Giuseppe Martella, “Il declino della vita”

Giuseppe Martella

ARIA-AURA

DI GIUSEPPE MARTELLA

 

Facendo seguito a una serie di mie precedenti riflessioni[1] sullo statuto dell’aria nell’immaginario collettivo dall’antichità ai giorni nostri, e in particolare sul ruolo sussidiario che le è toccato nella storia dell’arte e del pensiero, per effetto della sua scontata abbondanza e affidabilità, intendo ora sviluppare sommariamente il nesso, apparentemente peregrino, fra il concetto comune dell’aria e quello filosofico dell’aura, elaborato da Walter Benjamin in un suo famoso saggio del 1936 a proposito dell’incidenza estetica e sociale della riproduzione tecnica di artefatti, e con particolare riferimento alla fotografia e al cinema, tecnologie d’avanguardia di quei tempi. In base all’elaborazione di questo nesso, abbozzerò infine una serie di ipotesi sulle opzioni pratiche e teoretiche che si delineano (o meglio, si precisano) dopo l’emergenza del coronavirus.

L’aria come si sa è la condizione generale per la sussistenza e lo sviluppo della stragrande maggioranza delle specie viventi sulla terra (esclusi gli organismi anaerobici, appunto, come i funghi e alcuni tipi di batteri). A tal proposito è anzitutto opportuno ricordare che il termine greco antico per designare l’anima individuale era psykhé, che significa “soffio vitale” e ha la stessa radice di aria. E’ lecito pertanto considerare l’anima come il principio di individuazione dell’aria. D’altra parte, per Benjamin, l’aura di una cosa costituisce la quint’essenza di tutto ciò che di essa si può tramandare, cioè il sigillo della sua singolarità storica. Nel caso sia di eventi sociali che di figure umane, come anche in quello di opere d’arte (per esempio un quadro d’autore), la riproducibilità tecnica (nelle forme allora egemoni della fotografia e del film), consentendo la moltiplicazione indefinita delle copie, produce secondo Benjamin la distruzione dell’aura dell’originale, ossia del suo valore di testimonianza e della sua intrinseca storicità. Come si vede, qui il concetto di “perdita dell’aura” riguarda tanto ciò che è animato quanto ciò che non lo è. In questa prospettiva, se l’anima è il principio di individuazione del vivente, si può ben dire che l’aura è il principio di individuazione di ciascuna cosa nel suo divenire storico. E’ possibile ipotizzare perciò l’equivalenza fra psiche umana e aura dell’artefatto, in quanto entrambe funzioni individualizzanti del sostrato universale dell’aria, che nel caso di oggetti ed eventi storici si manifesta nella figura dello Spirito (Geist), o Anima Mundi, in quanto sineddoche generalizzante dell’anima individuale. Vi è insomma un continuum biopsichico che lega le nozioni di aria e di spirito, da una parte, a quelle di anima e di respiro dall’altra.

Nel momento in cui la riproduzione tecnica, come oggi accade, ha pervaso in modo capillare l’ordine dei simboli e con la codifica digitale è in grado di simulare qualsiasi oggetto o processo, appare evidente che la tecnoscienza, sfortunatamente asservita agli interessi del grande capitale finanziario multinazionale, sia in grado di colonizzare senza residui tutti gli ecosistemi psicofisici, individuali e collettivi. Ma gli interessi del mercato e quelli dell’ambiente sono di recente entrati in definitiva rotta di collisione, sicché a mio parere in politica risultano oramai inadeguate le antiche distinzioni fra destra e sinistra, conservatori e progressisti, e tantopiù tutte le rivendicazioni di gruppi contrapposti quali uomini e donne, giovani e vecchi, stanziali e migranti, nord e sud, che fanno solo il gioco del grande capitale, catalizzando le tensioni sociali sul capro espiatorio di turno e sviando l’attenzione delle masse dalla reale posta in gioco. Credo infatti che nei prossimi decenni la battaglia decisiva si svolgerà fra liberismo (etico-economico) e ambientalismo, non senza intrecci più o meno espliciti fra questi due poli, e ciascuno di noi sarà chiamato a prendere posizione senza mezzi termini. Giunti a questo punto nel processo millenario di sfruttamento e dominio progressivo della natura da parte degli umani, si può infatti ragionevolmente ipotizzare, anche fuori di metafora, la possibilità della produzione di anticorpi da parte dell’ecosistema nei confronti del virus homo sapiens – operando una estensione ai regni vegetale e minerale del principio ambiguo della mimesi (simulazione-emulazione) che regge verosimilmente l’apprendimento e il comportamento di tutte le specie animali (René Girard, Konrad Lorenz) e delle loro funzioni organiche (neuroni specchio, ecc.). Fatta questa diagnosi necessariamente sommaria di una situazione molto complessa, abbozzo ora alcune ipotesi di lavoro da prendersi con beneficio di inventario o addirittura come semplici provocazioni.

  1. Quella fra aria e aura, piuttosto che essere una mera assonanza o anche una semplice analogia, è una vera e propria omologia biopoetica. Essa presiede ai processi di costituzione e di evoluzione delle singolarità in generale nelle varie nicchie ecologiche e culturali.
  2. Nel campo della poesia, per esempio, sussiste un rapporto intrinseco fra aria e verso, dal momento che la pausa obbligata nel respiro costituisce l’origine di quella scansione metrica del discorso che permette poi di attuare tutta la serie di artifici fonico-ritmici e morfo-sintattici, così ben descritti dai Formalisti Russi e tali da consentire una lettura verticale oltre che orizzontale del testo, facendone pertanto un messaggio estremamente denso e complesso. Tale implicazione originaria tra respiro e verso si realizza poi a partire dal livello base della nominazione, e si consideri a tale proposito il nesso ricorrente nel Canzoniere del Petrarca fra “l’aura” e “Laura” che, lungi dall’essere un mero vezzo, costituisce un esempio probante del procedimento della paranomasia che fonda il discorso poetico, richiamando la sua funzione originaria di donazione dei nomi alle cose, cioè l’atto del battesimo che è l’equivalente linguistico del principium individuationis in natura.
  3. Come premessa indispensabile ad ogni dibattito di ordine storico-esistenziale, mi pare indispensabile prendere coscienza della nostra oramai irreversibile condizione di cyborg, cioè della reciprocità di organi e protesi nel determinare lo stile, la qualità e la durata delle nostre vite. Ciò può aiutarci ad elaborare modelli non antropocentrici dell’ecosistema, in modo tale da potere cogliere in pieno le molteplici implicazioni fra la riproducibilità naturale e quella tecnica.
  4. Dalla presa d’atto del degrado dell’aura a quello dell’aria è passato circa un secolo, il tempo necessario perché lo strapotere della tecnica abbia raggiunto da un lato l’ordine dei codici, creando la cosidetta realtà virtuale, e dall’altro sia riuscito a stravolgere l’equilibrio dell’ecosistema planetario, sicché dobbiamo ora attenderci ogni sorta di nuove emergenze. Quando un sistema qualsiasi, infatti, entra in anelli di retroazione positiva ossia in circoli viziosi che tendono ad amplificare le sue oscillazioni, tende a divenire incontrollabile e soggetto a eventi di ordine apocalittico (di cui oggi già abbiamo le prime avvisaglie), tali cioè da preludere al proprio finale annichilimento.
  5. Possiamo ipotizzare pertanto una soglia critica nell’ecosistema in cui la riproduzione tecnica e quella biologica entreranno in una fase di antagonismo esponenziale. In fondo la codifica digitale e quella genetica, per esempio, obbediscono a principi combinatori analoghi. Al limite, in prospettiva autopoietica, si può supporre che come la tecnica ha emulato per secoli i procedimenti naturali, altrettanto possa fare la natura nei confronti della prima, allorché si sia superata una certa soglia in cui la mimesi antagonistica che vige in tutte le comunità animali, si trasferisca, elevata a potenza, ai processi naturali in generale.
  6. Se si adotta una prospettiva integralmente biopoetica e autopoietica (come fa in parte per esempio Edgar Morin nella sua teoria della complessità), e avvalendosi di branche ormai evolute della matematica, come la topologia, gli studi sui frattali, la teoria dei gruppi, oltre ovviamente alla statistica, non dovrebbe essere impossibile concepire l’evoluzione dell’ecosistema in modo non antropocentrico ma tale da includere l’impatto decisivo del virus homo sapiens faber e di costruire modelli fisico-matematici, con valore non solo descrittivo ma anche predittivo (sull’interazione reciproca tra evoluzione naturale e tecnologica) che, tenendo conto delle numerose variabili in gioco, possano individuare spazi di coabitazione e soglie di catastrofe. Su tali predizioni scientifiche si dovrebbero infine coordinare agende politiche globali, efficaci e coerenti nel medio e nel lungo periodo. Quest’ultimo passo è ovviamente quello più problematico e di improbabile realizzazione. Ma se esso non verrà compiuto in tempi brevi, temo che ci attenda un rapido declino della civiltà e della qualità della vita nei prossimi decenni e in prospettiva più lunga persino la possibile estinzione della specie umana.

La diagnosi qui tratteggiata a grandi linee escluderebbe ovviamente la praticabilità di ogni tipo di localismo o di sovranismo, comportando una rivoluzione copernicana di ordine etico-politico, con lo spostamento, a livello sia deontologico che istituzionale, dell’accento dalla rivendicazione dei diritti alla sottoscrizione dei doveri da parte di individui e gruppi sociali, di tutti e di ciascuno.

 

[1] apparse su poesia.blog.rainews.it del 12.5.20.

 

2 pensieri su “Giuseppe Martella, “Il declino della vita”

  1. L’intervento è complesso e necessita di una analisi molto accurata. In prima approssimazione colgo la dicotomia liberismo/ambientalismo (io direi anche individualismo /socialità) come il vero centro della partita in cui si gioca il possibile “declino della vita”. E questo io lo condivido in pieno. L’intervento reca infine quella che secondo me è la cosa essenziale : su quale livello impostare la partita. E dice : “La diagnosi qui tratteggiata a grandi linee escluderebbe ovviamente la praticabilità di ogni tipo di localismo o di sovranismo, comportando una rivoluzione copernicana di ordine etico-politico, con lo spostamento, a livello sia deontologico che istituzionale, dell’accento dalla rivendicazione dei diritti alla sottoscrizione dei doveri da parte di individui e gruppi sociali, di tutti e di ciascuno.” Da giurista e studioso della storia delle istituzioni osservo. 1- Le transizioni dei modi di produzione fin qui conosciute (schiavistica , feudale, capitalistica) sono sempre state attraversate da essenziali passaggi istituzionali a volte anticipatori del futuro assetto economico. Il caso più eclatante è il processo di codificazioni e consolidazioni che furono la culla del capitalismo. Qui il diritto giunse prima non a consacrare il fatto ma ad anticiparlo .. Noi stiamo assistendo al crollo di quell’impianto giuridico che prefigura scenari di neoparticolarismo. Così come accadde dopo il massimo sforzo di tenere in piedi l’Impero con la Codificazione giustinianea e il tentativo di “renovatio imperii”. 2- Se tanto mi da tanto il localismo e il sovranismo questo sottintendono e l’ unica via per un “ambientalismo” vissuto responsabilmente in modo globale non può che essere una via Costituzionale (Sulla rilevanza delle “istituzioni giuridiche” nei processi in atto cfr. Roberto Esposito “Da fuori”). Di tanto si rende conto anche Giuseppe Martella nella frase che ho citato e che lui colloca in chiusa. Questo è , per così dire, l’aspetto “politico” del tutto. Ma credo sia ineludibile per sottrarci ad esercizi di triste elegia. Su tutto il resto l’analisi va approfondita specie su quell’ambientalismo non antropocentrico di cui nel saggio si parla.

  2. Uno scontro fra neoliberismo e ambientalismo? In giro di libertà purtroppo c’è ne è poca. Io direi, piuttosto, uno scontro fra interessi economici monopolistici e ambiente. Purtroppo il neoliberismo, così come lo intendeva Foucault, non c’è. Avrebbe dovuto essere la richiesta agli individui di essere imprenditori di se stessi. Così Foucault lo spiega nel corso di Biopolitica. Quello che c’è, invece, sono giganti monopolistici del web che privano della libertà i piccoli e competono con gli Stati.

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