Marilena Renda, da “Fuoco negli occhi”

Marilena Renda a Bologna in Lettere, 2020

A Siracusa Freud vede piccole statue
di madri e fanciulle, alcune con neonati,
colte nell’atto di sorridere o camminare.
Qui ho visto il femminile, scrive a Jung,
ma non entra nei dettagli e non condivide
la scoperta nemmeno con Ferenczi,
che in viaggio si rivela esigente e molesto.
Tiene per sé la visione, scovata o no per caso,
vale un intero viaggio, ma non trova le parole,
forse l’ha desiderata troppo a lungo,
ed è inutile addobbare la verità di dettagli.
Scrive alla moglie, impossibile l’anno prossimo,
troppo costoso venirci in tre, in cinque, in undici,
dovrei mettermi a fabbricare fibbie e fiammiferi,
tengo la Sicilia per me, nessuno me ne voglia.

*

Arrivato a Siracusa, Jünger torna dov’era stato,
alla fonte dei papiri, che lui ricorda in libertà,
mentre facevano compagnia alle ninfe. Una o due ninfe?
Forse due, ma ugualmente soggette a metamorfosi,
morte per amore e subito trasformate in fiumi.
Non si rassegna al cambio di geografia interiore:
qui ogni cosa e il suo contrario, annota,
sono possibili allo stesso modo, e la storia fa presto
a degradarsi, a restituire gli oggetti alla natura.
Se uno ha visto una ninfa sciogliersi nell’acqua,
fa presto a credersi una divinità, ma dimentica
le visioni successive, la rovina del corpo,
la storia che continua dopo la cristallizzazione.
Il sole splende ancora, noi ostinati nell’infanzia.

*

Non può nemmeno dirsi mare, il tratto di Stagnone
che collega Mozia alla terra. Più di ogni altra isola
questa appartiene ai morti, e i morti raccomandano prudenza.
La barca che lo attraversa deve procedere con cautela
su cinquanta centimetri di fondale, a ogni istante
può incagliarsi, ricordi che non riuscivamo a proteggere
Bianca dal sole, e tuttavia non avevamo paura,
sotto la pelle del mare potevamo vedere la strada
costruita per i carri, con la bassa marea si può attraversare,
e anche se il mare tenta di confondere le tracce
puoi sapere com’è, portare da mangiare ai morti.

*

Per iniziare a scrivere il suo poema,
Eliot aveva deciso di aspettare la primavera,
o almeno una stagione di quiete,
qualcosa di simile a una tregua.
Non sapeva che avrebbe avuto bisogno
di una guerra, o almeno di una siccità,
una condizione che dall’esterno avremmo potuto
associare a una moglie pazza, ma mai, mai
a un impiegato della Lloyds Bank.
Avrebbe avuto bisogno di tempo, anche,
e del dottor Vittoz che, premendogli
la mano sulla fronte, gli indicava dove
distogliere gli occhi, la calma che serve
quando niente è da perdere ormai.
Fuori dalla finestra, sul lago Lemano,
insisteva il battito d’ali del disastro.

*

A Perth Amboy, New Jersey, la Madonna secondo i testimoni
è apparsa sul vetro di una finestra. Sono accorsi i fedeli,
i religiosi in cerca di prove, quelli che aspettano miracoli
da sempre, hanno appiccicato le mani al vetro.
Toccare significa credere di più, raddoppiare
l’esperienza sensoriale, perché vedere non è mai abbastanza.
Dall’altra parte del vetro c’era Rachel Harrison, artista.
Non importa che non credesse, l’alito della divinità c’era lo stesso.
Aveva una macchina sensibile, così sensibile da registrare
lo spessore degli anelli delle mani, i gemelli ai polsi,
e se qualcuno col dito ha tracciato dei segni sul vetro,
per convincere la Madonna a rimanere ancora un po’,
non lasciarci così soli con i nostri occhi, il poco fiato.
Le cittadine sperdute hanno più bisogno di speranza delle altre,
quelle che hanno l’ambizione di stare ferme, al centro della storia.

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Marilena Renda è nata a Erice nel 1976, ha vissuto a Roma e Palermo e vive a Bologna, dove insegna inglese. È laureata in Lingue e ha conseguito un dottorato in Italianistica con una tesi su ebraismo e letteratura nel Novecento. Nel 2010 è uscita per Gaffi la monografia: Bassani, Giorgio. Un ebreo italiano. Ruggine (dot.com press 2012), Arrenditi Dorothy (L’orma 2015), La sottrazione (Transeuropa 2015) e Regali ai fantasmi (Mesogea 2017). Con La sottrazione ha vinto il premio Bologna in Lettere 2019.

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