Rilke, le poesie francesi

Rainer Maria Rilke

Verges o la poesia della “tenerezza”
di Marco Marangoni

Note in margine a Verzieri, Le poesie francesi. Introduzione e traduzione di Pierangela Rossi, Biblioteca dei Leoni, Castelfranco veneto (TV), 2018.

Tenendo conto soprattutto, tra le altre, della traduzione delle Poesie francesi di Rilke, firmata da Roberto Carifi (Crocetti Editore, Milano, 1989), oltre che del lavoro critico dei maggiori studiosi italiani del “settore”, P. Rossi ci offre una nuova versione di Vergers, il “primo grande manoscritto compiuto” di poesie francesi. L’opera venne composta tra il gennaio 1924 e il maggio 1925 e poi pubblicata nella Nouvelle Revue française nel 1926. La traduttrice in questa versione ci indirizza anzitutto a soffermarci sul sentimento della “tenerezza”, variante più intima della gioia lirica: “Ogni cosa è sospesa – commenta la Rossi- tra peso e leggerezza. […] Rilke, per esempio, non si stanca mai di pronunciare “tenero” (Biografia, introduzione a Verzieri, op. cit., p.16).

Dove, nella traduzione di Carifi, era il pensiero poetante -sulle orme di Blanchot e di Heidegger- a guidare le parole rilkiane da una “patria di morte” a una Heimat di canto, in quella della Rossi si nota il tentativo di una sintonia con una certa grazia di dettato, oltre che di chiarezza comunicativa, fino a una specie di conquistato respiro, cui la poetessa-traduttrice tende già nel suo lavoro autonomo in versi. E quale specimen di quanto detto, può giovare un confronto tra la due “versioni”, e proprio a partire emblematicamente dal verso iniziale della lirica intitolata Verzierie (Verger):

“Peut-etre que si j’ai osé t’écrire,”

“Se di scriverti ho avuto l’ardimento” (Carifi);
“Forse se ho osato scriverti,” (Rossi).

Che sul Francese poi sia caduta la scelta di Rilke per dire la “tenerezza”, resta fino ad un certo punto esprimibile, rimandando in qualche modo ai moti segreti per i quali un significato sorge poeticamente e si salda in modo imprevedibile con la parola. E non basterà, per spiegarla, il ricordare le intense frequentazioni di Rilke con famosi poeti e artisti francesi, suoi cari amici. E questa condizione di accortezza è stata assunta dalla traduttrice, che nella sua introduzione a Verzieri, parla del facile fraintendimento in cui incorre ogni interpretazione e ogni traduzione di poesia. D’altro canto, come insegna W.Benjamin, se la buona traduzione verifica lo scarto tra comunicabile e incomunicabile, quale è già presente nelle lingue in quanto tali, tanto più esso è rintracciabile in un’opera poetica e di conseguenza in una sua traduzione. Ora, tornando a Rilke, sappiamo quanto i nodi ora ricordati siano stati attraversati, di fatto, nella sua esperienza di cosmopolita, e si siano compenetrati con la sua poesia.

Dunque il francese e la “tenerezza”. E l’inafferrabile che con tale “tenerezza” si dice. Verzieri traduce Vergers, “Nom rustique”, (“nome rustico”), dice il poeta; e dai suoni che si raddoppiano in “ syllabes symétriques “ (” sillabe simmetriche”). In ciò l’articolarsi di un fonosimbolismo, da cui procede una metafora organica: “il cui unico imperio/mi tormentava da sempre: Verziere.” (Verzieri, op. cit., p.49). Un nucleo dunque poematico, una realtà nello scrigno della parola-cosa: “nome chiaro” che “redouble tout “(“raddoppi tutto”) e perciò “devient abondant” (“divieni abbondante”).

Si comprende, a questo punto, come sia facile cadere in interpretazioni riduttive, quando si crede di rinchiudere gli autori in categorie prefissate, come si potrebbe nel caso appunto dell’autore di Vergers, richiamando il decadentismo, la finis Austriae, l’impressionismo ecc. Evidentemente Rilke, pur essendo tutte quelle “cose”, le eccede tutte, aderendo ad uno stile originalissimo. Il tono lirico ma “di pensiero” che trionfa nelle Elegie (non a caso ha attratto le menti di un Heidegger o di un Guardini), è presente anche in Vergers: “Verso quale sole gravitano/ tanti desideri pesanti?” (Verzieri, Ibidem). Ed è la razionalità “tecnica” –nonché il tempo lineare, di accumulo- a mostrare la sua inanità qui, dove invece si chiede che il linguaggio si spinga oltre – su questi temi valga l’interpretazione di F. Rella in Il Silenzio e le parole, Feltrinelli, Milano, 2001. – Insomma, dove tacciono le formule, e la chiacchiera, potrebbe incedere un’ “ azione supplementare!”( Verzieri, op.cit., p.65) : “Verziere, o privilegio di una lira/di poterti nominare semplicemente;” (Verzieri, op.cit., p.49). Che cosa tenta Rilke in queste poesie francesi? Osa “nominare” o scrivere in una lingua “in prestito”; prestata (per le sue virtualità di senso-suono) a una ricerca di ascolto; all’ascolto dell’ineffabile-invisibile, sia pur sempre (come gli aveva insegnato in altro modo la scultura di Rodin) nelle trame del dicibile-visibile. In questo accostamento al francese, più importante del suono convenzionale e grammaticale pare essere quella certa risonanza che indirizza Rilke in un cammino di ascolto. E si tratta di un francese comunque non inteso come idioma di un simbolismo artificioso, ma come “conversion de la fonction represéntative et visuelle du langage en audition pure” (giudizio di Paul de Man, giustamente riportato da Carifi nella sua curatela delle Poesie francesi, op.cit., p.12)
Il poeta pare mettersi sulle tracce di Verlaine anzitutto: lo rileva Valery, che scrive a Rilke: “Non potete immaginare la stranezza stupefacentemente delicata del vostro francese. C’è Verlaine…Un Verlaine più astratto”. (dall’ introduzione a Verzieri, op. cit., p.16).
Rilke tenta di accedere precisamente a un codice il cui suono meraviglia per un che di “troppo vago”: ed è il caso del nome “Verger”: “Povero il poeta che deve eleggere/per dire tutto ciò che questo nome comprende/un che di troppo vago, a sconvolgere/o peggio: la chiusura a difendere.” (Verzieri, op. cit., p.49)

In un con-fine cammina il poeta raggiunto da quel “trop vague”, che risuona nel nome “Verger”: dove il significato viene sconvolto e al tempo stesso difeso: questo nome “a sconvolgere/ o peggio: la chiusura a difendere.” Siamo in quello spazio di gravità che ricorda il tappeto elastico, “perduto dell’universo”, dei saltimbanchi evocati nella quinta delle Elegie: immagine di una salvezza-che-cade. Si coglie qui tutto un impegno artistico e speculativo che mira a vibrare con il movimento di andata-ritorno di “tante forze contrarie.” (Verzieri, op.cit., p.50). Ed è in questa più profonda realtà che “saremo leggeri”, dice Rilke, invitando a prendere a modello il frutteto: “Guardate bene il verziere:/ è inevitabile che pesi;/eppure di questo malessere/fa la felicità dell’estate.” (Ibidem). Come la vita di Rilke, a un certo punto, è giunta al preludio finale, così appaiono, nelle sue poesie vallesane, anche il frutteto e il paesaggio estivi di quegli anni ’20. Al suo culmine il frutteto pesa di frutti, gravita, ma gravita anche verso il fulcro interno del suo movimento (incessante), che così assurge a modello, e misura, della vita-poesia.

Siamo dove la caducità che un tempo angosciava il poeta è stata redenta-curata nello spazio interiore del mondo, nell’intérieur che trasforma il visibile nell’invisibile. Opposta perciò alle imposizioni della forza, sfociate nella krisis della “grande guerra”, la lira si fa svolta e “melodia della linfa”, canto di metamorfosi: “Ma io ritorno ancora, io ricomincio” (Verzieri, n 59, op. cit., p.87). Il poeta, ormai roso dalla leucemia, può abitare l’altrove di una lingua “in prestito”, e celebrare l’esistenza, avendo trovato una specie di giardino originario ( “ la primavera antica”) proprio pronunciando versi come i seguenti: “Là si incontra quel che ci resta, / pesa e nutre, /quanto il passaggio manifesto/ della tenerezza infinita.” (Verzieri, op. cit. p.50).

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Pierangela Rossi è nata a Gallarate (Varese) nel 1956. Ha pubblicato le raccolte di poesia “Coclea e Kata” (Campanotto), “Zabargad” (Book editore), “Crisolito” (sulla rivista “Steve”), “Kairos” (Aragno, finalista nella terzina del Viareggio-Rèpaci), “Zenit” (Raffaelli), “Ali di colomba”, “Punti d’amore” , il libro di poetica “Intorno alla poesia” (Campanotto), “Euridice” (sulla rivista “Incroci”), “Euridice e l’Haiku” (LietoColle), <Carte del tempo> (Campanotto) e le  plaquette “Conchiglie”, “A Paolo”(Pulcinoelefante), “A Paolo” (M.me Webb,). I libri “Avventure di un corpoanima” (puntoacapo), “Polvere di stelle Polvere di foglie”(puntoacapo), “La ragazza di giada” (puntoacapo). Ha pubblicato e introdotto un libro di traduzioni: <Rilke. Verzieri. Le poesie francesi> (Biblioteca dei leoni). Ha pubblicato la traduzione di “Le rose” di Rilke (Almanaccopunto poesia), la traduzione di “Le finestre” di Rilke (Almanaccopunto poesia), la traduzione di “Le Quartine Vallesane” di Rilke (Almanaccopunto poesia), la traduzione delle “Illuminazioni” di Rimbaud e altre traduzioni di Rimbaud (Almanaccopunto poesia) e i poemetti “Melusina e le altre” (Almanaccopunto poesia>, “Mater abrasa” (Laboratori poesia), E’ stata tradotta in romeno. E’ autrice di saggi di critica d’arte, tra cui “La cucina del senso” (Martano), “Gli specchi abominevoli” (Dov’è la tigre), “Una promessa di felicità” (Cantoni), “C’era una volta” (Legnano) e “I limiti dell’arte” (Il dialogo). Ha collaborato con artisti con propri testi poetici. Vive a Milano, giornalista professionista, collabora ad “Avvenire”, a “Studi Cattolici”, ai “Laboratori poesia”.

7 pensieri su “Rilke, le poesie francesi

    • provi a vedere se trova il suo testo qui: https://rilke.pl/advent

      Es treibt der Wind im Winterwalde
      die Flockenherde wie ein Hirt,
      und manche Tanne ahnt, wie balde
      sie fromm und lichterheilig wird,
      und lauscht hinaus. Den weißen Wegen
      streckt sie die Zweige hin — bereit,
      und wehrt dem Wind und wächst entgegen
      der einen Nacht der Herrlichkeit.

  1. Sono alla ricerca della poesia in francese che Rilke ha composto in francese durante il suo soggiorno a (Bad) Ragaz (Svizzera) nell’anno 1924:
    ‘Dispersi dal vento..”
    Grazie

      • Gent.ma Professoressa!
        La ringrazio molto per le Sue indicazioni.
        La poesia di Rilke che cerco in lingua francese è la seguente:
        Ah, nel vento dispersi, quanti vani ritorni.
        Cose che ci respinsero
        ci aprono più tardi,
        quando siamo lontani,
        sbigottite le braccia.
        Perché non c’è sentiero che riporti indietro. Tutto spinge fuori, e la casa che si aprì in ritardo
        resta vuota” Rilke
        Ho cercato tra le poesie tedesche, ma non l’ho trovata, a meno che le poesie che Rilke compose in francese a Ragaz nella metà di luglio 1924 si trovino nel volume ‘Späte Gedichte”.
        Dovrebbe perciò trovarsi in francese perché fu scritra da Rilke in francese.
        La ringrazio moltissimo per la Sua gentilezza!
        maria teresa

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