In memoria di te, Marianne Moore

In memoria di te: Marianne Moore
a cura di Luigia Sorrentino

Marianne Moore (1887-1972) devota all’artigianato poetico scrisse: né mai potremo avere poesia/ se i poeti tra noi non diventano/ “letteralisti dell’immaginazione” – superiori/ all’insolenza e alla volgarità, disposti a sottoporre/ a ispezione “giardini immaginari con rospi veri dentro”.

Marianne Moore disse una volta a un intervistatore: «Mi sembra che Wallace Stevens metta il dito su quella cosa che è la poesia quando parla di “una violenza interna che ci protegge da una violenza esterna”». A quella «violenza interna» Marianne Moore dedicò la vita, distillandola in un’opera segnata ovunque da una vocazione esigente per la forma perfetta.

 
Esemplare per la fedeltà e il coraggio con cui difendeva il suo mondo fisico e metafisico, per la coerenza con cui credeva nella poesia senza temere di essere considerata inaccessibile e senza mai abbassare i suoi aculei, incrollabile «come una fortezza», la Moore si impose all’ammirazione di poeti così diversi come Pound, Eliot, W.C. Williams e W.H. Auden.

Oggi la sua opera poetica è universalmente considerata una pietra preziosa, inscalfita e durissima, che continua a rifulgere di una luce lieve e limpida, inconfondibile. La presentiamo qui nella sua interezza, in una traduzione di eminente qualità, una delle più felici che la lingua italiana possieda di un grande poeta moderno.

Marianne Moore ‘Le poesie’ a cura di Gilberto Forti, Lina Angioletti, Biblioteca Adelphi, 1991

La poesia

Neanche a me piace: vi sono cose più importanti di tutte
queste inezie.
A leggerla, però, con totale disprezzo, vi si scopre,
dopo tutto, uno spazio per l’autentico.
Mani capaci di afferrere, occhi
che sanno dilatarsi, capelli che possono drizzarsi
all’occorrenza, queste cose sono importanti

non già perché si possa sovrapporvi un’interpretazione
altisonante, ma perché
sono utili. Quando diventano così elaborate da divenire
inintellegibili,
di tutti noi si può dire la stessa cosa,
che noi non ammiriamo
quello che non potremo mai comprendere: la nottola
appesa a testa in giù o in cerca di qualche cosa da
mangiare,elefanti al lavoro, un cavallo selvaggio che si rotola, un lupo
instancabile in agguato
sotto un albero, il critico impassibile che arriccia la pelle
come un cavallo che sente una pulce, il tifoso di base-
ball, L’esperto di statistica –
e non è giusto
fare preclusioni contro “documenti d’affari

e libri di scuola”*; sono tutti fenomeni importanti. Ma c’è da
fare
una distizione: se vengono gonfiati da mezzi poeti,
il risultato non è poesia;
né mai potremo avere poesia
e i poeti tra noi non diventano
“letteralisti dell’immaginazione”** – superiori
all’insolenza e alla volgarità, disposti a sottoporre

a ispezione “giardini immaginari con rospi veri dentro”.
Frattanto, se pretendi da una parte
la materia grezza della poesia
allo stato più grezzo che ci sia,
dall’altra parte ciò che è genuino,
allora ti interessi alla poesia.

(1921)

*Dal diario di Tolstoj: “Dove sia il confine tra prosa e poesia, non riuscirò mai a apirlo: La questione è posta nei manuali di stilistica, ma la risposta supera le mie capacità. La poesia è verso; la prosa non è verso. Ovvero, tutto è poesia, ad eccezione dei documenti d’affari e dei libri di scuola”.

** “Letteralità dell’immaginazione”. W. B. Yeats, Ideas of Good and Evil,, A. H. Bullen, 1903, p. 182: “La limitazione delle sue vedute derivava dalla stessa intensità della sua visione: egli era un realista dell’immaginazione, un realista troppo letterale, come altri lo sono della natura; e poiché credeva che, sotto lo stimolo dell’ispirazione, le figure viste dall’occhio della mente fossero ‘esistenze eterne’, simboli di essenze divine, odiava ogni grazia dello stile che potesse offuscare i loro lineamenti”.

 

Poetry

I, too, dislike it: there are things that are important beyond
all this fiddle.
Reading it, however, with a perfect contempt for it, one
discovers in
it after all, a place for the genuine.
Hands that can grasp, eyes
that can dilate, hair that can rise
if it must, these things are important not because a

high-sounding interpretation can be put upon them but because
they are
useful. When they become so derivative as to become
unintelligible,
the same thing may be said for all of us, that we
do not admire what
we cannot understand: the bat
holding on upside down or in quest of something to

eat, elephants pushing, a wild horse taking a roll, a tireless
wolf under
a tree, the immovable critic twitching his skin like a horse
that feels a flea, the base-
ball fan, the statistician–
nor is it valid
to discriminate against “business documents and

school-books”; all these phenomena are important. One must make
a distinction
however: when dragged into prominence by half poets, the
result is not poetry,
nor till the poets among us can be
“literalists of
the imagination”–above
insolence and triviality and can present

for inspection, “imaginary gardens with real toads in them,”
shall we have
it. In the meantime, if you demand on the one hand,
the raw material of poetry in
all its rawness and
that which is on the other hand
genuine, you are interested in poetry.

Marianne Moore

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