Clemente Rebora, “Canti anonimi”

A N T E P R I M A   E D I T O R I A L E

A cento anni dai Canti anonimi di Rebora (un libro che è una reazione al dramma della guerra) esce un’edizione commentata con un’anteprima il 6 aprile 2022 a Milano con reading di Patrizia Valduga. L’edizione di Interlinea è curata da Gianni Mussini.

Nel  libro c’è il rapporto tra natura e città, la sua Milano, e soprattutto c’è l’ansia per l’attesa di un futuro migliore, grazie a qualcuno o qualcosa, forse la donna amata o  forse la fede, dopo l’annichilimento e la strage della Grande Guerra («trincee fonde nei cuori – l’età cavernìcola è in noi.»); per questo scrive dei «canti anonimi» perché vuole cercare, nel donarsi anonimo agli altri, una ragione per continuare a vivere, per ripartire, per trovare prima o poi chi «verrà, se resisto / a sbocciare non visto»; l’edizione stampata da Interlinea nel 2022, è a tiratura limitata e andrà in distribuzione il 9 aprile 2022.

Roberto Cicala

L’IMAGINE TESA: L’ATTUALITÀ DI REBORA

PRESENTAZIONE

Mercoledì 6 aprile 2022 Aula Magna, ore 17.00 Largo A. Gemelli, 1 – Milano

Tavola rotonda di presentazione dell’edizione commentata dei Canti anonimi di Clemente Rebora (Interlinea, 2022).

Intervengono
Gianni MUSSINI curatore

Giuseppe LANGELLA
Università Cattolica del Sacro Cuore

Valerio ROSSI
Istituto Sant’Ambrogio, Centro Novarese di Studi Letterari

Coordina
Roberto CICALA
Università Cattolica del Sacro Cuore, Interlinea

Letture di Patrizia Valduga

 

Clemente Rebora ritratto da Michele Cascella negli anni ’20

UN ESTRATTO DAL LIBRO

Campana di Lombardia
di Gianni Mussini

Il paesaggio che si immagina sullo sfondo è sempre quello vasto e mansueto della campagna lombarda, verticalmente punteggiato di campanili. Mentre il discorso riprende con naturalezza dall’ultima strofa di Al tempo che la vita era inesplosa, le cui parole scorrevano in una lenta musicalità capace di assecondare quel senso di profonda comunione con il creato: quasi un “adagio” che man mano si affievoli- va sino alla confessione finale: «è bello il silenzio a te vicino». In questo contesto può ora sciogliersi «la “voce” (anonima e unanime: corale) della campana di Lombardia, ispiratrice di un’arcana, contagiosa fiducia “verso l’alto”» (Ramat 2008, p. 168). Fiducia di «guarir l’intimo pianto», suggerisce Rebora (v. 8) agganciandosi di nuovo all’Inesplo- sa, dove i valori del Carlo contadino erano antidoto alle «tèrree nostre notti». Ma c’è ancora un altro legame tra le due liriche, poiché nella seconda si realizza la particolarizzazione di uno spunto dell’altra: i cui sinestetici «effluvi di campane» (v. 54) si precisano ora in un’immagine più sem- plice e definita, ma non meno evocativa: la campana di Lombardia che, come recita un folgorante commento di Luca Doninelli (1987), «non dà malinconia perché è voce di qualcosa che è qui da sempre». Non si potrebbe spiegare meglio l’intima religiosità di questo testo, coerente con il nuovo clima morale della raccolta.

L’assunto è perfettamente assecondato dalla forma e, anzi, si può dire coincida con la forma. Le parole scorrono semplici, con le movenze quasi di una filastrocca infantile, a esprimere però un profondo significato di “adesione” alla vita. Questo sentimento si esplicita e condensa nel nesso analogico – l’unico della lirica – «pannocchie di armonia» (v. 11), che unifica e, per così dire, “affratella” i piani dell’a- stratto e del concreto. Tutto intorno un pacato tripudio di suoni e ritmi, significante che diventa significato: ecco le rime, anche interne; le assonanze e consonanze; le insistite ripetizioni; i timbri chiari delle i, vero leitmotiv di questa canzonetta, e quelli aperti delle A; il consonantismo delle nasali m e n insieme alla liquida l e alla C, palatale e gutturale. Sono i fonemi dei primi due versi che si ripetono e irraggiano nei successivi, diventando vera onomatopea dello spirito.

Già nei Frammenti lirici la figura della campana compariva spesso in connotazione intensa, quasi con lo scopo di rendere fisicamen- te percepibile l’elemento spirituale. Così nei momenti di armonia spazio-temporale, come per esempio Fr XVIII 5-6: «Per ogni se- no l’ora intima scende / Dalla campana: e silenzio indi vive»; o, in costrutto analogico, Fr LX 33-36: «n’è ghirlanda / Un senso di campana / rimasta in abbandono / A far più dolce dopo tocca il suono». Ma altrettanto e forse di più in altri ambiti, in cui la paro- la compare in senso traslato («Voce, il ruscello delle tue campane / L’anima innondi bramosa di te», Fr XLII 1-2) o accompagna una situazione di turbamento («Intona la campana / Lo smarri- mento dell’ora, / E vastamente tutta s’abbandona», Fr L 10-12). Discorso a sé merita uno dei passaggi chiave del Curriculum dove, tra i vv. 145 e 147, la situazione emozionale si sblocca e Clemente – con dinamica simile a quella del presente testo – può vincere il suo disagio: «Suonava una campana: / emerse in quiete chiara la pianura; / di nuovo m’inurbai senza paura»; e anche dell’Inesplo- sa, di cui si veda la nota al v. 77. Interessante anche quanto il poeta diceva a Monteverdi, allora in zona di guerra, l’11 settembre 1916 (eP i, p. 339): «ti scrivo solo oggi, per farti risentire la mia adesione a te; come io ci sia veramente a proteggere, a “redimere” ciò che deve esser salvato: come un suono di campana»: una dimensione salvifica dell’immagine che anticipa quella dei presenti versi.

Se lo spunto della lirica è senza dubbio offerto al poeta dalla sua terra, è però difficile pensare non abbia agito anche qualche suggestione dai Canti leopardiani (si pensi solo al memorabile «Viene il vento recando il suon dell’ora / dalla torre del borgo», Le Ricor- danze 50-51). Ma forse tutto comincia dallo Zibaldone, che il giovane Clemente aveva studiato accanitamente per la sua tesina di laurea sul Leopardi malnoto, dedicata proprio ai rapporti di Leopardi con la musica. Eccone un passo esemplificativo, citato da Rebora nella tesina: «È piacevole qualunque suono (anche vilissimo) che largamente e vastamente si diffonda, come in taluno dei detti casi, massime se non si vede l’oggetto da cui parte» (p. 1928; e cfr. m, pp. 414-415). In altro passo la musica è addirittura defi- nita «lo stesso sentimento in persona» (p. 79 e m, p. 409) e anche «lo strumento ideale per esprimere l’indefinito della propria ani- ma» (ibi, p. 477). Occorre però una preliminare distinzione tra suono e armonia, come avviene in un altro luogo dello Zibaldone sempre ricordato da Rebora nel suo saggio (ibi, p. 408; Zibaldone, p. 1934):

Dico che l’effetto della musica spetta principalmente al suono. Voglio in- tender questo. Il suono (o canto) senz’armonia e melodia non ha forza bastante né durevole anzi non altro che momentanea sull’animo umano. Ma viceversa l’armonia o melodia senza il suono o canto, e senza quel tal suono che possa esser musicale, non fa nessun effetto. […] Ma io attribui- sco l’effetto principale al suono perch’esso è propriamente quella […] sensazione a cui la natura ha dato quella miracolosa forza sull’animo uma- no […]; e sebbene egli ha bisogno dell’armonia, nondimeno al primo istante, il puro suono basta ad aprire e scuotere l’animo umano […].

Nel caso della campana di Lombardia siamo proprio nel campo del suono, con la sua «miracolosa forza» capace di suscitare la serena commozione del poeta, facendosi voce che agisce e rimane se anche fisicamente va via. Utili approfondimenti sul tema nel saggio di Donatella Marchi, «Canti anonimi»: piano/forte, in ATTI ROVERETO 1993, pagina 173-185.

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