Francesco Marotta, “Esilio di voce”

Riletture
a cura di Luigia Sorrentino

Francesco Marotta, Esilio di voce Edizioni Smasher 2011

Dalla prefazione di Marco Ercolani

[…] In Esilio di voce il poeta lancia una sfida inattuale, da anacoreta: usare una parola ermetica a palpebre sbarrate/ nell’esilio di voce, rigorosa e tradizionale, per svellere i codici stessi della tradizione. Sa che un poeta, se si allontana troppo dalla natura della lingua per inseguire giochi verbali e acrobazie stilistiche, rischia di diventare un pittore “astratto” che non graffia più la sostanza delle cose. Marotta, pur non essendo un poeta “figurativo”, usa le parole dentro il loro senso e il loro suono abituali per farle vibrare di e per significati ulteriori, decostruendo la sintassi, inventando un’architettura neutra composta spesso di anacoluti e sospensioni tonali, trasformando la pagina più in una superficie pittorica e musicale che in un luogo soltanto verbale. E come potrebbe un poeta violento e verbale come lui, restare all’interno delle logiche linguistiche se non sommuovendole come all’interno di un maremoto?
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