Ida Travi, Katrin

katrin_di_ida_traviI Tolki: una poetica comunità di parlanti
Katrin Saluti dalla casa di nessuno“, prosegue la poetica mitologia contemporanea avviata anni fa con TA’ poesia dello spiraglio e della neve: stesse figure che ritornano, stesso dire.
TÀ era un tempo e un luogo, e da lì, passando attraverso il casolare rosso di Il mio nome è Inna sono arrivata a questo nuovo libro. Sono dunque tre libri ma non si tratta d’una trilogia, non mi attraggono le trilogie: una trilogia è qualcosa che conclude e insieme si conclude in se stessa, mentre qui c’è un’oscurità che continua, cioè una poetica. Nessun approdo, nessun appiglio se non il ramo basso d’un ciliegio. Un pettinino, una staccionata…una scatola, un martello. Testi brevi, testi elementari, mattoni senza peso destinati a poggiare uno sull’altro, senza peso. Queste poesie sono il poco che resta a partire da TÀ , da quella prima spoliazione, da quel taglio.
Non è semplice: bisogna saltare avanti e indietro, dentro e fuori dalle pagine. Bisogna staccarsi – da cosa? – bisogna abbandonare e ritrovare la parola, bisogna diventare poesia noi stessi, senza soluzione di continuità – e la storia? – senza storia…siamo soli. Non si tratta di fare attenzione alle piccole cose: siamo all’interno d’un mondo, siamo all’interno di qualcosa di molto grande, anche se stiamo solo armeggiando catìni, fazzoletti.
“In una specie di casa deposito Katrin, Usov, Suri e Van sulla faccia della terra si trovano a vivere la loro condizione di parlanti, qui chiamati Tolki. Sacri e miserabili, misteriosi e semplici, li abbiamo già incontrati nei libri precedenti… Chi è un Tolki? Penso a un Tolki come a un parlêtre, un essere marchiato dal linguaggio. Parlêtre è un neologismo di Lacan che fonde indissolubilmente l’essere al linguaggio, nell’atto della pronuncia. Vedo i Tolki come lavoranti o non lavoranti, esseri che nello scontro con la poesia assumono in se stessi il peso d’una lingua povera, dura come una colpa, leggera come una liberazione.
(Ida Travi – dalla quarta di copertina)

Dalla postfazione di Alessandra Pigliaru
“ […] Se ne Il mio nome è Inna il mondo si era ammalato «come un bambino piccolo», la nuova silloge di Ida Travi, Katrin. Saluti dalla casa di nessuno, si apre all’insegna del miracolo della visione, l’altro nome della libertà. Quella di cui tutti i viventi sono provvisti nello scardinamento dei recinti. Quella cercata nella preghiera dell’interezza della poesia. Nell’istante strappato e fortunato del raccoglimento. In silenzio. Non c’è separazione dal mondo bensì distanza benedetta dall’orlo cieco della soggettivazione.
A promettere resurrezione terrestre viene avanti Katrin. Nel coraggio di aver attraversato la perdita, non può che arrivare dopo Inna. È troppo giovane per aver acconsentito ad accudimenti non suoi pur ammettendo che si avverte come «Il mondo non è meraviglioso | non viene a salutarmi, non mi culla». Ma lei supera l’incuria. Ricorda. E infatti illumina la traiettoria indicata da Inna, con gratitudine. Katrin detta la mappa del cielo insieme a quel suo digiuno-rifugio del grembiule, trattenuto con la pacificazione di una regina priva di corona. «Credi che sia facile per me | lavorare ogni giorno | allacciarmi ogni volta il grembiule? || Come quando mi scendevano | le lacrime, come quando staccavo la macchina e di colpo | schizzavano le polveri in faccia».
Il grembiule è una volta celeste che respinge la condizione del castigo, è lo spazio simbolico che le ricorda chi è: una creatura diafana che chiama a sé l’incedere stesso del tempo poetico. Nel ritmo di una ripetizione, quando vi è la capacità di fare arretrare la miseria per aprirsi alla rotondità del pianto.
«Sono Katrin, io, sono l’abitante, la paziente», con un pallore che taglia il «cerchietto di vapore sulla testa» e un pettine a mettere ordine nello scompiglio. […] Questa donna «bianca come una sigaretta», vive nei pressi di un deposito e il suo compito non è quello di desiderare famiglia. Fa parte anche lei dei Tolki, comunità popolosa di anime semplici che visita la poetica di Ida Travi dai tempi di Tà. Poesia dello spiraglio e della neve. Anche qui sono identificati come i parlanti ma Usov, il giovane uomo, Suri, il dottore e Van, il bambino, non sembrano preoccuparsi troppo dei propri simili. Per raccontare il gioco dell’andirivieni poetico che tende al miracolo, Ida Travi introduce così un ulteriore e straordinario scorcio della sua poesia per personaggi e traccia al presente un luogo tanto immaginifico quanto materiale dell’esistente. Le sue creature stabiliscono infatti un’occasione unica nel panorama poetico contemporaneo; diventano esse stesse il passaggio verso la profondità di una storia che è anzitutto la loro. E quando la mettono in scena sanno il come; ecco perché possono suggerire un altro governo delle cose e di se stessi, toccano le parti interstiziali di ciascuna e ciascuno di noi. […]

( avevo dei diritti )
Avevo dei diritti, prima del pettine
avevo una casa
prima della casa avevo
un silenzio, un silenzio..
.
Cosa resta alla fine?
solo quel nodo
quel pulcino in gola…
Il vecchio vuol tornare nella culla
tutti vogliono tornare nella culla…
E adesso?
Il bambino è alla porta, Usov spinge, spinge.
( è fiorita la muffa sul muro )
È fiorita la muffa sul muro
ci ammaleremo
È fiorita la muffa sul muro, guarda
tre piccoli soldati al muro col fucilino puntato…
Tutta colpa del destino
tutta colpa di questa umidità…
C’era un secchio, un catino
un tempo, c’era un mastello
Adesso guarda come tutto scorre
come tutto gocciola dal tuo braccio alzato.
*
( c’era un cane )
C’era un cane al cancello
teneva la testa bassa
Io gli dicevo:
àlzala, quella testa
vedrai la corona
Adesso la torre è abbattuta
tutto il segreto è in polvere
Siamo soli, il cane e io
siamo soli su questa terra
Padrone del cane
padrone della torre
qui, qui!
*
( Katrin, sempre lì )
Katrin, sempre lì con quel pettine in mano
come la paralitica nella Terra di Nessuno
– il chiodo, il legno –
Credi che sia facile per me
lavorare ogni giorno
allacciarmi ogni volta il grembiule?
Come quando mi scendevano
le lacrime, come quando
staccavo la macchina e di colpo le polveri
mi schizzavano in faccia
di colpo scendeva il silenzio
sulla ruota più piccola.
*
( piange il bambino )
Piange il bambino, il suo pianto
è il nostro pozzo di petrolio, ci avvisa
Presto ci sarà il ringraziamento
chiuderemo lo spioncino
accenderemo le candele
– sì –
Dormiremo come sassi
come fanno le stelle, lontano
lontano, come fanno le stelle
quando chiude il portone
quando lampeggia sul ponte
l’ultimo segnale arancio.
*
( avevi due pugni )
Avevi due pugni
in piena solitudine
sei nato da tua madre
in piena solitudine
così!
questa è la siepe del terrore
questo è l’angolo delle meraviglie
– questa è la terra, la prima volta –
Il vecchio è vicino alla culla
s’aggira piano intorno alla culla
vedo un capello bianco
sopra il cuscino argento
uno, uno!
*
( se volete vedere il miracolo )
Se volete vedere il miracolo
tenete la scatola chiusa
Lasciate gli animali nella loro natura
togliete il recinto al regno di Dio
Datemi il nastro rosso
e poi… seguite il fiume, e poi…
Fino al ramo nell’acqua
fino al ceppo bruciato, più avanti
più avanti… fino all’ultima siepe di rovo
Usciremo da questa storia
– credetemi –
*
( L’angelo aveva le ali )
L’angelo aveva le ali
io lo tenevo in spalla come un sacco
Mettilo giù, diceva il cielo
mettilo giù, non vedi
ch’è più grande di te?
L’angelo poggiava i piedi
per terra, la terra
era il pianeta delle grazie
Tutto trascinava il suo carretto
tutto sospingeva la sua ruota.
*
(chiamo la neve)
Chiamo la neve come un bambino, Usov
la neve è un bambino con la testa rossa
è un parente lontano, un orso
Chiamo la neve e lei viene
obbedisce, tutto zittisce, nel nuovo nulla
Sotto il grembiule nero, dorme
la maglia bianca, sotto la cinta di fuoco
brilla il tuo campo nero
là sotto, là sotto…
Dove è caduta la goccia, dove
dal nulla spunta
la candida foglia verde.

Da Katrin Saluti dalla casa di nessuno  di Ida Travi, Moretti&Vitali,  2013
Ida Travi, poetessa. Scrive anche per la musica e il teatro. Per la poesia, con Moretti&Vitali, ha pubblicato “L’aspetto orale della poesia” (2000, III ed. 2007; selezione premio Viareggio 2011), “La corsa dei fuochi” (2006), “Neo/Alcesti. Canto delle quattro mura (2009), “Tà. Poesia dello spiraglio e della neve” (2011; selezione Premio Viareggio 2011), “Il mio nome è Inna” (finalista Premio Gradiva, New York, 2013).
 

1 pensiero su “Ida Travi, Katrin

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