Alessandro De Santis, "Metro C"

 
MetroC_cover alta definizione[1]Nota di Aurelio Picca
Non so più cosa sia la poesia. Sarà che da ragazzo l’ho cercata come una preghiera o una punizione che
mi facesse male. Oppure mi rendesse invisibile, non per sparire ma per ripararmi da un mondo di anime morte eppure provviste di forma, liquidi, pensieri. Non volevo essere il migliore, non avevo ambizioni, se non quella di scrivere il mio nome senza il tremore della mano: in realtà la maggiore delle ambizioni. Però quando la poesia c’è, nel senso che contiene quel poco di vita che si fa poesia, non vorrei ma ci inciampo sopra perché in petto mi monta un frastuono di battaglia: un urlo muto epperò di ossa frantumate e di sangue scolato come piscio agli angoli dei muri.
Alessandro (De Santis, metto il cognome tra due fette di pane perché un poeta, sì, tiene alla memoria, ma di più ha urgenza del nome suo per costruire la propria, irripetibile leggenda – assumendosi il rischio della sconfitta) si prende amorevole cura di incendiare le polaroid.
Le poesie da lui messe a mangiare dentro scatolette di conserva, come se le parole fossero cadaverini pasoliniani, pure spuntati da trincee ungarettiane, rassomigliano molto a delle polaroid non pop, bensì sporche di fango e ringhiere arrugginite che un tempo, tra i Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, dividevano in borgate (le famose Borgate!) la periferia di Roma che sbatteva a Sud sotto le capocce dei Colli Albani chiamati anche Castelli Romani. Polaroid di conserva e filo spinato che, comunque, fanno i conti con un tempo precipitato in un’eternità dove si aspettano e abbracciano sereni flagellati e flagellanti.
Alessandro conta i minuti e le ore per fare i suoi scatti in mezzo a codesto territorio geologico, umano e circense. Lo fa calmo. Senza ingerire psicofarmaci. Scatta e strappa le polaroid che gli giungono in mano con lentezza rituale, giacché indossa l’abito del sacerdote e la coroncina di fiori appassiti della vestale. La mole di fango umano, urbano; lo schiattamento delle culture; le scorregge dei nuovi dannati che non usano più dentiere bensì impianti e perni di acciaio conficcati nell’osso: sono ritratti con la calma di un poeta che conta i secondi che ci separano dal nulla. Lo fa con la grazia di un antico arrotino chino sulla mola, o con lo zinale di un pizzicagnolo appena striato dalla bava rosa di una pancetta di maiale fresco.
Alessandro scatta e strappa; strappa affinché la poesia cali l’asso quando il sipario è giù. Ecco allora la firma del Poeta. Grazie ragazzo. Grazie per il “ventoso vicolo di un tempo”.
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Graniti
Ore 09,20. Un lupo mannaro o forse Kappler
Tutto il giorno aveva camminato sul ciglio
[della strada
contava i passi e li classificava
e poi passava agli organi, alle carni
la lingua lastricata e le sue selci
intrise del sudore del non dire
Aveva infilato le mani chiuse a pugno nelle tasche
ed era risalito sin dentro alla campagna
Fatto inventario dei pali dei filari
piantati come croci, sporcato la punta
delle scarpe nello stabbio
Ore ed ore si era soffermato,
intere ere geologiche e crisi di governo
prima di vedere quella farfalla posarsi
sulla rete metallica del suicida
Senza dote di stelle lo raggiunse brusca la notte
gli aprì la bocca come a prender fiato.
Vide l’esatto diametro del cuore umano
e pensò che fosse proprio una bella
giornata per ricominciare, per un attacco aereo
negli occhi ancora il rapinoso schianto di quando
quel ponte se n’era sparito ghiotto.
*
Fontana Candida
Ore 11,45. Torno subito. Finalmente parte il fax
Gli occhi di Rachid sono
neri come il bitume
brulicano intenzioni
Vorrebbe piantarti un coltello nell’orecchio
o solo chiederti se ti serve qualcosa
offrirti della sambuca che ti bruci la gola
Ma tu vuoi una postazione internet
un occhio miotico sul mondo
Pigi i tasti nero fondente in progressione
e senti i canti del Ramadam salire su da youtube
come l’acqua per la pasta quando bolle.
*
Giardinetti
Ore 16,30. Al sole tra polvere e zanzare
 
Su una panchina
nel parco a pochi passi
c’è la signora Ida
seduta, ferma immobile
Lenta come un pavone
muove l’unghia pittata ad indicare
com’è che vuole il taglio
allegra la rumena
le apparecchia intorno al collo
le guance un po’ arrossate
La gita fuori porta è cominciata
la tavola imbandita, anche stirata
Si gioca a fare i ricchi, pomeriggio
ché appena cala il sole
il gioco finisce
le donne vanno a casa
in ritirata,
attente a attraversare sulle strisce.
 
 *
Torre Maura
Ore 10,35. Sguardi ottimisti. Un insolito vento
 
L’uomo senza braccia
non cerca appigli
l’uomo senza braccia
ha sporte che gli pendono dai lembi
muove il mento
come a voler dire qualcosa
il volto smunto
povero di peli
un tipo biondo lo fissa
segue con lo sguardo
la sua ellittica geometria
un uomo – si sa – esige dei legami
non ha motivo d’essere
quell’albero potato,
senza rami.
 
 *
Torre Spaccata
Ore 19,25. Verso l’Auditorium. Sudore controllato
 
Irto sullo scalino del capolinea
il matto parla
dice, sputacchia, impreca ad alta voce
uno, quello alto, ride
l’altro col borsello nero
ha un ghigno da impiegato
mentre la signora giovanile
finge riserbo con gli occhi
Non c’è proprio niente da ridere, stronzi
Il matto parla
dice, sputacchia, impreca ad alta voce
lui, spesso dice la verità.
 
 *
Alessandrino
Ore 23,48. Sbeffeggiare Jonkind lo sciocco.
 
Profumi sofferti
La lingua lastricata di stazioni di carne
muta e da brodo
salate le lacrime, avvolte nello spago
spesso, vinto nel nodo
nell’abbaglio del fitto
che assale una rinvenuta
frontiera di punte di spillo e mosche.
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Alessandro De Santis è nato a Roma nel 1976 e vive a Lanuvio, paese dei Castelli Romani. Ha diretto il blog letterario Luminol ed è editor e curatore dell’omonima collana di narrativa italiana breve per le Edizioni Socrates. Suoi testi poetici sono stati pubblicati su: Nuovi Argomenti, Nazione Indiana, El Ghibli, Letras, Sagarana. Ha esordito nel 2006 con la silloge: Il cielo interrato (Joker Edizioni) e nel 2013 è uscito il suo secondo lavoro: Metro C (Manni Editori); alcune poesie di quest’ultimo libro sono state antologizzate in Cile e ne è in corso una traduzione in lingua araba. La sua silloge Il verso del taglio farà parte del XII Quaderno Italiano di Poesia Contemporanea curato da Franco Buffoni e che uscirà a marzo 2015 per l’editore Marcos y Marcos.
 
 
 
 
 
 
 

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