Ricordo di Franco Loi

Franco Loi

di Alberto Fraccacreta

Uno dei modi migliori per ricordare un poeta è forse quello di far parlare la sua poesia. E, come per l’intervento di Valerio Magrelli apparso qualche giorno fa su queste stesse pagine, mi piacerebbe commentare un testo di Franco Loi, delineando alcuni punti essenziali della sua esperienza in versi. Già nella poesia messa egregiamente in rilievo da Magrelli abbiamo visto come tra gli elementi peculiari ci fosse l’esodo dall’io, l’uscita da sé («Me piasaríss de mí desmentegâss», «Mi piacerebbe di me dimenticarmi»), che ha la conseguenza di permettere l’esistenza «due che la vita la se pensa vîv» («là dove la vita si pensa vivere»). Se il soggetto si fa da parte, sorge la vita nella sua pienezza e autenticità.

C’è un ulteriore conseguenza a quella che potremmo definire la “povertà dell’io” (comune oggi in molti autori, da Philippe Jaccottet ad Adam Zagajewski). Infatti, l’integrità del vivere, l’essere armonicamente immersi in uno spazio non spersonalizzato ma al contrario fortemente connotato dell’altrui presenza, può anche consentire di cogliere alcuni gesti in maniera “sacra” o addirittura “santa”, capaci di spiccare nel flusso continuo delle cose. Leggiamo una lirica da Lünn (Il Ponte, 1982):

Vòltess

Vòltess, sensa dagh pés, cume se fa
quand ch’i penser ne l’aria slisen via,
vòltess per abitüden lenta, sensa sâ,
cume quj donn che per la strada i gira
la testa per un òmm, in câ, o sü la porta,
vòltess per simpatia d’un rümur luntan,
o d’una runden sü nel ciel stravolta,
vòltess sensa savè, per vuluntâ
d’un quaj penser bislacch, o per busia,
vòltess per returnà, che smentegâ
sun mì che dré di spall te rubaria
quel nient del camenà, quel tò ’ndà via.

Ecco la traduzione:

Vòltati, senza dar peso, come si fa
quando i pensieri nell’aria scivolano via,
voltati per abitudine, lenta, senza senso
come quelle donne che per strada girano
la testa per un uomo, in casa, o sulla porta,
voltati per simpatia d’un rumore lontano,
o d’una rondine su nel cielo stravolta,
voltati senza sapere, per volontà
d’un qualche pensiero bizzarro, o per bugia,
voltati per ritornare, che dimenticato
ci son io dietro le spalle per rubarti
quel niente del camminare, quel tuo andare via.

Il milanese di Loi è ibridato da forestierismi, rimpasti vernacolari e Umgangssprache, tanto da mostrarsi particolarmente sonante. Il costrutto anaforico «vòltess» dà una cadenza precisa ai decasillabi, che assomigliano a endecasillabi sospesi.

Sotto il profilo tematico, il voltarsi proposto da Loi ha un celebre antecedente nella poesia italiana del Novecento: Montale, ovviamente, Forse un mattino andando, testo centrale degli Ossi di seppia. «Forse un mattino andando in un’aria di vetro,/ arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:/ il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro/ di me, con un terrore da ubriaco». Il gesto archetipico di Montale si contrappone all’indifferenza degli «uomini che non si voltano», di coloro che non sono interessati a cogliere lo spazio del sacro aperto dinanzi al soggetto lirico. È l’ipotesi critica di Andrea Gareffi in un bel libro dedicato all’autore genovese, L’opus contra naturam di Montale (Loffredo).

La situazione descritta da Loi presenta alcune sensibili differenze. Intanto, il poeta chiede a un tu femminile di voltarsi. Dev’essere un voltarsi leggero («senza dar peso, come si fa/ quando i pensieri nell’aria scivolano via»), comune («per abitudine, lenta») e al contempo unico («per ritornare»). Il voltarsi desiderato è quello della «vita che si pensa vivere». Povera cosa, normale, dozzinale, eppure fissata come un evento nello spazio della relazione. Solo il voltarsi permette il riconoscimento, la possibilità di cogliere la figura in scia («quel tuo andare via»), che è cognizione precaria ma essenziale per l’apparizione dell’altro. In questa lirica Loi presenta la manifestazione dell’altro attraverso il gesto.

La comunanza intertestuale con Montale è suggerita ancora nel saggio di Gareffi: il voltarsi montaliano ha qualcosa del voltarsi di Maria Maddalena in Gv 20,16: «Gesù le disse: “Maria!” Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: “Rabbunì!” che vuol dire: “Maestro!”». Solo voltandosi Maria può riconoscere il maestro. E Gareffi aggiunge che il rivolgersi di Montale non è distante da una tale agnizione: «Fare il vuoto di tutto l’umano per lasciarlo libero di riempirsi di tutto il sacro».

Ebbene, anche la richiesta che Loi pone alla sua interlocutrice sembra essere in linea con lo svuotarsi di sé (un dimenticarsi) e assumere il «niente» (il «nulla» montaliano) per attendere che l’alterità ci investa e ci colmi, e così riesca a santificare la poesia stessa.

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