Noemi De Lisi, il vocabolario dell’anima

Noemi De Lisi

Nel tuo profondo che ignori avrei voluto raggiungerti,
nello strano evento delle tue braccia macchiate di lividi
e della mia bocca che trema nel dire: “Non volevo farti questo”.
In ogni stretta, morso, schiaffo che ti ho dato per scoprire
la parte dove ti riassumi tutta e avrei potuto impararti subito.
Strapparti via quello che di me rimane nelle tue intenzioni,
spogliarti fino a non riconoscermi più: “Chi è stato a farti questo?”.
Dimenticare me per primo poi ricordare te in ogni cosa,
ripetertelo a memoria e imitarti così bene da confondermi.
Diventare te per poterti finalmente amare nell’unico modo,
diventare te senza lasciarti ricordare nulla della mia vita:
delle mie serate per strada a camminare da solo, senza soldi,
di quella vecchia casa piena di rumori e pianti di mia madre,
del letto sempre disfatto, le scarpe scollate, il dente spezzato,
della foga sopita nel mio corpo che batte quando resto immobile
mentre una voce mi chiama da dentro col tuo nome e sanguino.

***

La città sembrava la mia casa,
i vicoli spogli, lucidi a volte
nella notte dopo la pioggia
erano il lungo corridoio fino alla mia stanza,
quella che tu dicevi vuota
e io ti odiavo perché dicevi una cosa non vera.
Per questo ti immagino mentire su tutto,
forse non sei neanche partita e mi segui
per la città, attenta che non mi volti.
Mi guardi camminare racchiuso nelle spalle con le mani in tasca
e lo fai come se mi spiassi dalla finestra della stanza,
quella che mi teneva sveglio tutta la notte:
“Dalla finestra sento il gallo cantare ogni ora,
non l’ho mai visto ma mia madre dice che c’è da sempre.
Dalla finestra si vede una specie di giardino in fondo,
lì c’è il gallo e ogni volta che canta,
qualcuno apre gli occhi e mi spia dalla finestra.”
Quando te lo raccontavo mi davi uno schiaffo:
“Sono stanca di tutte le tue storie!”.
Mi siedo sul marciapiede e mi tengo la guancia
come se mi avessi appena colpito, come se stessi dormendo
e non mi volto per non sorprenderti a spiarmi
lì dietro lo spigolo di un palazzo.

***

Non avevamo più parlato dopo il colpo di vento,
la polvere si era alzata dalla strada e ci era finita negli occhi.
Figlio mio, perché mi devi punire?
In silenzio per la voce lontanissima trattenevamo il respiro:
era rauca, la riconoscevamo, ci chiamava fra il rumore.
Mi hai chiamato e sono nato come volevi tu.
Negli occhi la polvere si raggrumava e diventava pietra,
non sopportavamo più il rimprovero di una ferita.
Quando fai questa smorfia sembri me da vecchio.
Quella voce ci consolava, eravamo muti ma dentro
la ripetevamo con le stesse parole raschiando la gola.
Hai una cosa nell’occhio, avvicinati che ci soffio su.
A ogni parola ci voltavamo per ritrovarla, ma si era alzata
davanti a noi, ci dava le spalle, chi cercavamo nel fondo.
Ora che ti ho liberato tornerai a parlarmi?
Allungavamo una mano per afferrarle i capelli
e la vedevamo cadere prima di averla sfiorata.
Smettila di fare il morto, mi stai facendo arrabbiare.
La sua ombra si muoveva sui nostri corpi fermi, rinchiusi
ma l’affanno del respiro tradiva tutta quell’apparenza.

Da: La stanza vuota (Giuliano Ladolfi editore, 2017

Noemi De Lisi è nata a Palermo nel 1988. Laureata in Giornalismo e in Teorie della comunicazione. Ha studiato editing alla Scuola del Libro di Roma e al Centro Studi Narrazione di Palermo. Nel 2009 le sue poesie sono state pubblicate su Nuovi Argomenti N° 45. Ha frequentato corsi di scrittura con Giulio Mozzi e Carola Susani. Nel 2015 è semifinalista al Premio Rimini e viene inserita nell’antologia “Post ‘900. Lirici e narrativi” edita da Ladolfi. Nel 2017 ha esordito in poesia con la raccolta “La stanza vuota” (Ladolfi Editore). Nel 2020 i suoi racconti vengono segnalati al Premio Calvino XXXIII edizione.

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