Epistéllō, invio

Mario Benedetti, nella foto di Dino Ignani

Il poeta Alessandro Ceni scrive di Mario Benedetti, poeta italiano, usando un’antica tecnica: l’epistola (epĭstŭla, in greco epistolḗ, derivante di epistéllō “mando, invio”).

Ceni risponde quindi, alla sua maniera, alla mia richiesta di inviare al blog “qualcosa di scritto” per ricordare Mario Benedetti. Ceni sceglie la forma epistolare e si rivolge a me, ma parla di Benedetti. Un intervento davvero notevole. Ceni, pur essendo agli antipodi della poesia di Benedetti, non indugia a riconoscere nel poeta friulano, prematuramente scomparso, la capacità e la dote della vera poesia.

Luigia Sorrentino

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Cara Luigia,

accolgo volentieri il tuo invito a scrivere, a buttar giù qualcosa, su o intorno a Mario Benedetti.

Di persona non l’ho conosciuto né mai mi pare ci siamo incrociati in occasione di qualche lettura. L’unico contatto con lui fu molti anni fa ai tempi della rivista “Scarto minimo”. Se non ricordo male, inviai delle poesie per l’eventuale pubblicazione e la sua risposta (non rammento se epistolare o telefonica) fu che, parole sue, essendo io già noto (già allora, a suo parere) potevo fare a meno di essere pubblicato lì (evidentemente si privilegiavano poeti meno “noti” o esordienti). Nessuna replica da parte mia e nessuna ulteriore notizia da parte sua.

Dal punto di vista poetico, sicuramente ci situiamo non proprio agli antipodi ma inequivocabilmente a parecchie miglia di distanza l’uno dall’altro. Ciò non toglie, però, che non abbia apprezzato la sua poesia, la sua asciutta e acuta ricerca. Voglio dire, cioè, che pur su posizioni diverse, sotto il profilo dell’indagine e del lavoro sulla lingua una certa consonanza può sussistere. Non solo. Poiché ho sempre tenuto presente di un autore (poeta, artista o altro) il suo “come”, vale a dire il modo in cui ottiene l’esito finale del proprio lavoro (lo stile è l’opera), senza dare alcun peso al “cosa” e al “perché”, i quali sono contenuti ed espressi dal “come”, Benedetti (almeno quello che mi è capitato di leggere) può interessarmi. Questo per dire che anche di poeti lontani o molto lontani o addirittura incompatibili è necessario riconoscere la qualità (e con ciò superare d’un balzo ogni faziosità rappresentata da linee, scuole, gruppi, conventicole eccetera).

Faccio un esempio prendendo due poeti italiani del Novecento più che storicizzati (termine che uso qui per intenderci ma che aborro, perché la poesia vera e l’arte vera, com’è risaputo ma è sempre bene ripetere, non hanno tempo, è sempre contemporanea): Bertolucci e Sanguineti. Antitetici, anch’essi.

Dirò francamente che di entrambi poco o nulla m’importa dal mio punto di vista di poeta che guarda altri poeti. Il loro lavoro non m’interessa. Devo però riconoscere la capacità e la dote delle loro rispettive (e lontanissime) espressioni artistiche. Essi sono nel loro rispettivo “come” poeti. Qualitativamente parlando non possono essermi indifferenti. Spero di essere stato chiaro.

Usava un tempo, anticamente ormai, verificare l’autenticità di una moneta d’argento battendola così da farla rimbalzare su una lastra di marmo: se emetteva un bel suono era di buon metallo. Mi pare che la moneta del conio di Benedetti abbia suonato bene.

Ti mando un caro saluto,
Alessandro

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