupendi
non ancora tassonomizzati
alieni fiori di plastica.

Ed io nuovamente commosso,
e col terrore di me stesso.

 

Pneumatica

«La virtù del chiodo che regge frattura
e vuoto svela la falsità del niente:
compiutezza del ragno che ha mura
e casa in aria d’un prisma lucente»

 

che sappiano tenere sospeso
nella mano trenta quaranta cento chili
il peso della grazia, senza tremare.

Ridi pure, è per te che mi alleno.
Per te che verrai
e vedendo queste braccia capirai.
Ma se ridi, ridi più forte
di gusto, sapendo che nel cuore della notte
capita, non sempre
ma il più delle volte,
di deporre questa parte così maschia
e di volersi nonostante
l’ostinazione di questa massa muscolare
di volersi nient’altro che rannicchiare
come si dice – a cucchiaio
proprio così, e premere
ad esempio un dito sulla sua pelle
fingendo lo sbaglio;
sapere che in quel punto
per una ragione ben precisa,
nonostante il buio, il sangue si disperde
facendo più bianca la pelle
e poi ritorna.
Sentire che nel sonno si avvicina,
indietreggia, ti cerca.

Giuseppe Carracchia. “Stanze della luce”,  Prefazione di Fabio Pusterla, Moretti&Vitali, 2022 Continua a leggere

Giuseppe Carracchia, “Prova del nove”

 

CARRACCHIAGiuseppe Carracchia è nato nel 1988 ed è cresciuto a Palazzolo Acreide. Ha studiato a Bologna, a Catania, dove si è laureato in Lettere Moderne con una tesi in Antropologia Culturale, e a Torino, dove ha conseguito la laurea magistrale in Filologia Italiana.

Tra i libri di poesia editi: ‘Il verbo infinito’ (Prova d’autore, 2010) e ‘La virtù del chiodo’ (L’arca Felice, 2011). L’ultimo, ‘Prova del nove’, è uscito per Giuliano Ladolfi Editore.

Suoi testi sono inseriti nell’antologica “Generazione entrante. Poeti nati negli Anni Ottanta” (Ibid., 2011) e in Post ‘900. Lirici e Narrativi (Ibid., 2015), e hanno ottenuto alcuni riconoscimenti (tra cui il premio Lerici Pea giovani, 2011).​ Continua a leggere