Giuseppe Conte, da “Poesie 1983-2015”

AUTUNNO

L’Amante
Devoto deve essere l’amante
all’autunno. Non ai venti
torbidi, che fiaccano e fanno bianchi
di meli e di susini i cieli
né alla bonaccia nuda, distesa,
dalle grandi braccia di quiete.
È devoto all’autunno perché rimane
nei raggi obliqui e lunghi di ottobre
negli orti che si spogliano
lenti tra i muri delle case
in ombra, nell’odore
nuovo di pioggia tra i pini e gli allori
qualcosa della fervida spinta cieca,
qualcosa della placata vampa
ma come assottigliato, come fatto
finalmente nitido, in una stanca
matura ricchezza, acini dorati
dimenticati sulla vite, abbaglianti
soltanto l’attimo che incontrano
il sole.
Da ragazzo, ogni sera, mi strangolava
l’ossessa primavera di carezze
cercate.
Poi, inondante, venne l’estate
con lei. Lei incolpevole, mite e
così tenue, così ardente, come
la corolla purpurea del papavero
di california, come un canneto arso d’agosto.
Ora, da molto, molto non conosco
più quelle due stagioni.
Io sono l’inestinguibile.
In me l’amore è passato
per rapide rovinose e per lente
acque alte: ora va sicuro, veloce
come su una piroga verso isole
di tramonto. Ora è devoto
agli dei, devoto a Zeus
che fu per Leda un fulmine
bianco-piumato, un capo
teso sopra un collo troppo
lungo, insensato in quella
vertigine polverulenta. Devoto
ad Atena, ad Artemide che non
è facile scorgere sulle rive
di un fiume o tra le superstiti
cerve di un bosco, e che nessuno
può possedere. Amore in me
è solenne, spietato come una danza
guerriera, o è appena
futile, delicato,
come geranei in una fioriera.
Io e te non esistiamo: non
chiedermelo: e forse
staremo ancora insieme, correremo
come daini alla fonte
risaliremo il torrente
come trote
sapremo nell’energia che ci muove,
nel respiro delle stelle nuove
la nostra essenza.
Amore è questo
riconoscersi in tutto, nella prima
rosa del mondo, nell’ultimo
ranuncolo, nella bassa marea, nel profondo

oceano.

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