Simone di Biasio, "Assenti ingiustificati"

copertina-assenti-ingiustificati[1]Estratto della prefazione di Claudio Damiani
“Assenti ingiustificati” sono tutti, “siamo” tutti. Anche un giovane appena venuto, anche lui è assente ingiustificato. E ecco, allora, non c’è solo “la condizione giovanile oggi” in questo libro, o meglio c’è, ma c’è anche altro, c’è uno sguardo vero sul mondo, sull’uomo, su tutto, uno sguardo per giovani e meno giovani, per vecchi e per bambini.
“Si dovrebbe chiedere alle cose / Di cosa hanno bisogno per nominarsi meglio”. Simone comincia da un luogo inatteso, che spiazza: la lingua. Perché tutti hanno ricette per raddrizzare il mondo: si dovrebbe far questo, quest’altro, toglier questo, metter quest’altro…, tutti si riempiono la bocca… ma nessuno pensa alla lingua.
Ci pensava il grande, antico filosofo Confucio, oggi più attuale che mai, che parlava di “raddrizzamento dei nomi”, e identificava la sincerità tra parola e cosa con la Via, il Tao da cui tutto è generato (“Se non ci fosse la sincerità non ci sarebbero gli esseri”, diceva), fuoco etico e al tempo stesso politico, sociale, buon governo di se stessi nel mondo.
Simone sa bene che la lingua non è solo “strumen¬to comunicativo”. Sa anzi che ridurla a questo è la peggiore barbarie. Simone non vorrebbe più comuni¬cazione, ma più umanità: “Vorrei ci fosse più / Difficoltà / Nella comunicazione”. Spiazza perché abbatte il mito della comunicazione facile, sbandierato dalla pubblicità e dai media: “vorrei che il loro [dei bambini] italiano non fosse perfetto / lasciando nitida la cadenza / tra il dialetto di una terra / e il riverbero del qualcosa che ci ha partoriti”.
(…) Abbiamo marinato la scuola, e non abbiamo la giustificazione. Possiamo fare solo una cosa: andarci, finalmente, a scuola. Sedersi su un banco, stare zitti, e imparare. Essere tutti come allievi, tutti giovani come Simo­ne, appena entrati nel mondo.

Da “Assenti ingiustificati” di Simone Di Biasio (Edilet, 2013)
 
Identità di carta

Cognome:             scarsa fantasia, come mio padre
Nome:                   “la gente ne chiede uno nuovo!” (cit.)
Nato il:                  dì funesto, piangevo
A:                           grembo, provincia del mondo
Cittadinanza:        posso averne ancora diritto?
Residenza:            quella estiva su cui pago l’IMU?
Via:                        se vuole tolgo il disturbo!
Stato civile:           l’Italia?!?, sorrida
Professione:          sì, a volte
CONNOTATI E CONTRASSEGNI SALIENTI
Statura:                  non arrivo nemmeno a sfiorare i suoi pensieri
Capelli:                   come gli individui, pochi e fragili; però ancora li        pettino
Occhi:                     allora non mi sta guardando?!
Segni particolari:   qualche graffio dentro, ma tanto non si vede
Firma del titolare:  va bene l’impronta del dito italiano medio?
* 
Prodotto Interno Loro 
Se solo s’intuisse il valore dell’altro,
se ci si vestisse di gentilezza
se ogni giorno ci curassimo appena di un’altra persona
se il Pil si fondasse sul benessere e mai il contrario
si potrebbe bestemmiare gli economisti
impartire loro corsi di aggiornamento sulla scomparsa della moneta reale
e sull’entrata in borsa del valore
che cresce ad interesse altrissimo degli altri
allora sì, si potrebbe iniziare
da smettere di chiedere alle cose di fare più del loro dovuto
di svolgere il compito per cui sono chiamate
al telefono solo di telefonare
al battito di abbattere
al fiore di fiorire
alla testa di testare
al destino di destinare
alla paste di impastare
al verde di rinverdire
al dovuto di dovere
alla vista di avvistare
al verso di riversare
alla politica di dare
al vento di inventare
alla statua di istituire
al vaso di invasare
al male di ammalarsi per sempre.
Si dovrebbe chiedere alle cose
di cosa hanno bisogno per nominarsi meglio
e poi permettere
alla penna di impennare
al monitor di monitorare
al mare di amare
alla casa di accasare
al giornale di aggiornare
richiedere alle macchine di andare
e agli uomini di guidare.
*
La traduttrice 
Korinne
è traduttrice dal Parkinson
in rumeno e poi italiano,
tutte lingue del suo sacco.
Nonna Francesca
invece è tutto un terremoto,
fa tremare i piatti, le voci,
il borgo arroccato di Sperlonga
che le assomiglia, sempre in equilibrio
tra un vociare e il divano.
Ha avuto un ictus che poteva uccidere
ma lei non lo ha detto a nessuno
– non ha potuto –
in silenzio gli ha aperto la porta
e il postino dovrà ritornare.
Nonna Francesca
è una conchiglia a pancia in giù,
tutti la accostano all’orecchio
per sentire il fragore di una vita
e se la vedi da un altro angolo
è pure a righe e colorata
come la vestaglia da notte.
Anche lei ha un contratto a tempo,
sarà licenziata molleggiando
e farfugliando i migliori giorni di sole. 
Korinne
è la sua traduttrice dal Parkinson
in rumeno e poi italiano
e ha imparato due nuove lingue:
il dialetto e il sottovoce,
impronte foniche della nostra sorte.
*
Assenti ingiustificati
Adesso sono tutti bravi,
sono bravi tutti
con la bacchetta
a spiegare i condizionali
i periodi ipotetici di morte
le teorie, che sono regola.
Ma gli uomini non sono bravi,
non sono affatto bravi,
sono eterni ripetenti.
Bisognerebbe bocciarli tutti alle elementari,
bocciarli tutti nelle cose elementari
le medie le potranno pure passare,
per non parlare delle superiori
delle cose superiori,
nessuno dovrebbe essere laureato
neppure gli dei lo erano
(non ricordo che Zeus
avesse discusso una tesi in cosmologia)
qua l’unica pluridecorata è la natura
che impartisce lezioni
a scolari distratti
e assenti ingiustificati.
*
La ricompensa dell’armadio
Appare una perfetta ricompensa
il lavoro speso assieme:
un intero pomeriggio con mio padre
a montare l’armadio grande,
quello della stanza del sonno.
Appare una perfetta ricompensa
la gioia di puntellare assieme
i chiodi come idee,
di martellare forte a fissare i concetti;
dentro l’armadio ci appenderemo i ricordi,
vestiremo a festa
durante le lunghissime memorie familiari.
Intanto appare una perfetta ricompensa
aver imparato come far scorrere le ante:
vanno fissate salde come l’amore,
larghe abbastanza per respirare,
ma prima a cercare le viti
perché si avvita – a vita
come a cercare ognuno il proprio corridoio
penetrando i trucioli del tempo.
L’armadio è pronto,
va sollevato, messo in piedi:
ci vuole forza,
non basta un padre
né un figlio,
va alzato insieme
quasi accarezzandolo.
*
 
Meno facile
Vorrei ci fosse più difficoltà nella comunicazione,
che qualche messaggio
arrivasse di tanto in tanto in
ritardo,
vorrei poter raccontare di aver scritto una
lettera
– d’amore, di poesia, a mano –
vorrei che i bambini
non si parlassero al telefono
che avessero di meglio da colorare,
vorrei che il loro italiano non fosse perfetto
lasciando nitida la cadenza
tra il dialetto di una terra
e il riverbero del qualcosa che ci ha partoriti. 

simone di biasioSimone Di Biasio è nato a Fondi, vive a Roma. È giornalista pubblicista, laureato in “Scienze e Tecnologie della Comunicazione”  all’Università “La Sapienza”. Gestisce uffici stampa per Enti pubblici e privati in Provincia di Latina e organizza diversi eventi culturali. È direttore responsabile di “Reader’s Bench” (www.readers-bench.com) e collabora con diverse testate giornalistiche, tra cui “Leggere tutti”, mensile dedicato alla diffusione della cultura del libro diretto dal prof. Marchetti Tricamo. Fa parte della redazione online della rivista di poesia “Atelier” (Ladolfi editore). È co-fondatore e Presidente dell’Associazione culturale ufficiale intitolata a “Libero de Libero” (www.associazionedelibero.com) e membro del Direttivo dell’Associazione “Beltempo – Casa delle Arti”.  Il 1° Febbraio 2013 ha ricevuto in Campidoglio il Premio “I Tredici” del Centro di Poesia Contemporanea di Roma, che gli ha permesso di pubblicato nell’ottobre dello stesso anno “Assenti ingiustificati”, la sua prima raccolta di poesie, con la prefazione di Claudio Damiani.

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