Opere Inedite, Massimo Caccia

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

Massimo Caccia è nato a Novara il 20 marzo del 1965. Terra di pianura. Terra dagli orizzonti lontani. I suoi studi sono stati vari e complicati, “causa la mia innata inconcludenza- mi scrive – anche se, dopo sforzi, abbandoni e ripensamenti, sono giunto al termine dei miei percorsi: filosofia (prima) e teologia (dopo).”

“Sarà la preoccupazione di scrivere brutti versi,/ lo scoglio all’immaginazione poetica, volubile/ ingombro che trasale lo smacco di creare liriche/ patite e zoppe dove si narrano battute d’anime/ smarrite. Spesso arretra la metrica indagata/ sugli usurati banchi di scuola e mai smaliziata/ come palpito di vita affrancando turbamenti/ che vociano i disaccordi dell’ansia. La retorica/eccede sporcando il fervore paziente sull’armonia.”//

Poesie Inedite di Massimo Caccia

Fine marzo, un sole che scalda e inganna.
Ho da poco smesso di far lezione: giovani
pigri, filosofiche tirate, appelli lontani,

e che bello ora, qui, musica del silenzio
sotto e qualche timida rima senza screzio
s’insinua tra le grinze arrossate del vivere

con giusta rabbia, poiché can che abbaia…
Studio il mondo attorno, un’ombra di noia
vela stanchezza morale e che importa dire

per adesso, se non trovo peana d’impegno civile:
affonda lo stivale, lento inesorabile vile…

Non sono mai vissuto con senso di patria,
sangue e suolo, lingue dei padri io che crocido
tra domestiche mura una koinè di pianura,

una broda di novarese ed altro volgare eloquio.
Mi sento umano spurio e di confine estremo,
il diletto del precario stare, in limine conviene,

poi l’attesa… Fuori è bello, luce del balcone
dove i butti del glicine avvinto alla ringhiera
ottengono il mio spirito indagatore.

Ho figli da crescere! Rinnova la nenia del dovere
dopo l’audace singulto della poetica franchigia.

 

***

Ho a fatica terminato di scrivere,
non so ancora il modo, ma è capitato:
una parola tira l’altra, ricordare,
voglia di raccontare, e poi sospirare
nel tempo ormai giudicato passato.

Un bicchiere di vino, alla fine,
fresco di frigo, aperitivo,
prima di venirti a stringere.
Una corsa, sono in ritardo,
ho rotto il silenzio narrativo,
sono andato al largo per gettare
le reti della beata vocazione
perdio e per come: arrivo!

***

Discanto

.
Un muto discanto: parole che non trovo
su corde esauste per tensione spezzata.
La debolezza del suono fatica
ad evocare dal sogno versi che incespicano
di rozza fattura: interrompo l’ardimento.
Fuori, nel verde arroventato sbava
dal silenzio l’uggia dell’eternità.
Un bordone di passioni contrappunta
gli intoppi di una giornata
così, nella diversità del vivere
accolgo l’imprevisto come altro da me,
sigillato nel tuo sguardo sereno
d’attenzione nel fare la magia d’esserci.

***

E mentre adesso, quando riempio pagine
col quotidiano nonsenso che scrolla
interiore malanno, fuori il sole
scioglie caligini che grigie addensano
in grumi la disperazione in cielo.

Sgranano ormai questi giorni d’agosto
che mi ritrovo con le mani sozze
di quanto ogni tramonto ha trascinato
nel remoto abbandono dell’eterna notte
dove ogni folle speranza scompone.

Sembra che manchi luce nei tessuti
che fanno carne eppure finché muore
quella pesante parte di me, l’ansia
barbuglia nello sforzo il sortilegio
antico: con prudenza estrema,

ti sussurro impossibili trame.

***

Ecco, silenzio di morte, notte sospesa
di presagi, ho smarrito la bava del sonno
inseguendo il dire atro in metrica offesa:
improvviso, da uno squarcio, paure che vanno,
un mare amoroso di sguincio nell’intrico
di selva nemica. Lo spirito scioglie passione
volando alle risacche lente, e così dico
smarrendo ogni diruta presunzione,
quanto è densa la dolcezza dell’attesa.

***

Febbre m’ha colto. L’oscuro malanno
di graffiare con segni il nero sul bianco,
per questo vado errando nel vuoto
da quando il tempo s’è bevuto
l’impossibile. Cerco una scusa, per me,
in quanto scrivo, anche se di scuse
non riscontro ragione.

Quanto è stramba la vita nell’assurdo
ritorno ossessivo di situazioni
complicate ed illogiche. Per non cedere
all’inedia incipiente, districo
garbugliate matasse d’esistenza.
Assorto non m’accorgo che tu sei qui
e della luce intensa che m’acceca.

—-
Massimo Caccia ha all’attivo una pubblicazione: Sensi del tempo, Book Editore 1991.
E’ in attesa di pubblicare una raccolta di dieci poesie con Lieto Colle.
Nel frattempo ha scritto come critico, insegna (in una scuola secondaria di primo grado), blogga e sogna…
E’ sposato e ha messo al mondo due figli per i quali – mi scrive – “devo sempre ricordarmi di viaggiare con i piedi per terra”.

4 pensieri su “Opere Inedite, Massimo Caccia

  1. Certo le parole infatuano ed i critici spiegano. Io so solo leggere ed ai poeti dire “Scrivete! Scrivete!” Com’e’ bello leggere i nostri pensieri e poi rileggerci come se fosse un altro ad averli scritti.

    Adriana Feoli
    “Sulla terra tocco il cielo”

  2. Una scrittura spontanea, intrisa del quotidiano disagio esistenziale; vi è denunciata la difficoltà di abbandonarsi alla febbre dello scrivere ostacolata dalla consapevole esigenza dell’impegno morale d’essere marito, padre, insegnante, e di dover produrre di che far vivere la famiglia e se stesso. La poesia è l'”oscuro malanno” ma anche la “poetica franchigia”; è, comunque, sempre, scrivere una fatica…Una poesia fatta di un contenuto che molti sperimentiamo, anche se non lo sappiamo esprimere con un linguaggio chiaro ed espressivo come l’Autore.

  3. Concordo pienamente con Adriana, e in più aggiungo: com’è bello scrivere poesie “dal nulla”, dai minimi gesti e fatti del quotidiano, con parole semplici e anch’esse minime…

  4. Poeta sincero Massimo Caccia, si vorrebbe quasi sentirlo urlare, invece la sua poesia preferisce i toni sommessi, ma certo lascia solchi in chi legge, tanto a fondo scava in modo inversamente proporzionale alla delicatezza del gesto, il gesto di una confidenza.
    Complimenti!

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