Franz Krauspenhaar, “Capelli struggenti”

Franz Krauspenhaar – Credits ph. Viviana Nicodemo

Franz Krauspenhaar è uno scrittore-poeta italiano. Il suo cognome è tedesco, di origine slava, germanizzato nel 1500-1600. Un cognome presente in qualche centinaia nel circondario di Dresda e sui monti Sudeti, enclave tedesca in Cecoslovacchia annessa al Reich nel 1938, una popolazione che tuttora vive lungo le zone di confine dell’attuale Repubblica Ceca.
In Era mio padre (Fazi, 2008), Franz Krauspenhaar racconta la storia del padre di origini tedesche nato in Italia negli anni Venti, combattente della Wehrmacht, l’armata di Hitler, durante la seconda guerra mondiale. Una narrazione in cui si accavallano ricordi di episodi vissuti realmente dal protagonista, ad altri che Franz ha soltanto sentito raccontare.

Tre domande a Franz Krauspenhaar
di Luigia Sorrentino

Quando hai cominciato a scrivere poesie?

“Ho cominciato a scrivere poesie seriamente proprio alla fine della stesura di “Era mio padre”.. Ho sempre scritto poesie, ma senza crederci davvero. Mi sono accorto che le poesie che scrivevo erano un modo per rimanere attaccato a quel libro, per dire le stesse cose in un modo diverso, più sintetico e allusivo. Nel mentre, mi sono affinato, finché non sono uscito nel 2009 con la mia prima raccolta , Franzwolf, con Torino Poesia.”

Perché uno scrittore a un certo punto può sentire la necessità di mettersi a scrivere poesie? Cosa è successo in te?

“Per me la poesia  è come una mano ulteriore per terminare il mio affresco. La narrativa non mi bastava più, devo dire le cose che penso in un altro modo. Credo che la poesia sia qualcosa che ho sempre avuto dentro, a cominciare da certe pagine di prosa che ne sono, come dire, infestate”.

“Capelli struggenti” è il titolo della raccolta che hai pubblicato con Marco Saya. Perché questo titolo?

Capelli struggenti è come una formula. Sono i capelli caduti per colpa del tempo e dunque dell’età che sono un po’ come le occasioni mancate. La giovinezza è fatta di quei capelli, dunque lo struggimento è di chi ha perso qualcosa di prezioso che non tornerà più.”

ESTRATTI
Da “Capelli struggenti”, Marco Saya Editore, 2016

 

Alla madre

Mamma io sono già morto
e vorrei approfondire il futuro
ma tu non esserne colpita
sono morto come un foglio
giallo, sotto una biro che non scrive.
Nel nostro profumo di vaniglia
le torte che hai fatto salutano
la nostra storia. Io sono già morto
con la musica troppo alta, l’ozio
delle domeniche e il vento che spira
dalla mia testa china. Non temere,
sono vivo ancora, se ti avvicini.
Se ti avvicini saremo sempre vivi,
il vento saremo noi, contro la musica
della nebbia, della pioggia, del sole.
E avvicinarsi ai confini, senza paura.

Dispera

L’amore è una cosa che mi dispera,
non lo spero da anni, ma lo stesso
a pensarci mi ferisco nel petto
come una donnetta scema. Allora,
a notte fonda preparo poche righe
nelle quali immagino un lui che
fa l’amore con lei, e lei ha i polsi
tagliati da poco, dai quali sgorga sangue
a rivoli compatti. Quel lui sarei io, e la lei
una donna mai esistita, la personificazione
della disperazione, della mia solitudine,
la carne brillante dello scempio.

La pastura del niente

Farsi le canne col sentimento
del ti voglio bene, la pastura
del niente. A noi rode e scuote la bile
del sentimentalismo inospitale.
Cerca il viaggio fondamentale,
spaziale, controverso. Non scrivere più
parole, ma colori. Ascolta la voce
del passato sotto le ruote di un camion
rotto. Cuoci le uova dentro canne di fucile
e sbatti i panni sulla faccia smunta del re
prima che si frigga il tempura, e uova affiorino
da un sogno, sulla tua morte per affogamento.

Ciò che si ama senza sapere

A volte divento così romantico e appassionato
col nessuno che ameremmo
che per resistere alla voraginosa assenza di lei
mi addormento, di colpo, quasi svenendo,
perché ciò che si ama senza sapere che esiste
è un coltello nel letto.

La solitudine

In vent’anni non ho conosciuto nessuno
ho incontrato migliaia di persone
senza conoscere anima viva
non sono solo, siamo in tanti
ad essere soli. Siamo senza memoria,
entro in una stanza e non riconosco
nessuno, intanto chi dice di amarmi
mi mette una mano sulla testa, e ausculta
i miei pensieri, poi dice che la torta è pronta,
ha un rumore di autostrada nella notte
mentre una radio ronza e cerca di sedurre
una mosca, che non abbocca
all’amo di marzapane. L’amore non esiste
anche se è sostantivo, amare invece si può,
è verbo, si spiega come un ventaglio,
è sostanza di ogni gusto possibile, è un fare
nel giorno, e nella notte.

L’inefficacia delle ore

Questo tempo è una
tomba di cemento
illuminata dal sole.
L’inefficacia delle ore
mi pare un cielo grigio
che sale su una scala;
ora si perde, ora sfugge
per sempre, in un buco
infinito, un buco di eroina
sul cavalcavia di una notte,
persa nel buio corroso
di una padella sporca
che ha fritto pentimenti,
solo pentimenti.

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