Alfonso Guida, da “Il Tassidermista”

Scrivere non è ricevere lettere.
È ciò verso cui lancio un destino.

I VOLTI LA SCRITTURA

Quello che chiamo Dio
è la non ignoranza di me.

L’orfano va per cardi.
Le capsule di cianuro in bocca ai bambini nel sonno.

Quello che chiamo Dio
è uomo che scende
dove rimane
tra l’inciampo e l’indulto, dove
nullo è il soffio e l’involarsi
dei primi fischioni.

Scrivi: fuoco e fune sul tetto.
Scrivi: inevaso.

LUCO

Alle bandiere fredde
di febbraio il tempo si ferma e trincano
tutti. le brocche e i bicchieri si svuotano.
I doni sono tracce di occhi.
Altri doni sgombrano il tavolo e noi abbiamo una
visione calcinata, un biancore scheggiato di fossili.

Torna, imperante, l’ombra,
la parola incavata a sera. Forse
verranno tardi i bevitori gagliardi, una posa
tra falconieri e giullari. Eppure resta una statuaria
sotto il vuoto di una fuga noiosa. E, nel gelo,
dietro le porte inchiavardate, si masturbano, folli
di una notte vorticosa e stellata
che si aggira per Via Muro Barbieri,
le mani in tasca, il vino nella grotta.

 

TEMA BRODSKIJ

Povera morte sola
rispondi quando vuoi, ti prendi tempo.
Aria di pioggia, nostalgia del primo
passo vuoto. Non le aste
d’acciaio o il mostro in cattività.
Buio di occhi, buio che vedi
l’estate con la zappa sui formicai.
Nell’acqua la corona di papavero.
Nella controra tu vieni intorno al vento e lasci
la pietra di ubbidienza e la preghiera
che fa mansueto chi sale e scalfisce.

Povera morte sola
squassando la tenebra tu riluci
con le voci addosso e la madre asciutta
nei moniti e filiale nell’incanto.
Fin dentro i crepacci io ricordo te che
segui un riflesso e un passato di allievi.
La stanza illuminata entra di notte
nei bouquet e nei fuscelli tremando
contro una lingua offesa
contro un linguaggio che fende attraverso
la fragranza di frutta e le labbra gonfe
che tornano qui,
Torniamo anche noi, più alti
di ogni immagine, tra la sabbia che si ostina a tenere
le tracce ed è una spiaggia che latra da vent’anni
come il padrone di Itaca
come il padrone festoso e selvaggio
che dorme accanto al suo cane in un lenzuolo madido.

Povera morte sola
chi ti ama aspetta una lunga carestia.

Più cupa stasera l’aria della terra.
Piccola fiamma di un’attesa amorosa, avanza.

 

PARABOLE

……………….Foglie
tornate nei rami a cercare il passo
festoso del pensiero. Un viaggio di anni
compunti, gli architravi sbilenchi e un’allegria che ora
indietreggia fino all’erba e alla viltà dei porti
sottoterra. Scrivi un salmo
che fu inizio e un solipsismo
che fu traduzione e indovinello. Qui
stiamo tra colonne tronche e il grido ci spinge
con la stessa riluttanza di un gregge.
Siamo la chiave nascosta e il cortile
propizio alla gioia.

*

Si ostina a cancellare.
La mente punisce la parola confidente.
Il pensiero liberato s’incolpa.
Sono giunto in una terra
sospetta e silenziosa
e ho visitato tutte le stanze della mia casa.
Il buio resta alle spalle e un’immobilità molesta appare
come il solo orizzonte. La deriva
ci salva dal naufragio.
Lontani dal padre, siamo ospiti muti di un deserto.
È un’isola grande, un continente che si estende
con una calma abissale. Noi sappiamo
che il figlio non rimane a lungo
nelle terre ereditate.

 

LE VESTI TARLATE

Vidi il buio nato da una sua costola
privo di libertà e l’armadio aprirsi
come un bosco secco. La naftalina
pesante, i brevi religiosi pieni
di lavanda. Nel grido c’è una folla
che scende, una pulsazione puntuale.
Il legno fiorisce tra stoffe bianche.
La paura è verde. Il gelo brucia nel neon
dove il tuo esempio di preghiera è
l’erba, il silenzio delle mani, quando
l’ombra si raccoglie e la morte sputa.
Sono figure maledette. Guardano,
con viltà, al dolore astratto che cuce
le generazioni, sbalordita piazzaforte
dei cieli solitari e dei fantasmi
risorti come da un silenzio dipinto.
La stanza è leggera. Io non penso ai muri.
Il suono circolare è un ritmo alterno.
Viene incontro senza rumore, al passo
di un respiro invocato. Il tempo, creato
senza dio, stacca la terra dall’uomo.

 

TABERNAE

Tornano indietro di un passo. L’inferno:
calmo e preciso. (Tela tessuta
da mani guaritrici).
Noi restiamo incantati
Davanti al filo che non scioglie i propri nodi.
Non vuole. Noi amiamo la notte di questa volontà.

Lautremont chiedeva continuamente
caffè negli alberghi dove alloggiava.
Lo usava per curarsi l’emicrania.
Di notte strimpellava al pianoforte
disturbando i clienti che insorgevano,
collerici. Forse le emicranie persistenti avvalorano
la tesi di una morte per tumore al cervello.

Stasera ho chiuso presto
la doppia porta che fa di questa casa una fortezza
sottoterra. È due stanze petralia sottana.

Il discorso incede logicamente,
si nutre delle sue spoglie, pago di una muta
verticale e serena.

Alfonso Guida. Da Il Tassidermista, Terra d’Ulivi Edizioni, 2022

Alfonso Guida, è un poeta lucano.  È nato a San Mauro Forte (Matera)  nel 1973 dove tuttora vive. Legato alle figure di poeti come Beppe Salvia, Dario Bellezza, Amelia Rosselli e Paul Celan, ha pubblicato numerosi libri di versi.

Nel 1998 ha vinto il Premio Dario Bellezza per l’opera prima con la raccolta Il sogno, la follia, l’altra morte e nel 2002 il Premio Montale con la plaquette Le spoglie divise [15 stanze per Rocco Scotellaro]

Con la casa Editrice Poiesis è uscito Il dono dell’occhio (2011) e Irpinia (2012); Ad ogni passo del sempre (Aragno, 2013); L’acqua al cervello è una foglia (LietoColle, 2014); con Il Ponte del Sale nel 2015 è uscita la raccolta Poesie per Tiziana, con Fallone, nel 2017 Luogo del sigillo; con Terra d’Ulivi Edizioni  ha pubblicato Il Tassidermista nel 2022.

Diverse le plaquette: Via CrucisNote di terapiaNous ne sommes pas les derniers.

 

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