Theo Dorgan, “Ellenica”

Letture

Collana Snáthaid Mhór – Poesia irlandese contemporanea
THEO DORGAN, Ellenica Ed. Kolibris, € 15,00

Nota e traduzione di Chiara De Luca
– 
“Mi vidi invecchiare là in un mondo piccolo, / mi rifiutai. E prese piede il sogno di un altrove”, scrive Theo Dorgan rievocando la propria infanzia. Ed è da questa paura dell’immobilità, di fronte alla prospettiva della prigionia in un mondo limitato e uguale, che nasce la sua ansia del viaggio, il senso del movimento come accrescimento d’esperienza interiore ed esteriore incessante, il desiderio inesausto, trascinante, di un mitico altrove che non è segnato sulle carte, né circoscritto e costretto da alcun confine. In Ellenica questo paesaggio dell’anima si identifica con la Grecia, dove l’autore ritrova e porta allo scoperto le proprie radici autentiche mediante un paziente lavoro di scavo e rievocazione, svolto alla confluenza tra passato e presente, nell’intersezione tra cielo e terra all’orizzonte evanescente segnato dal mare onnipresente. Per Theo Dorgan la Grecia rappresenta il luogo in cui le generazioni passate e quelle attuali si incontrano e scontrano, arricchendosi mutualmente. La Grecia diviene perciò terra franca in cui trascendere “la vita che dobbiamo chiamare reale”, in virtù dell’immaginario potenziato di sogno e mito, territorio vergine in cui esplicare all’ennesima potenza “la grande libertà distorta della nostra arte”, il respiro che la routine della vita d’ogni giorno sopisce e strema. Non c’è in questa visione ideale un tradimento delle proprie origini, né un tentativo di rinnegare la propria identità nazionale, bensì il riconoscimento pieno e l’affermazione alta della propria cittadinanza spirituale al di là di qualsiasi tentativo di geografica collocazione. “Una cosa è la mia nazione, l’altra il luogo che mi appartiene”, scrive infatti Theo Dorgan, rivendicando la libertà di ricollocare la propria appartenenza nell’assenza e nella distanza, di riconoscere infine, dopo tanto cercare, che “casa è dove cresce il cuore”, dove il cuore si alimenta e gonfia di mille rivoli di senso ed esperienza. Quello di Theo Dorgan è un elogio della fuga dalle costrizioni del Sé e dell’attorno, pur nella consapevolezza che “La voce da cui ti allontani talvolta ti scoverà”, che non ci si può cioè sottrarre al proprio destino, fissato dalle catene ora lente, ora serrate del ricordo. Fuggire non significa infatti cedere alla resa, bensì abbracciare la convinzione che “vivere la vita non è semplice come attraversare l’oceano”, ma è affrontare rotte ignote in condizioni incerte, tra tempeste impietose e schiarite sempre troppo brevi, onde imprevedibili e inabissati flussi di correnti. Nella precarietà estrema in cui l’uomo si ritrova a vivere e lottare esiste però un appiglio, un’ancora di salvezza, costituita dal mito, “grande campana di bronzo appesa / alle stelle e ai travicelli della nostra storia”, canto che si tiene e guida, affinché ci liberiamo da ogni residua sovrastruttura, riconoscendo la nostra identità nel suono sospeso che ci riecheggia e somiglia.

Begin, Begin Again
1

Flat hard light through the high window,
new shoes rapping on the polished parquet,
a drift of chalkdust hung on air.

My head still full of summer,
running and hurling, space.
A fresh year laid out before us.

Head of an argive in the new book,
helmeted, bearded, a temple above him,
a trireme below in the bay.

Fresh ink, fresh paper, the world
quietly opening to the south.
Where the swallows go.

Three hundred men and three men.
Sparta. The Isles of Greece.
Wave-tossed Odysseus. Alexander.

Ships and dark wine, sunlight under the pines,
grapes and sour olives, rough bright walls.
The childhood of the world.

Round tower on the copybook; last year’s tales
of winter storms, of blood and plunder.

I turned my back to the north wind,
no interest in Vikings, in death for gold.
The South took all my heart.
*
That winter I learned we were poor,
climbing Fair Hill in the slanting rain
with leaking shoes, to hurl in the mud and cold;
I saw myself growing old there in a small world
and I refused. Some dream of otherwhere took hold.

*

Comincia, ricomincia
1

Dura luce piatta proveniente dall’abbaino,
scarpe nuove scricchiolanti sul parquet lucidato,
una nebulosa di gesso aleggiava nell’aria.

La mia testa ancora colma d’estate,
corsa e hurling, spazio.
Un anno fresco ci si spiega davanti.

Testa di un argivo nel libro nuovo,
con elmo, barba, un tempio al di sopra,
un triremo al di sotto nella baia.

Inchiostro fresco, carta fresca, il mondo
che si apre quietamente a Sud.
Dove vanno le rondini.

Trecento uomini e tre uomini.
Sparta. Le isole della Grecia.
Odisseo sballottato dalle onde. Alessandro.

Navi e vino scuro, luce del sole sotto i pini,
uva e olive aspre, scabre pareti illuminate.
L’infanzia del mondo.

Torre circolare sul quaderno; i racconti dello scorso anno
di tempeste invernali, di sangue e saccheggi.

Ho dato la schiena al vento del nord,
non m’importano i vichinghi, la morte in nome dell’oro.
Il Sud mi prende il cuore tutto intero.
*
Quell’inverno appresi che eravamo poveri,
scalando Fair Hill sotto i rovesci di pioggia
con le scarpe bucate, in slancio nel freddo e nel fango;
mi vidi invecchiare là in quel mondo piccolo,
mi rifiutai. E prese piede il sogno di un altrove.

*

2

And then, years of the life we must call real.
The Matter of Ireland, the long march
through work and love,
murder salting the bitter wind, our weary
earnest arguments, slow thought;
trying in small ways to do good; years
of dig where you stand and what
is my nation? Tedium and joy in equal measure,
the increments of age and rage slow burning;
work and escape, work and escape,
the pull between what claims you and what you choose.

The great, slant freedom of our craft:
we make it all up. The words choose me
and I accept them, straightbacked & stubborn:
Sounion. Shandon. Hermes. Athene. Home.

The nets we flee, and find; and what finds us.

Home is where the heart grows,
and she has all my heart whom I scarcely hoped to know,
her foot falls with mine in sweet accord
where the small boats nose at the quay
and lamb smokes on the spit at evening
as we puzzle the alphabet, familiar and strange,
the heat of the day softening our bones in the dusk.

*

2

E poi, anni della vita che dobbiamo chiamare reale.
La questione irlandese, la lunga marcia
nei territori di amore e lavoro,
l’assassinio che sala in vento amaro, i nostri stanchi
serissimi litigi, pensieri lenti; nel nostro
piccolo tentando di fare bene; anni
di scavo dove ti trovavi e cosa
è la mia nazione? Noia e gioia in egual misura,
gli aumenti di età e di rabbia che bruciano lente;
lavoro e via di fuga, lavoro e via di fuga,
la tensione tra quel che ti reclama e quel che scegli.

La grande libertà distorta della nostra arte:
c’inventiamo ogni cosa. Le parole mi scelgono
e io le accetto, fiero & tenace:
Sounion. Shandon. Hermes. Atene. Casa.

Le reti che abbandoniamo, e troviamo; e quel che ci trova.

Casa è dove cresce il cuore,
e lei ha tutto il cuore che a stento speravo di sapere,
il suo piede si posa in dolce unisono col mio
dove le piccole barche puntano al molo
e l’agnello fuma sullo spiedo la sera
mentre confondiamo l’alfabeto, familiare e strano,
la calura del giorno ci placa le ossa al crepuscolo.

*

Taverna on the Beach

.
Pomegranate thumbed open to reveal generations,
apple split to its white heart of flesh.
Ultramarine waters lap at stone,
lacing our days of light with drift of salt.
All night we cry and laugh and you
taste ash of apple on my skin-
delighting in apple, pomegranate, light and salt.

Deep in your veins you carry light and salt,
testing the fruit, breath pulsing under skin,
and unexpected urgencies push through-
laughter a remedy for the deep fault
under the streets, the reek of ancient stone.
All that the heart and mind can learn from flesh
piled in a rampart against the dead generations.

*
Taverna sulla spiaggia
.
Melagrane aperte col pollice a rivelare generazioni,
mela spaccata fino al bianco cuore di carne.
Acque d’oltremare lambiscono la pietra,
orlando i nostri giorni in luce di una nube di sale.
Tutta la notte gridiamo e ridiamo e tu
mi assaggi cenere di mela sulla pelle-
godendoti mela, melagrana, luce e sale.

In fondo alle vene ti scorrono luce e sale,
testando il frutto, fiato ti pulsa sottopelle,
e inattese urgenze vi filtrano attraverso-
ridere è rimedio alla colpa profonda
sotto le strade, il fetore di pietra antica.
Tutto quel che cuore e mente possono imparare dalla carne
ammassato in un bastione contro le generazioni andate.

*
Inland
.
Cicadas drizzling through the marsh bamboo,
a bend in the road; a crescent of white dust
laid on the red earth, a full stop in shade.
Buzz of a three-wheeler, far off up the mountain.

A blank plaque of heat, the pewter sea.
An oiled sheet of tin, the grey-blue sky.

Here is the perfect place for grief
to lie coiled in ambush.
I have seen such places in the world before.
I turn and make my way back towards the beach.
*
Entroterra
.
Cicale che gocciano tra i bamboo della palude,
un’ansa della strada; una mezzaluna di polvere bianca
posata sulla terra rossa, un punto nell’ombra.
Ronzio di triciclo, lassù in alto sulle montagne.

Una lastra di calore vuota, il mare di peltro.
Una lamina oleosa di stagno, il cielo grigio azzurro.

Questo è il posto perfetto perché il dolore
se ne stia nell’ombra raggomitolato.
Ho già visto luoghi simili nel mondo.
Mi volto e mi riapro un varco verso la spiaggia.

 

*
A Farm on the Edge of Ocean
.
A farm on the edge of ocean.
Close-cropped grass,
musk of some resiny herb, a few low thorns,
stone and dry red earth, the sea beneath.

Blue house under stark pines,
a dog in the doorway barking and barking
until the vaulted sky booms back
and the downpour black is scythed through by light.

I scramble downhill for shelter,
rock to rock, fork-legged, antic,
scattering thin sheep.
The fear so immediate, striking deep.

 

*

 

Una fattoria in riva dell’oceano
.
Una fattoria in riva dell’oceano.
prato rasato, muschio
di qualche erba resinosa, e qualche biancospino,
terra asciutta e pietrosa, mare al di sotto.

Una casa azzurra sotto pini robusti,
un cane sulla soglia abbaia e abbaia
finché il cielo a volta lo riecheggia
e il rovescio nero è falciato dalla luce.

Sfreccio giù per la collina in cerca di riparo,
roccia dopo roccia biforcuta, antica,
disperdendo pecore smagrite. La paura
di un abisso tanto immediato, spaventoso.
*
Nikos

Every day he swims straight out from shore.
A mile out. A mile back.
Every day Angela sits here and watches.
Fifty years of this.
As a parting gift, I leave her my binoculars.
She is politely puzzled, mild.
To watch him drown, I say.
A smile, a long slow smile.
She lifts her chin. He laughs, he turns away.
*

 

Nikos

Ogni giorno lui si allontana a nuoto dalla riva.
Un miglio all’andata. Un miglio al ritorno.
Ogni giorno Angela si siede qui e osserva.
Va così da cinquant’anni.
In pegno d’addio, le lascio il mio binocolo.
Lei è cordialmente perplessa, dolce.
Per guardarlo annegare, le dico.
Un sorriso, un lungo lento sorriso.
Lei solleva il mento. Lui ride, si gira.
*
Nike

This girl can tell you how much Nikes cost,
but doesn’t know who Nike is, or was.

Better dead than out of fashion-Oscar Wilde
would understand this pouting anxious child,

her grim determination to fit in,
to add her moped’s wasp-roar to the din

of daily life in all its dusty charm,
impress the boys who go by arm-in-arm.

Winged victories were carved for girls like her,
to make them fleet of foot and never tire;

The goddess on her plinth above the square
is wall-eyed, blank-as if not really there.
*
Nike

Questa ragazza sa dirti quanto costano le Nike,
ma non sa chi sia Nike, o chi fosse.

Meglio morta che fuori moda-Oscar Wilde
capirebbe quest’ansiosa bimba imbronciata,

il suo accanimento ad andar bene, a sommare
il ronzio del proprio motorino al frastuono

del quotidiano nella sua polverosa malia,
a colpire i ragazzi che passano a braccetto.

Le vittorie alate furono intagliate per ragazze come lei,
per renderle rapide di piede e instancabili;

La dea sul piedistallo sovrasta la piazza
ha occhi murati, vuoti – come non ci fosse per davvero.

Theo Dorgan: è nato a Cork, Irlanda, nel 1953. Ha pubblicato tre libri di poesia: The Ordinary House of Love (1991), Rosa Mundi (1995) e Sappho’s Daughter (1998). È curatore di Irish Poetry Since Kavanagh (1995) e co-curatore di Revising the Rising (1991), The Great Book of Ireland (1991), Watching The River Flow (2000) e The Great Book of Gaelic (2002). La raccolta di poesie scelte La Casa ai Margini del Mondo è stata pubblicata in Italia da Moby Dick di Faenza nel 1998, e la traduzione spagnola di Sappho’s Daughter, La Hija de Safo, è stata pubblicata nel 2000 da Ediciones Hiperión di Madrid. La prosa Sailing for Home, in cui l’autore narra in dettaglio la sua traversata dell’Atlantico in barca a vela è stata pubblicata da Penguin Ireland nel 2004. Sempre del 2004 è la prima, al Royal Albert Hall, del libretto Jason and The Golden Fleece, musicato da Howard Goodall. La raccolta antologica A Book of Uncommon Prayer è stata pubblicata da Penguin nel 2006. Theo Dorgan è anche presentatore radiofonico e televisivo, autore di documentari, e membro di Aosdána, l’Accademia irlandese delle arti. La sua più recente raccolta di poesie, What this Earth Cost Us, è stata pubblicata da Dedalus Press nel 2008.

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