Roberto Cescon "La direzione delle cose"

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La generazione entrante
di Luigia Sorrentino
“Non si comprende, oggi, se i segnali che si colgono dalle persone, parlando e lavorando con loro, condividendo spazi e interessi, siano davvero quelli di un cambiamento definitivo nell’orizzonte della vita presente.”
Con queste parole Gian Mario Villalta introduce il nuovo libro di poesie “La direzione delle cose” di Roberto Cescon, Giuliano Ladolfi Editore, 2014, (euro 10,00).
Villalta sembra fare riferimento a una “generazione entrante” che prova a dare il segnale di un cambiamento definitivo del presente attraverso la parola della poesia.
Ma chi sono questi nuovi poeti? Che storia hanno? Chi sono i loro padri? Che cosa determinerà nell’orizzonte poetico il cambiamento? E sarà un vero cambiamento? “Non è la perdita del passato e del futuro – aggiunge Villalta – a ossessionare il susseguirsi delle annotazioni in versi di Cescon, ma il loro essere già destinati per sempre a una dimensione di intangibilità, di esclusione di una vera possibilità di essere forza viva dell’agire (e del pensare) quotidiano.”
Ciò che Villalta afferma fa riflettere: ci saranno degli avversari terribili alla vocazione e alla sorte di un poeta come Cescon. In questo senso mi sento di affermare che il nichilismo inteso come negazione di un mondo “vero” e “vivo” nella poesia, potrebbe risultare un modo di pensare estremistico, non giustificato.
L’opera di Cescon, suddivisa in otto sezioni, è unitaria. Il libro è uno spaccato del quotidiano, nel suo continuo svolgersi. C’è una famiglia che si compone, che arreda la casa con i mobili dell’Ikea, adattandosi, quindi, a vivere dentro “moduli” precostruiti, “quasi contenti”. E quel “quasi” dice tutto di una rassegnazione che è mancanza, come quando Cescon scrive: “Il frigo è una steppa di confezioni,/ restano sempre lì, anche a dimenticarsi/ i giorni che scadono”. C’è rassegnazione, scontento, in queste parole, una quieta rinuncia, qualcosa resta fuori da questo micromondo di cose. Cescon sembra “ambiguo”, non in senso negativo; fa pensare a un io che narra, che si vede dal di fuori. Fa venire in mente “La vita in versi” di Giovanni Giudici, come se l’autore cercasse un interlocutore, un altro io. La lingua cerca la chiarezza impietosa dell’osservarsi, il linguaggio è agile e diretto, e allontana la poesia dall’atto della poesia. Una sfida o un cambiamento di rotta? Perché la sua non è poesia della rivelazione, la parola, a tratti cruda, semplifica e amplifica un disagio generazionale.
I versi sembrano confermare l’esclusione, e affermare, pietosamente, che questa è una poesia che vuole esistere nel futuro, e per esistere deve rinascere da una frattura con la generazione precedente: due solitudini diverse si incontrano, per stare più insieme sul portone di casa.
Roberto Cescon, figlio di una generazione di poeti nati alla fine degli anni Settanta, portatore di un “nuovo” generazionale si prende il suo tempo, privo di mistero, con una poesia anestetizzata dal vivere quotidiano.
la-direzione-delle-cose-2copertina-e1388831878762Sullo sfondo di quest’opera, sembra prevalere su tutto, proprio il disagio generazionale, di esclusione dal proprio tempo, si avverte la necessità di entrare con la parola della poesia nel “proprio” tempo, di farsene carico, totalmente.
L’apparente tranquillità del dire, mostra la contraddizione del presente: nell’anonimia che tale condizione richiede, sparisce la storia individuale, la scrittura di Cescon entra nella storia di tutti, raccontando una vita qualsiasi, la sua, e una qualsiasi vita.
Leggendo Cescon la domanda seria che dobbiamo porci è: quale direzione sta prendendo la poesia nelle nuove generazioni? Perché si avverte la fatica di accollarsi un rinnovamento della poesia, di dare la giusta direzione a questa “cosa” che chiamiamo poesia? Perché forse una sola direzione la poesia non ce l’ha e non può avercela.
La poesia che ha per titolo “L’avanguardia è finita” ci fa intendere, inequivocabilmente, qual è la direzione che prende Cescon: “non è tempo di distruggere o fuggire,/dobbiamo starci accanto,/ capire che la strada è anche ciò che abbiamo.” La poesia delle cose si ripiega su se stessa, si affida al destino della parola, consapevole della solitudine: “per stare più insieme sul portone di casa”.
Roberto Cescon dichiarando la sua distanza dall’avanguardia storica introdotta dal gruppo ’63, ci induce a una e più domande: ma dove sono gli altri poeti, nati tra gli anni Quaranta e Cinquanta che pure si sono discostati da una visione politica della poesia? Questi poeti, ce li hanno avuti dei ‘padri’? E quelli nati negli anni Sessanta? Sono figli di un nuovo modo di fare poesia, o semplicemente orfani?
Dobbiamo porci queste domande e il libro di Cescon si presta a questa riflessione.
Da “La direzione delle cose” di Roberto Cescon, Giuliano Ladolfi Editore, 2014, (euro 10,00).
Il servomuto
Raccolgo il giorno nei gesti che sono
levare la camicia, piegare i pantaloni,
unico proposito di ordine.
Sui vestiti c’è il mio odore, fumo e pelle.
Rivedo le parole già dette
e quelle mancate.
Ora il servomuto ha la mia forma,
la sensazione di perdersi nel tempo
e non averne mai abbastanza.
Qualcosa resta sempre addosso
le domande per esempio ogni sera
che stisciano quando spengo la luce.
Tutta la vita a spogliarmi
mai veramente del tutto.

2 pensieri su “Roberto Cescon "La direzione delle cose"

  1. Ritratto di un vivere quotidiano che si esaurisce in un rosario di gesti ripetuti, quale unico frutto da raccogliere la sera, al momento del fare i conti con se stesso. E il risultato è impietoso: un servomuto, passivo e smarrito, che consuma la vita in un ripetere automatico di gesti banali. Una vita banale nella solitudine di gesti senza storia-emozione, come sono appunto i gesti imposti (e subiti) dalla routine quotidiana.

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