Giulia Scuro, da “Sedute in piedi”

Giulia Scuro, foto di proprietà dell’autrice

Ventottesima ora di lavoro

Dottoressa, come le ho già più volte
detto, pur con le molte
divagazioni del caso
io sono preoccupata per il mio naso.
Ho paura che la sua sporgenza
sia uno sfoggio di esistenza
e che al vederlo chi è di fronte
pensi a lui come ad un ponte
nella mia direzione,
fatto di binari olfattivi,
alla portata dei suoi incisivi.
Dottoressa, è un delirio
o solo fervida immaginazione?
Mi rassicuri, mi comprenda,
alle prese con l’ammenda
mi sprofondo nelle suole.
Allora, andiamo con ordine:
tu mi vuoi dire che il tuo naso
è una proiezione del fallo reciso
che tua madre conserva in un vaso?
Esatto dottoressa, quanto ha ragione!
Conosce Lisabetta da Messina,
sventurata figlia del Decamerone,
i cui fratelli assassinarono l’amante in sordina?
Del suo amato la testa riposa
in un vaso sul quale ella piange
la condizione di mancata sposa.
La castrazione decapitata del suo amato
l’ha indotta ad una partenogenesi di basilico
per cui le lacrime hanno irrorato
una verdura che sul suo capo
ha attecchito da più di un lato.
Dottoressa, io sono convinta
che al suo naso la radice s’è avvinta
e questo pensiero mi ossessiona talmente
che immagino il naso come una gobba
vulnerabile ed esposta alla gente.
Il naso, ci pensi, è una bandiera
svetta sul muso con la punta altera
e con le narici ci apre la strada,
perlustrando, come una spada.
C’è chi dice “non vedervi oltre”
a significare che l’escrescenza facciale
sia dell’uomo il limite oppure una coltre.
Ma la mia espressione preferita
è sempre stata “naso di velluto”,
mi fa pensare a una stoffa brunita
sulla ferita che ingombra il ritratto
altrimenti piatto della nostra partita.

*

Il verso

Andare verso dove,
senza direzione, nel cammino
del flâneur che non si oppone
a nessuna deviazione,
anzi la propone.
Il mio passeggiare per vie storte,
in cui la salita è sempre l’unica nemica,
è molto differente
dal percorso che conduce ai nostri incontri.
È un verso in cui ha senso anche il rovescio,
ritrovo le ferite che hanno reso
tanto arduo il mio scompenso
in questa folle sfida
che è la vita,
in cui evitare la salita
compromette anche una riuscita.
Andare verso dove,
verso ogni prima volta mai risolta,
verso ogni scelta
che guardandola a ritroso
sembrava solo offerta e non recava
la ferita ancora aperta.
Andare verso dove,
verso un amore
che a ogni sorso
la sete mi pospone.

Da “Sedute in piedi” Oèdipus (2017)


Giulia Scuro
(1984), la sua prima raccolta, Sedute in piedi (Oèdipus 2017), è stata finalista al Premio Pagliarani 2016 sezione inediti e vincitrice ex aequo del premio Aoros 2018 sezione editi. Ha pubblicato poesie nelle riviste Trivio, Levania e L’Ulisse, ed è co-autrice con Claudia Squitieri di un testo teatrale in versi dal titolo l’Elettra. Attualmente insegna Letteratura francese all’università L’Orientale di Napoli, ha pubblicato articoli scientifici sulle opere di Guy de Maupassant e Honoré de Balzac, di recente ha tradotto e curato un saggio scientifico del 1882 di Jean-Martin Charcot e Valentin Magnan.

1 pensiero su “Giulia Scuro, da “Sedute in piedi”

  1. La dott.ssa Scuro è un’eccellenza dell’UniOr e le sue opere sono una più bella dell’altra; “Sedute in piedi” è una di quelle: un complesso acuto di profonda conoscenza ed esplorazione.
    Sono veramente grata di averla conosciuta e di leggerla.

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