Rosa Riggio, “Il peso della neve”

il-peso-della-neve-367098Dal risvolto di copertina di Piero G. Arcangeli

Nulla è più presente dell’assenza del padre: nella forma del bianco che travolge a slavina. È pensum, il pensiero, che il lavoro poietico sottrae alla gravità, al rigore dell’identico: alleggerisce e rifrange. Il verso rimane in bilico sulla carta fra respiro e sgomento, fra il vapore della parola e il silenzio agghiacciante; fra la precarietà del segno e quella del sogno. Equilibrio prezioso, da rinnovare ogni volta.

Il peso della neve si legge ad arco: i singoli momenti/segmenti, fragmenti di un’unica domanda (Frage, nella lingua di Rilke) vanno a comporre come grani il rosario laico che Rosa recita per sé: visione senza condivisione. Poi viene l’ascolto, ritmo profondo e incalzante: l’ascolto di sé, della moltitudine in sé, in grazia del quale il domandare muta in rimando, prende colore, accetta il rischio della relazione, di incontrare – muovendo da sé – un sé estraneo: rivelare è perdere. E come si capovolge il tempo? Il tempo giusto sembrerebbe quello passato, se si potesse tenere insieme il non più con il mai stato. E non c’è verità di traverso che tenga: all’angolo, fra il tempo del Padre e quello dello Spirito, la figlia inventa una via di fuga: Notre-Dame è un battello.

Nella seconda parte del libro, l’io lirico si apre al dialogo, fa spazio alla condizione affettiva dell’io narrante, la visione si fa quasi preghiera, la follia dell’assenza si arrende alla vertigine di vivere, all’incompiutezza: in due/ forse. La denuncia (dove non c’è più un noi/ l’io è senza nome/ e miete distanze) si risolve al salto: non farlo è morire ed è tempo di raccontare. Non si muore/ davvero se resta una voce.

ESTRATTI
Da Il peso della neve, (La vita Felice, 2016)

 

In segreto si dissolve l’onda
rallenta sul lembo dell’universo
sfiora un’acqua scura.

Una metamorfosi dei secondi
il collasso del vento, poi
corpo, pesante, stelo.

E’ un tempo di vetro
quello che si allontana
lo vedo cadere
come una noce
in un cesto vuoto.

*

Si raccolgono i fiori caduti.
La terra non è pane
non è atomo né suono.
Sto con il mento sui piedi
le mani di pietra.
Il cerchio si è chiuso.
E’ finita la giostra
del fuoco e del vento.

*

Si è posato infine il tempo
ha detto basta
un pomeriggio di tre anni fa.
Come un involucro vuoto
che si svuota di niente.
Un incanto quello stare tutti intorno
a guardare, come muove i passi
la morte
quando non sa dove andare.

___

Rosa Riggio è nata a Salerno (RC) e vive da alcuni anni a Viterbo. Insegna Lettere nella scuola secondaria superiore. Ha pubblicato: Un elaborato silenzio (Il filo, 2005); L’orizzonte alle spalle (Fusibilialibri, 2014).

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