Italian Poetry Review

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Italian Poetry Review, Volume VII, 2012

dall’editoriale di Paolo Valesio,  “Il Forum dell’Umanità

“I politici: coloro che dividono e dominano; i poeti, mediatori e servitori
Hetty Hillesum, Diario 1941-1943

[…]  “La rivista ha ospitato (“IPR”, VI, 2011) una tavola rotonda sul tema “Critica militante?” – e vorrei sottolineare, al di là dell’interesse di quella discussione, il punto interrogativo nel titolo scelto dalla redazione. Non si tratta di abolire ogni distinzione tra critica militante e critica accademica (o termini equivalent), perché questa differenziazione conserva una – limitata – utlità empirica. Ma sostanzialmente non esiste una posizione mentale che si possa defnire come militante rispetto a una posizione accademica ovvero unverstaria: esiste il crtico letterario, punto.  Anzi no, la sola posizione che abbia veramente un senso è quella del critico senza aggettivi.

“Critico” è un termine spesso frainteso, come se s trattasse di una sorta di istituzionalizzazione della pedanteria (critica accademica) o del brontolio, (critica militante) – così che “critico” rischia di divenire obsoleto di un’altra parola sua analoga: intellettuale. Invece quella del critico è una nobile funzione, appartiene a colui/colei che tenta di discernere (San Paolo [I Cor 12, 10] parla di discernimento degli spiriti) tra le più varie stuazioni, nell’arte come nella vita: vita dell’anima e del corpo, della società e del mondo. All’ipercitato verso di Hölderlin, “A che i poeti, nel tempo bisognoso?”.
La poesia è forse  l’unico spazio oggi rimasto dove abbia ancora una sua plausiblità la figura dell’intellettuale come commentatore e battitore libero. Egli non solo può dare direttamente voce a certi valori, ma anche fungere da mediatore/mediatrice per trasmettere altre voci: la poesia, insomma, come forum dell’umanità, e comunicazione dell’umano, in collegamento senza pretese di dominio con le varie altre forme artistiche.
Il poeta difende la lbertà di espressione. Una certa abitudine polemico-politica (contagiosa anche per chi la politica non la fa) è incline a biasimare gli atteggiamenti difensivi, come se fossero sempre una forma di debolezza. ma la libertà d espressione non esiste pienamente, e non è mai completamente esistita, in nessun luogo fino ad ora. Chi dunque coltiva tale libertà (non solo il poeta, ovviamente, ma l poeta in modo particolare) si trova sempre prima o poi con le spalle al muro: è ridotto alla difesa, e in questa resistenza è vano tentare di marcare troppo nettamente il confine tra passività e attività. (Continua a echeggiare il “Preferirei di no” del protagonista di Bartleby, lo scrivano di Herman Melville.)
Il poeta non si vergogna affatto di essere un pensatore difensivo, un resistente passivo; ciò che al di là della vergogna uccide la poesia è invece cedere ai clichés che danno soltanto l’illusione della libertà espressiva. Uno dei più miserevoli è l’etichetta del “politicamente corretto”: questa frasetta, che viene di solto pronunziata con un sorrisino di apparente distacco, accetta il conformismo nel momento in cui finge di distanziarsi da esso. E un’altra forma di elusione è la protesta contro il cosiddetto pensiero “unico” della tribù avversa, con il risultato che l pensiero così chiacchierato si rivela tutt’altro che unico.
E’ il poeta ad avere un pensiero veramente Unico, è il poeta che è veramente il Singolo – e queste maiscole vorrei chiamarle maiuscole della modestia. Dove il paradosso è soltanto apparente: quando il poeta accetta (oso dire: si rassegna a) l’unicità e singolarità radicale del suo linguaggio, lui/lei si colloca in una posizione che non è più quella del vate: il suo è un contributo dialogico – in dialogo con gli altri cittadini – alla vita della polis. E il passo citato in esergo sui politici e i poeti – in omaggio al talento eroicamente dispiegato della giovane martire Etty Hillesum – è poetico nella drasticità iperbolca del suo contrasto, ma semplifica una situazione che è molto pù aggrovigliata. La poesia in quanto libera è libera anche di parlare dell’oro e del potere senza moralismi. (Poetare è anche, scusandomi per il bisticcio, una forma di poe-tere). […]

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