Opere Inedite, Daniela Attanasio

Opere Inedite,
a cura di Luigia Sorrentino

Oggi a Opere Inedite, Daniela Attanasio (ritratta da Dino Ignani). Di Daniela ricordo innanzitutto il modo di guardare. Daniela fissa gli occhi del suo interlocutore e parla in modo chiaro, diretto, senza alcun artificio. Il tono della sua voce, quasi monocorde, riverbera in questi suoi nuovi ‘appunti’ sulla poesia.

appunti

“la poesia è il tentativo di mettersi in contatto con la pienezza della realtà. un modo euforico di stare al mondo, perché la vita entra come una corrente d’aria che riossigena. ma anche distruttivo, perché la realtà, una volta rintracciata, spazza via l’ovvietà di ogni certezza.
fare luce, fare emergere la realtà, coglierla sul nascere. per fare questo mi servo del paesaggio che conserva il tempo nella sua durata e si rinnova modificando forme e confini. la mia poesia non è un oggetto linguistico ma un atto di vita. il linguaggio è lo strumento che la fa muovere: non sottrae, non riduce ma amplifica, aggiunge.

l’isola del mio ultimo libro è un’unità di misura, il tempo un grande contenitore”.

di Daniela Attanasio

———

Te la ricordi quella ragazza bruna?

Te la ricordi quella ragazza bruna?
La tua vera passione si avvitava alle sue
gambe come il viticcio ai pali del vigneto.
Lì era il mare, sulla sua pelle bruna
sul ventre di conchiglia abbacinante nella luce lunare
la madreperla degli occhi che ti tagliava in due –
la parte molle del cuore e il duro della faccia. Cos’è che ti fa ricordare
quella ragazza lasciata come un petalo scuro fra le pagine del libro –
l’affondo nella vita più intensa della vita, la vocazione di ricordare?
*
Quando ti ho visto alla stazione sembravi più vecchio o più commosso –
mi hai fatto pensare all’esperienza. L’occhio incavato nell’orbita asciutta,
una parentesi dura ai lati della bocca… non me la ricordavo così
nera e profonda. Sei andato avanti fino alla libreria della stazione
all’angolo ti sei fermato e hai guardato indietro. Alle tue spalle
c’era la solita folla di fuggiaschi, lo stesso itinerario di binari
come trent’anni fa quando l’odore di sigaretta circolava benigno
nei polmoni -ma anche al cinema o al bar. Lei era lì con la sua
faccia giovane, gli occhi screziati di sole, la pelle da indiana.
Era appoggiata alla colonna di una pensilina e ti guardava ridendo.
Se non fosse stato per quella luce agostana che ti bagnava gli occhi di
sudore, avresti pensato che lei era davvero lì, a dirti come trent’anni fa
-hai visto sono venuta amore ma riparto domani
*

Avevi bisogno di consumare un sentimento qualsiasi -umano, naturale
un salvavita, il farmaco capace di sciogliere quel groviglio di muscoli e
arterie che si era così bene cementato nel tuo corpo.

Quanto tempo è passato dall’ultima volta? C’erano due cuscini
per terra e sul tavolo un incontaminato mazzo di carte. Faceva freddo
e il plaid non bastava a coprire spalle e piedi. -Non c’è mai una sola ragione
per una dichiarazione di guerra, le hai detto, ma era solo una citazione.
Era per dire della varietà dei fiori, delle tante gradazioni di blu nel ghiaccio
o in una fetta di cielo, del raggio di caduta del sole sulla terra, per dire delle
razze canine, delle forme diverse delle dita e degli anelli.

Sparsi sul pavimento i suoi vestiti ondeggiavano all’ombra
di una lampada spenta
e tu sveglio, rimanevi impigliato ai suoi capelli.
Una versione allungata nello specchio convesso di Van Eyck ma con
una nuova angolazione. La stessa rigida quiete delle facce annunciava
un inizio o la fine, come se la giornata non fosse di poche ore ma
un caos d’amore e di guerra.
La sua partenza programmata fu un lampo di vuoto nel cervello.

 

*
In ogni tuo sogno c’era lei e se non era lei era una donna che le somigliava
con lo stesso taglio d’occhi, lo stesso anello di quarzo all’anulare
e la sua voce alcolica che ti cacciava nel fondo del sonno -non era mai
piacevole, non era mai erotico, era uno sprofondare dentro te stesso. Questo nei primi
tempi -che a dire il vero non sono mai passati, come fosse impossibile guardare
altrove per riprendersi la giovinezza. Pensavi fosse meglio restare al buio
con una benda di garza sugli occhi, fare finta di essere cieco per non farti male…
Quanto tempo è durata questa tua incoscienza? E’ stato prima di lei -un tratto del
carattere- o un livido marchiato sulla pelle dalla sua assenza?

 

*
Sei sempre stato favorevole all’amore, anche alla malattia dell’
amore che mette ferro nelle vene e distilla da una tomba
di parole -goccia dopo goccia- le cose che sono state dette e dimenticate,
ricuce i nervi alla stoffa del passato, li riannoda alla gioia, quando per la prima
volta hai sentito il tempo scorrere insieme ai rumori della strada e alla sua voce
fiorita per inerzia dalla bocca come fosse la parte sbagliata del viso, un’infrazione
alle regole o un errore del caso.
Hai ripreso contatto con la salute caparbia dei tuoi sensi e furiosamente
hai dato il nome di Laura a una fantasia.
*

La luce che filtrava nella stanza aveva lo spessore di un rasoio affilato.
Tu registravi le sue parole con le unghie della
mano destra infilate nel braccio sinistro, sull’attenti come uno
studente liceale in attesa della incomprensibile domanda che non
avrà risposta. Qualcuno ti aveva spiegato che le ‘sedie volanti’
sono le portantine, ma non era parte di quella storia, non c’era
motivo di ricordarlo, era solo una distrazione.
Poi la distrazione fu il gatto che voleva uscire dalla stanza, la sigaretta
mezza consumata nel portacenere di opaline, il suono meccanico delle
campane di Santa Maria Maggiore fino allo squillo del telefono che
annunciava l’arrivo del taxi.
*
Ti sei mai chiesto perché quel modo attonito di restare in piedi
le ascelle ancorate come ganci alla giacca nel sudore freddo della pelle
mentre ancora un po’ di luce indicava l’ora pomeridiana da passare
in silenzio, da solo, senza programmi serali, lei appena uscita dalla porta?
-Me ne vado, è stata l’ultima frase apparentemente senza appigli. Avresti potuto
dire -aspetta…, un rigurgito di coraggio che ti è sfuggito di mano e sei rimasto in piedi.
Riuscivi a sentire la sua voce che al tassista diceva -stazione Termini per favore?
Riuscivi a spiare la sua faccia limata dalla rabbia e dalla pena? o magari
chiudendo gli occhi, la vedevi scrollare la testa per guarire dall’errore della noia?

Fuori dalla finestra gli alberi. Hai pensato al suicidio, in volo contro gli alberi.
Ti sei mai chiesto come è andata veramente?

——-
Daniela Attanasio, romana, ha pubblicato i libri di poesia: La cura delle cose (1993), Sotto il sole (1998, Premio Dario Bellezza e Unione Scrittori Italiani), Del mio e dell’altrui amore (2005, Premio Camaiore) con l’editrice Empirla e Il ritorno all’isola (2010) con Nino Aragno Editore. Sue poesie sono presenti nell’Almanacco dello Specchio Mondadori 2009. Dal 2007 cura la rassegna di poesia e teatro Teramopoesia. Collabora con quotidiani e riviste letterarie.

2 pensieri su “Opere Inedite, Daniela Attanasio

  1. Pingback: Venezia 68 | bluhost.info

  2. Auguri Buon Anno a te
    e a Maria Rosa e naturalmente
    a Mia e ai tuoi due gattini favolosi.

    Ciao a presto Patrizia

    nb: un saluto da mio padre Vittorio e
    anche da Luna
    ciao

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