Cristiano Poletti, poesie

Cristiano Poletti, foto di proprietà dell’autore

Una persona

 

Dalla luce, dal tempo
sei qui
tornato
nella fiamma
di chi ti ama e ti amò. Ti amò
la polvere dove sono,
dove s’inseguono e rivivono
la quercia e il vento di un pensiero
stretti nel rettangolo del giardino.
Torni e hai con te il mattino,
il nuovo inizio di una casa, questa
sullo sfondo, e dentro
sei nella pendola ferma che tiene,
ha trattenuto in silenzio il silenzio
delle mani, l’umiltà delle vene.
Tu canti adesso
una canzone di puro mattino.
Il catalogo delle finestre sulla notte
tanto aperto si è chiuso.
Istante della voce, voce del sempre, lettere.
Mandate lettere al loro indirizzo.
Lì chiara l’anima tornò.

 

 

La consegna

 

Nelle tue mani consegno il mio spirito,
endecasillabo
di chi ha sentito
un giorno venirgli al naso un odore
d’ansia, era amore.

Chiuso in un inverno fu il giorno che
la stanza si strinse, pungevano
la mente e il polso: a chi
consegnare la morte?

È in luce che ci giudica la terra,
adesso è chiaro. La consegna è un’altra,
altro il tema: non negare il tuo
corpo sul corpo dell’altro. Il tuo stesso
spirito te lo chiede.
È così che due uomini si tengono.

La consegna.
Il Professore aspetta.

 

 

Altitudine

Le avevo detto non andare giù. Nove, diciotto gradini, non andare. Dove sei? Alzo la voce, dove sei? Vieni su. E non torna, non torna. Pensare adesso: non dovevo. Ha sempre fatto tutto, lei. E ora è il tempo delle confessioni, dire non ce l’ha fatta, non è riuscita.
La caffettiera intanto qui va sempre, e il male prosegue. Una macchia di tutti i sangui è sul balcone. Siedo su questa poltrona di velluto dove ho immaginato una grammatica, uno spartito, il posto dove ho immaginato di finire.
È così che ti penso, ancora dentro la casa. Fuori è quasi Natale, c’è la nebbia che stanca gli uomini. In un’ostensione aspetto che venga fortissimo il vento. Anche un giorno soltanto. Chi ha gridato nel vento sa. Faccio un respiro, grande.

 

 

Lettera a Helmut

 

Berlino, 17.08.1962

 

Caro Helmut,
non dolertene.
A questo corridoio
abbiamo dato corpo. Non dolertene
se il corridoio è stato stretto tanto
per te da chiamarsi vita, e per me
morte. Non piangermi.
Già occhi di cemento hanno risposto.
Dai un bacio a Lotte.
Correre dentro
la sfortuna di un venerdì 17
è stato un salto del sangue.
Ala, finestra, ghiaia.
Una storia, una striscia
di storia. Respiravi insieme a me.

Ti abbraccio,

Peter

 

 

Storia

È stato lui, il ragazzo che è entrato. La vita adesso affonda nel cuscino. È entrato nel giardino, una volta. È stato amore anche così. La terra, il suo tenerci in silenzio, quella sacca di male che esiste. Uno poi cerca la cura, non si spiega lo sconcerto. Che poi è stata la brina, il ghiaccio mai più rivisto, il sorridente andato. Non distante c’è il canale della Muzza e qualcuno nel suo andar via.
Tutto qui l’arco delle esistenze temporali: un dormire nella bocca, perché erano gesti.
Vai nei terreni, corpo, voce. Ricordati di noi, esposti alla storia. Cosa vorranno dire ora una matita, ora una mano? In questo mondo che ruota e senza stelle la testa è piena di pioggia. Lì, dove finisce il canale, guarda. Dalle nostre labbra pende il nome della Storia.

Da Un altro che ti scrive, libro inedito

 


Nepal, una foto di passaggio

Lingua di terra inarcata
verso l’altare nella sua luce grande
Himalaya svettante su
una città di polvere, fumo.
Da qui sopra
in foto le cime sono a fuoco,
vaste agitate nel cielo. Non altro
lì si tende, è il filo tra nessuno e niente
in libero cielo.
Sotto ecco gli uomini invece
strozzarsi voce su voce con tutto
l’affanno di tutta la polvere alzata.
Vanno in odori e sputi, e i loro spiriti
evitano le cose che non passano.
Paiono da lontano dirci
che in una cronaca perdono il nome.
Sì, lo dicono
a noi contemplativi
ma a loro così somiglianti
qui in alto nei nostri dissesti.
Vorrei dirvi
oltre il fardello che viviamo
oltre il massacro che vedete
che sempre
da un loro contorno morto ritornano
come restituite le parole.
E ci toccano
insieme al miracolo della voce
i segni immaginati dentro i testi
e i corpi delle montagne.

 

 

Passando a Melville, una parafrasi

Dardeggiante lontano il sole e il vento
assente, per la nostra rotta
cammina sulla vita e sulla morte
un velo immenso di nebbia leggera.
Ripeterà qualcuno, scriverà
di nuovo cosa fu il mio viaggio, cosa
questa caccia senza cattura, fu
un argenteo silenzio, non una solitudine.

 

Per una locanda

I balenieri, la loro locanda
prima dei mari: c’è chi si domanda
del cupo di quel quadro nel vestibolo
e chi si raccomanda
a Dio. Io, Samuele,
emergo dal profondo della storia
per profezia e di un popolo o una vita
vi dirò.
È per destino che passo di qui:
passo portando il peso di una voce,
amando moltitudini sapendo
che quella voce non è mia.

 

 

Dalle Sefirot

Esaminiamo lo spirituale, il permanente. Per avere indietro il gelo e il resto del perduto siamo pronti anche a questo. Al nostro valore nel frattempo si sono mescolate le nostre colpe, la peggiore è non esserci capiti. Si avanza soli in questo modo mentre la fede è un coro: se te ne scordi è l’infelicità, te lo dicono voci misteriose.

Vedi i figli negli anni, interminabili tempo e materia. Mantieni il sorriso per ogni occasione, tutte le volte. In un libro capisci che si è pronti a rimanere con poco e la casa è un girarci intorno e tu sei lì. Se cammini uscendo è per tornare. L’hai amata tanto e anche adesso che torni nell’odio la casa è aperta: c’è una tazzina sbeccata, piante senz’acqua. Come si chiama? Poletti. Guardi, le assicuro che non abita qui. Se vuole tocchi pure la solitudine del letto e vedrà che è vero, sembra un muro disabitato. C’è altro: la poltrona di là aspetta un tesoro, il fantasma di una vita. Poi il ritratto del padre, il suo invito. Come sempre vorresti capire e tenere tutto insieme ma il pensiero non può. Dicono: salvarsi. Tu per salvarti abbracci una linea insanguinata: è nel passaggio tra terra e cielo, sei vicino ma non vuoi, tremi di gioia e lasci. Ogni volta arretri, ogni giorno di più. Per distrarti guardi allora stracci di luce, rifrazioni, come se significassero. Con terrore, sei nudo. Vivi un po’ nel testo di una canzone e se ti vesti è per uccidere. Aspetta cinque minuti, aspetta una goccia il mattino. Cerchi di nuovo con gli occhi, all’ultimo, un drago tra le nuvole e cerchi il testamento. Salvarti, non ti vuoi e vuoi riuscirci.

 

Conta la storia e tu conti i giorni, vedi l’albero, il legno poi acqua e siccità, il verde e il nero. Si apre un’altra via, un sentiero.

 

Nella mistica ebraica appaiono luci increate, le Sefirot, emanazioni di una luce primaria proveniente dal nulla e senza fine. Una radice comune, SFR, le lega ai termini “libro” (sefer), “computo” (sefar) e “storia” (sipur).

 

 

Sogno che sono loro

 

 

Sogno che sono loro, li sogno
un giorno che entrano per sempre
in un’acqua, la loro profonda
imprevedibile pace e hanno il sorriso
bellissimo e stanco di chi sa e tace

quel che arriva,
o bene o bene incerto.
Si avvicina intanto un motore
e si allontana la vita, si rifugia
negli occhi più miti.

Ti dico:
here I am, an old man in a dry world.
C’è tutta la vita non mia
in questo che inizia
a guerra non finita.

Poi un altro, a dry brain in a dry season,
un uomo che frana borbottando:
pensate che è, no, era il più giovane,
quel viso adesso tra l’erba schifosa
tra le cas… cadute, case.

Tanti, eravamo tanti, tu… tutti…
sul punto di…

Appaiono altre figure alla fine
e vanno al cuore del sangue, il grande
inquisitore, i fucilieri, e noi
dietro un coro e le palme.

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Cristiano Poletti è nato a Treviglio (Bergamo) nel 1976, è laureato in storia e lavora all’Università di Bergamo. Ha scritto due libri di poesia: Porta a ognuno (L’arcolaio 2012) e Temporali (Marcos y Marcos 2019). Autore di saggi, ha scritto: Trovandomi in inviti superflui, in L’attesa e l’ignoto – L’opera multiforme di Dino Buzzati (L’arcolaio 2012); dei poeti, (Carteggi Letterari 2019); Libellula gentile, sulla vita e il lavoro di Fabio Pusterla (Marcos y Marcos 2019). Ha vinto il Premio internazionale Europa in versi 2020 e il Premio Letterario Internazionale Ceppo di Pistoia 2021. Dal 2007 al 2017 ha diretto Trevigliopoesia, festival di poesia e videopoesia. Ama la pittura e il pianoforte.

 

 

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