Opere Inedite, Fabrizio Bajec

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino


“Ho sempre considerato la poesia come una trivella che perfora la terra per estrarre i succhi essenziali per l’uomo. Se la poesia non serve a niente, è tuttavia necessaria. Prossima alla preghiera, una preghiera laica, essa non deve mai cedere al volo astratto, all’illusione di una rifondazione del reale. Deve, al contrario, dirci chi siamo oggi e cosa facciamo.”

Fabrizio Bajec
Inediti (da La cura)

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La causa è questa
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Riparati gli ascensori,
niente vetro nei rifiuti,
anche il freddo è sparito,
le gonne a righe aderiscono.
Ci sarà cibo per tutti
se hai sorriso, la rue Mouffetard
è quasi vuota e vola il cuore,
i libri aperti si capiscono,
anche il catrame è pulito.
La causa è tua, vorrei dire,
ma sono io che vedo cose.
A quando il nostro povero
amore, a quando i sussurri
all’ombra di una stanza utile?
È solo questa la mia vita,
con gli occhi umidi avanzo
per tutto aprire e non tacere,
sfiniti i reni, la notte cade.
***

Istruzioni
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Dimmi chi sono e ripeti
la tua ultima mezza descrizione,
esercita la parola a trovare il mondo
quando t’esce di bocca.
Infinito è il pianto che arretra se parto,
io parto e tu fai una buca
per sfuggire a chi insieme ci ha visti.

C’è un punto di gioia dove è bene trovarmi.
Non ho mai sognato di istruire un felino.
Non hai ancora provato i tuoi artigli con me.
Chi sono adesso?
Che sembianze ho preso
quand’era già tardi per respingermi?
***
Sull’acqua
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Ti ho lasciata dietro le Alpi,
oltre gli abeti e le ruvide case in silicio.
Il treno riconduce una vita di spigoli
al suo primo versante, e la morte che ti chiama
con la giovialità dei camerieri di Bologna.
Sarà sempre acqua che verrai a portarmi.
Versala in questo fiume uscitomi dal fianco.
Tu sei la mia corrente.
***

Sul nominare
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Ogni singolo sintomo puoi spillarlo
in un quadro perché dia la risposta
sulle origini. Prova un’ipotesi, poi buttala.
Il sintomo si acuisce e t’obbliga a dargli
diversi nomi. Quale sarà il più bello
del dolore?
Dalla cima della testa cadrà l’angoscia
questa notte. Al centro si apre ancora
uno squarcio che chiede solo di spiegarsi.
Fatti unita.
Sono luci che si spengono, impulsi, perforazioni.
Non più accuse, ma il descrivere paziente
e religioso per la via del corpo.
***

La quarta devozione
.

Vorresti che assecondassi la tua tenera
tortura delle possibilità, che giuri:
« sei vinta, niente di così buono accadrà ».
E mentre mi vesto osservo la spada morta
al centro della vita, sotto il ventre, e ricordo:
ero destinato a questa lotta per il due.
La mia bella ama il nero, io i fiori sulle vesti.
Ho dunque desiderio di unire la notte
ai fiori succulenti e riprendere servizio.
Ma ho un’altra spada in gola che m’attraversa
e a volte scompare.
Se non fossimo armati
dei nostri versi, dimmi, cosa rimarrebbe
della speranza dopo esserci trovati?

 

***
Intorno c’è il mondo
.

La pelle non si è ancora essiccata.
Prima il seme usciva dagli occhi
e il cuore cavalca verso il suo muro.
Voler sempre scavare quel buco.
Conosco il perimetro, il cammino
avanti e indietro, e intorno c’è il mondo.
Ma possiedo un unico strumento
e su quello m’alleno a distruggere
il tempo. La settima devozione
è cruda come un atto manuale.

Fabrizio Bajec è nato a Tunisi nel 1975. Vive a Parigi dove insegna francese come lingua straniera.
Per la poesia ha pubblicato due plaquettes : ‘Corpo nemico’ (in “Ottavo quaderno italiano di poesia contemporanea”, Marcos y Marcos, 2004) e ‘Gli ultimi’ (Transeuropa, 2009). Il suo primo vero libro, ‘Entrare nel vuoto’, è uscito per le edizioni Con-fine nel 2011.
Une versione assai diversa, in francese, (‘Entrer dans le vide’, Le Fram) è uscita nel gennaio 2012.
E’ anche autore di teatro, con all’attivo vari testi rappresentati : ‘Aiuto’ (2005), ‘Ouverture’ (2007), ‘Rosario’ (2007), ‘Rage’ (in francese, al Teatro Nazionale di Bruxelles, 2009).
Come traduttore ha curato l’antologia di versi di William Cliff, ‘Il pane quotidiano’ (Edizioni Marco Valerio, 2007) e altri autori francofoni e anglofoni in rivista.

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