Santa Teresa d’Avila, “Muero porque no muero”

NOTA DI LETTURA DI ALBERTO FRACCACRETA

La tradizione a cui fanno riferimento i testi poetici di s. Teresa d’Avila (1515-1582) è senz’altro quella trobadorica: com’è segnalato nella notizia biobibliografica che segue i quindici testi selezionati e magnificamente tradotti dal curatore (Muoio perché non muoio, traduzione di Emilio Coco, Raffaelli editore, pp. 76, € 12), «tutto succedeva, scrive María de San José, ridendo e componendo “romances” e “coplas”». Il romance, in particolare, la forma poetica più tipica della tradizione spagnola, è sorto con i cantares de gesta e con i giullari, equivalenti iberici dei trovatori. La copla, cobla in occitano, è invece la strofa basica della poesia medievale. Le liriche sicuramente attribuibili a s. Teresa sono almeno una trentina (altre potrebbero essere state scritte da consorelle come María de San José), e la prima pubblicazione apparve nella miscellanea Escritos de Santa Teresa, con il commento di Vicente de la Fuente, nel 1862. Un’edizione singola delle Poesías uscì nel 1957.
Quelli di Teresa sono, in sostanza, testi d’amore. Ma di un amor mysticus, il cui destinatario è il «dolce Cacciatore», il Dio totalmente inaccessibile e absconditus che comunque «ferisce di dolcezza» — per utilizzare un’espressione di Jaufré Rudel, sicuro modello stilistico e tematico di questi versi — l’animo della poetessa. Ecco perché Teresa sente di partecipare a un’antinomia sostanziale dell’esistenza, e tutto l’apparato sintattico messo in campo ne testimonia la contraddizione e la razo: essendo l’Amato al di là della morte ma essendo Egli l’autore e la fonte della vita, in valore del passo evangelico di Mt 16,25 «chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà», la santa spagnola muore per il suo non morire. In altri termini: desidera perdere la vita per poterla guadagnare. Ma tale atteggiamento ossimorico non si ferma soltanto alla dicotomia suprema, bensì riguarda gli aspetti più minuti del quotidiano: «Sia nel pianto la mia gioia,/ soprassalto il mio riposo,/ la mia quiete dolorosa,/ e bonaccia la mia angoscia.// Tra le burrasche il mio amore,/ mio regalo la ferita,/ nella morte la mia vita,/ nel disprezzo il mio favore.// Mio tesoro l’indigenza/ il lottare il mio trionfo,/ mio riposo il lavorare,/ la tristezza il mio contento» (Aspirazioni). Con ardite antitesi petrarchesche, Teresa vuole rammentare a sé stessa e al lettore i paradigmi essenziali della vera vita: «Solo Dio basta». Questa è l’Efficacia della pazienza, questo è il duro richiamo a un esserci più marcato in profondità, solcato da un’inscalfibile consapevolezza. E quale poeta ai giorni nostri saprebbe tracciare un iter poetico più efficace del Cammino della croce? Quale poeta potrebbe oggi sperticarsi nelle Lodi alla croce o meravigliarsi della Bellezza di Dio con tale energia narrativa e fervore lirico?
Le poesie di s. Teresa — percorse da un’irriducibile venatura metafisica, che le rende attuali a ogni latitudine geografica e storica — sono uno scrigno di sapienza e di abnegazione, dedizione assoluta. Qualità, queste, assai utili per una società distratta come la nostra, che tuttavia potrebbe iniziare ad aprire gli occhi dinanzi a un simile bacino d’interiorità così ricco ed elevato.

Santa Teresa d’Avila, Muoio perché non muoio, traduzione di Emilio Coco, Raffaelli editore

Vivo sin vivir en mí
y tan alta vida espero,
que muero porque no muero.

Vivo ya fuera de mí,
después que muero de amor;
porque vivo en el Señor,
que me quiso para sí:
cuando el corazón le di
puso en él este letrero:
Que muero porque no muero.

Esta divina prisión,
del amor en que yo vivo,
ha hecho a Dios mi cautivo
y libre mi corazón;
y causa en mí tal pasión
ver a mi Dios prisionero,
que muero porque no muero.

¡Ay, qué larga es esta vida!
¡Qué duros estos destierros!
Esta cárcel y estos hierros
en que el alma está metida!
Sólo esperar la salida
me causa un dolor tan fiero,
que muero porque no muero.

¡Ay, qué vida tan amarga
do no se goza el Señor!
Porque si es dulce el amor,
no lo es la esperanza larga:
quíteme Dios esta carga
más pesada que el acero,
que muero porque no muero.

Sólo con la confianza
vivo de que he de morir,
porque muriendo el vivir
me asegura mi esperanza;
muerte do el vivir se alcanza,
no te tardes, que te espero,
que muero porque no muero.

Mira que el amor es fuerte;
vida, no me seas molesta,
mira que sólo me resta
para ganarte perderte.
Venga ya la dulce muerte,
el morir venga ligero
que muero porque no muero.

Aquella vida de arriba,
que es la vida verdadera,
hasta que esta vida muera,
no se goza estando viva:
muerte, no me seas esquiva;
viva muriendo primero,
que muero porque no muero.

Vida, ¿qué puedo yo darle
a mi Dios que vive en mí,
si no es el perderte a ti
para merecer ganarte?
Quiero muriendo alcanzarte,
pues tanto a mi Amado quiero,
que muero porque no muero.

Vivo ma in me non vivo
e fino a tal punto spero
che muoio perché muoio.

Vivo ormai fuori di me
dopo esser morta d’amore,
perché vivo nel Signore,
che mi ha voluta per sé:
quando gli ho dato il mio cuore
vi ha scritto queste parole:
Che muoio perché non muoio.

Questa divina prigione,
dell’amore con cui io vivo,
Dio ha reso mio prigioniero
e ha liberato il mio cuore;
e mi dà tanta passione
veder Dio mio prigioniero
che muoio perché non muoio.

Com’è lunga questa vita!
Com’è duro questo esilio!
Il carcere e questi ceppi
in cui l’anima si trova!
Solo aspettarne l’uscita
mi causa un tale dolore,
che muoio perché non muoio.

Ah, che vita così amara
se non si gode il Signore!
Perché se è dolce l’amore,
non lo è la lunga speranza;
toglimi Dio questo peso,
più pesante dell’acciaio,
che muoio perché non muoio.

Vivo con la sicurezza
che un giorno dovrò morire,
perché il vivere, morendo,
mi assicura la speranza;
morte in cui vita s’ottiene,
non tardare, che ti aspetto,
che muoio perché non muoio.

Guarda che l’amore è forte;
vita, non mi molestare,
guarda che solo mi resta
perderti per guadagnarti.
Venga ormai la dolce morte,
venga il morir senza indugio
che muoio perché non muoio.

Quella vita di lassù
che è la sola vera vita,
fino a che questa non muore,
non si gode essendo viva:
morte, non essermi schiva;
che io viva morendo prima,
che muoio perché non muoio.

Vita, che altro posso dare
al mio Dio che vive in me,
se non il perdere te
per poterti guadagnare?
Voglio morendo raggiungerti,
ché bramo tanto il mio Amato,
che muoio perché non muoio.

(Traduzione di Emilio Coco)

Santa Teresa d’Avila (Teresa de Cepeda y Ahumada) nacque a Gotarrendura, Avila, il 28 marzo del 1515. Nel 1534 entrò nell’ordine del Carmelo. Fondò diversi conventi che chiamò “colombaie della Vergine”, con l’aiuto del monaco carmelitano Juan de Yepes Álvarez, più conosciuto come San Giovanni della Croce, uno dei più grandi poeti di lingua spagnola. Insieme fondarono l’Ordine dei Carmelitani scalzi. Santa Teresa scrisse opere mistiche e dal chiaro indirizzo didattico, tra le quali ricordiamo: Camino de perfecciónMeditaciones sobre los cantaresEl castillo interior (o Las moradas), Cuentas de concienciaExclamaciones del alma a su DiosLibro de las fundacionesLibro de las constitucionesVisita de descalzasAvisosEpistolario. Scrisse anche un’autobiografia intitolata Libro de la vida tra il 1562 e il 1565. La sua opera poetica è breve. Fu compilata per la prima volta con il titolo Escritos de Santa Teresa, edizione critica, col commento di Vicente de la Fuente, nel 1862. Nel 1957 apparve il libro intitolato Poesías, nella collana “Crisol” della casa editrice Aguilar di Madrid. Nel 1974 si pubblicarono le sue Obras completas nella Biblioteca di Autori Cristiani. Santa Teresa morì ad Alba de Torres il 4 ottobre 1582. Fu canonizzata dal papa Gregorio XV nel 1622 e proclamata Dottore della Chiesa dal papa Paolo VI nel 1970.

Santa Teresa compose molte poesie ed ebbe la fama di essere una brava “tracciatrice di versi”. Li scriveva per rendere meno monotona, con una spruzzata di sorrisi, la vita dei suoi conventi e la stanchezza dei suoi continui viaggi di fondatrice. “Tutto succedeva, scrive María de San José, ridendo e componendo “romances” e “coplas” su quanto riguardava la nostra vita conventuale”. Qualsiasi avvenimento stimolava l’ispirazione: Il Natale, la festa di un santo, una ricorrenza speciale.
Verso la metà del XVIII secolo, il padre Andrés de la Encarnación raccolse nei vari conventi le poesie che sembravano essere di Santa Teresa. La maggior parte le trovò a Toledo (16), altre a Cuerva (5), Madrid (5) e Guadalajara (5). La copia si conserva oggi nel manoscritto 1400 della Biblioteca Nazionale di Madrid.
È difficile individuare le vere poesie della Santa. C’erano tra le sue consorelle altrettante buone “tracciatrici di versi” come, per esempio, María de San José. Quelle sicuramente sue superano di poco la trentina.

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