Silvia Bre

Silvia Bre / credits ph. Dino Ignani

di Eleonora Rimolo

In perenne tensione tra l’osservazione dell’oggetto e la scoperta della sua fragilità, la poesia di Silvia Bre esplora con circospezione quel rapporto sottile e precario tra il “sapere” e “l’essere”: un legame moribondo basato su “la forma / che si forma ciecamente / nel suo dire di sé / per vocazione.” Il dualismo, secondo il poeta, è il sistema fondante della nostra contraddittoria esistenza e ci pone sempre di fronte ad una scelta impossibile tra un prima e un dopo, da noi indipendenti: “un viale avevo / di sterminate rose / da guardare la sera” mentre “guarda adesso / com’è tutto raccolto in un mirino”. Perdere l’orientamento, la strada, lasciare il “mondo delle cose” non è tuttavia sintomo di smarrimento: è, invece, possibilità di raggiungere uno spazio nuovo, tutto interiore, dove i versi ramificano e “il cielo” si stende “sulle dita”, regalandoci una nuova ipotesi di felicità. Le poesie di Silvia Bre sono un invito ad ascoltare ostinatamente il proprio dolore, al di là della “sembianza” contingente, e ad assecondarlo tutto, come atto di “fede” verso se stessi, perché non c’è verità più incontrovertibile di quella che non si vede, ma che si sente dentro come puro istinto, a noi connaturato come un’ “onda che sale nelle nostre menti”.

 

da La fine di quest’arte (Einaudi, Torino 2015)

 

Se il nostro luogo è dove

il silenzioso guardarsi delle cose

ha bisogno di noi

dire non è sapere, è l’altra via,

tutta fatale, d’essere.

Questa la geografia.

Si sta così nel mondo

pensosi avventurieri dell’umano,

si è la forma

che si forma ciecamente

nel suo dire di sé

per vocazione.

 

*

 

da Le barricate misteriose – Edere (Einaudi, Torino 2001)

 

 

Ascolta, un viale avevo
di sterminate rose
da guardare la sera,
cieli di viole
che l’edera rampava a grandi tele,
avevo corde amorose.
E guarda adesso
com’è tutto raccolto in un mirino,
che finalmente la mia strada ho perso
nel mondo delle cose
e mi sento salire rami nuovi
e il cielo ce l’ho steso sulle dita
e amo, e mi rinchiudo
tutta nella vita.

 

*

 

Da Marmo – La figura (Einaudi, Torino 2007)

 

Ognuno vuole avere il suo dolore
e dargli un corpo, una sembianza, un letto,
e maledirlo nel buio delle notti,
portarlo su di sé tenacemente
perché si veda come una bandiera,
come la spada che regala forze.
Ma c’è persa nell’aria della vita
un’altra fede, un dovere diverso
che non sopporta d’esser nominato
e tocca solamente a chi lo prova.
È questo. È rimanere
qui a sentire come adesso
l’onda che sale nelle nostre menti,
le stringe insieme in un respiro solo
come fosse per sempre,
e le abbandona.
Ma nemmeno la pupilla d’un cieco
dimentica l’azzurro che non vede.

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Silvia Bre (Bergamo, 1953), è scrittrice, poetessa e traduttrice. Ha vinto il premio Montale nel 2001 con la raccolta Le barricate misteriose (Einaudi, 2001) e il Premio Viareggio per la poesia con Marmo (Einaudi, 2007). Altre sue raccolte di poesia sono: I riposi (Rotundo, 1990) Sempre perdendosi (Nottetempo, 2006) e La fine di quest’arte (Einaudi, 2015). Ha curato la traduzione de Il Canzoniere di Louise Labé (Mondadori, 2000), Centroquattro poesie (Einaudi, 2011) e Uno zero più ampio (Einaudi, 2013) della poetessa inglese Emilie Dickinson

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