Opere Inedite, Alessandro Canzian

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

Alessandro Canzian (1977), vive e lavora a Maniago (Pordenone). Collabora a varie riviste e blog. Nell’ottobre 2008 ha fondato la Samuele Editore, che ad oggi ha pubblicato volumi premiati (Premio Gatto, Premio Camaiore, Premio Città di Forlì).  Come autore ha pubblicato Christabel (Ed. Del Leone, Spinea 2001, quarta di copertina di Paolo Ruffilli), La sera, la serra (Mazzoli 2004, prefazione di Tita Paternostro), Canzoniere inutile (Samuele Ed., Fanna 2010, prefazione di Elio Pecora, di cui un testo su “Tuttolibri” nel 2007 con critica di Maurizio Cucchi), Cronaca d’una solitudine (Samuele Ed. 2011, quaderno bifronte con Federico Rossignoli), Luceafarul (Samuele Editore 2012, prefazione di Sonia Gentili) e il saggio su Claudia Ruggeri: Oppure mi sarei fatta altissima (Terra d’ulivi 2007, presentato a Lecce con Michelangelo Zizzi). Con la stessa editrice e nello stesso anno del saggio ha pubblicato Distanze, una collaborazione fotopoetica con Elio Scarciglia. A giugno 2012 ha organizzato “Poesia tra le acque di Polcenigo” che nel contesto della fonte del Gorgazzo (Pordenone) ha visto incontri, discussioni e letture di Gian Mario Villalta, Mary Barbara Tolusso, Sebastiano Gatto, Fabio Franzin, Giacomo Vit, e altri. Nel 2013, col Comune di Maniago, ha allestito una mostra di pittura con opere di Cesco Magnolato (alcuni anni fa vincitore della Biennale di Venezia), Dino Facchinetti, Sergio De Giusti. Sempre nel 2013 ha organizzato il Festival “Il soggiorno dei poeti” ad Arta Terme, nel comune dove Carducci scrisse la poesia “Comune Rustico” con partecipazione di Francesco Tomada, Michele Obit, Guido Cupani, Fabio Franzin, e altri. A settembre 2013 presenta al Circolo della Stampa di Milano “5 libri 5 poeti”, incontro con Amos Mattio, Ottavio Rossani, Sonia Gentili, Giovanna Frene, Mary Barbara Tolusso.

Histoire d’O
.

ты, тихая, сияешь предо мной

 
                                         E poi
è quando più ti manca il fiato
che la ami. Quell’immagine

inconsistente che fa memoria.

             Quella goccia di saliva
-dalla tua bocca alla mia bocca-
che ti manca e che sublimi
col cibo o la Grafenwalder.

Ma che non passa dal cifrario
             delle cose dette e non andate.

 

.

 

È pericoloso dirsi amore,
dirsi il mio corpo è solo tuo.

Perché poi uno ci crede
creandosi un’iconologia dell’altro,
quasi un dizionario dei dettami,
                     delle carezze.

E poi arriva un insetto qualunque
che si appoggia sulla pelle,
                     e non è più tua.

 

.
Dicono la poesia sia grande
            quand’è necessaria,
quando te la chiede il mondo
-in realtà lo dice Guido ma
è come lo dicessero tutti-.

Fa un po’ ridere questa presunzione.

Sopratutto se per scrivere hai
bevuto birra doppio malto e hai
                               pianto tanto,
ma non lo puoi dire.

 

.

                           Sai, potrei dirti che
ho provato un male inimmaginabile
a sentirti andare via.

Che ho pensato anche di morire
nel banale desiderio
                          di farti un po’ del male.

O potrei dirti che sono felice
                         che tu sia felice,
ma sarebbe una bugia.

E allora non ti dico nulla
                        per non sbagliare ancora.
***
Che poi siamo stati fortunati.

Che se t’innamoravi di lui che
avevamo già una casa due auto
un criceto che scappava dalla gabbia
un qualcosa di preso in prestito e
non tornato, qualche figlio
                                     -non credo solo uno-
pensa che guaio sarebbe stato.

Così almeno, non abbiamo fatto soffrire
                                                quel criceto.

 

.

Oggi ho visto un uomo che
                              sembrava felice.

Usciva dal lavoro di corsa
                            col sorriso slanciato.

E mi sono chiesto se anche lui
                           torna a casa in questo modo.

Dove tu lo aspetti, le calze
prese all’Adriatico di Portogruaro
                          e il reggiseno sotto
col brillantino luminoso in mezzo

-tutte cose che abbiamo comprato
insieme, ma non gliel’hai detto-

                                    A volte
siamo così banali nei pensieri.

 

.

Oggi ho voglia di stare male.

Di ricordare i pomeriggi in cui
dicevi “assolutamente oggi non voglio
                                        fare l’amore”,
e si finiva col gioco delle ombre
        -l’uno dentro l’altra-
senza nemmeno accorgersene.

Le cose migliori vanno fatte
                                    parlando d’altro.

 

Ieri ho incontrata una presunta
                                      poetessa,
poi tu mi hai scritto che sei triste
ed era da tanto che non ti sentivo.

E ho pensato a quel mio professore
del Liceo, diceva “Ragazze se il
vostro ragazzo dice che siete più
belle quando piangete state
attente, cerca solo un pretesto per
picchiarvi”.

E allora mi chiedo se anche io
ti ho fatta piangere per averti
                                un po’ più bella.

 

.

“Però le cose cambiano”
mi dici dallo zenith
                              d’un accento
che non mi è possibile tradurre.

E forse hai ragione che
il male ha da venire
per curare ciò che resta
                            delle cose.

                             Ricordo
quella volta di Bordano
-alla Casa delle Farfalle-
tu ridevi della mia paura
degli insetti e non sapevi
che anche una farfalla sa far
                           star male
quando ha le ali troppo grandi.
.

 
Ti racconto la mia malinconia.

È l’entrare in un negozio sapendo
che già ci sarai stata a braccetto
con lui, o mano nella mano, o
in una qualunque altra forma
                                affettuosa
che ti ha legata a un altro uomo.

È l’ascoltare una donna che mi vuole
curare la tristezza con un’ora
           -forse due-
nel letto, quasi madonna dolorosa
                                     in un atto di pietà.

È il ricordare il sorriso del tuo volto
                              sapendo che lui lo bacia.

E questo sapere che ti ho amata
per 3 anni sette mesi e quindici giorni
e qualche movimento della terra
                              intorno al sole.
.

 

Ti racconto la tua dolcezza.
.

È la tua mano che posa la mia mano
                           sul tuo seno
-e nemmeno te ne accorgi, io
provo a scostarmi ma tu
                                       ritorni-.

È il mio toglierti le scarpe interrompendo
                                     i tuoi discorsi

                                -il tempo ci ha in fondo regalato
                                  due paia di ciabatte-.

È il tuo abbraccio che evita le labbra
con dentro agli occhi un’altra cosa.

L’amore è un libro che si chiude
con un ultimo estratto scritto
                                 sulla quarta di copertina.

 
.
Ti racconto cos’è la mia passione.

È un letto che da solo mi è troppo
                                    stretto e corto,
e con te troppo lungo e vasto

                                  ci abbiamo fatto il Kamasutra
intero e anche la seconda edizione,
                                  ricordi?-

È l’averti guardata così a fondo
                                    da farti vergognare.

E l’averti desiderata sulle scale
        mobili d’un supermercato

                                e ti eri girata e mi avevi sorriso-.

Ed era il sentirti dire che sei casa
dove farmi entrare per un bene
                                     solo mio, solo nostro.

.

 

Ciò che resta di noi, dopo di noi.

Una pioggia al di là delle montagne
o un verso come una bocca di leone
                                  sferzata dal vento

-una citazione, un plagio delle cose-.

Qualche memoria dentro i muri
                                 d’una stanza, o in macchina

-il tuo odore tra le strade di Padova
e Udine, e Claut, dicono che
l’elenco dei ricordi sia già
                                una bella poesia-.

E un tremore nelle mani per il troppo
                                 amore provato.

 .

Sono stato al laghetto dopo più
di un anno dalla nostra apocalisse.

             Tutto era come allora.

Gli stessi steli d’erba le stesse
                                         papere
-almeno credo- la stessa polla
d’acqua dove ti regalai la stessa
                                          rosa.

Mancavano solo i nostri baci
                                      lunghi,
il tuo sentirti bella dopo
aver fatto l’amore e il mio
sentirmi l’unico uomo
                                    per te.

Mancavano anche i tuoi occhi
dello stesso colore dell’acqua.

 

Versi dell’esilio

.

Povertà russa

Il cartoccio del latte e le campane.
Gli stracci nella stanza.
La gatta che da fuori la finestra
vuole la colpa
d’essere l’unica a mangiare.
La stufa accesa. Le calze colorate.

 

 
La casa

È un sofismo anche la tenda
arrugginita della doccia.
La fuga delle piastrelle mai pulite
– gli arabi ci contavano gli anni
prima di morire -, la scala
che ogni giorno fa gli indiani
e il battito sottile delle gambe
della vicina che guarda la tv.

 

***

 

Dalla finestra

Le montagne sembrano capelli
sai, quando piove e le scale
delle case sono gelate,
e i lampioni sono accesi,
e gli aliti fumosi.
Potresti pettinarci gli inverni
se solo avessero significato.

 
La lampadina

Puoi anche non essere possibile.
Una macchia, uno spruzzo di caffè
a terra per sbaglio. La perfezione
quotidiana è anche la muffa
di ragnatele sulla doccia. È la
porta che non si chiude a un lato.
È il silenzio della casa, feroce,
la lampadina scoppiata.

 

 
Dio, una mattina

E non trovare una soluzione.
La varecchina in casa per le
formiche, o le piastrelle
-una fuga è sempre una fuga-
le camicie arrotolate per
chiedere a Dio se è Dio,
se è veramente Dio, la mosca,
il tarlo, il laccio della scarpa.

 

 

 

In treno verso Taranto

Dai finestrini sporchi il freddo.
La neve in mezzo ai campi.
Il paesaggio sa di case
e di cose che non tornano.
Sono cose anche le persone
che nel freddo non respirano.

 

 

 

Ferrara

Le travi di freddo e neve
alla stazione di Ferrara.
La troppa chiarità non mostra
nulla, i filari non scandiscono
i binari, Dio non lo puoi
guardare nemmeno di spalle.

 
Senigallia

E così si arriva al mare.
Alle ciminiere alte una maceria.
La ragazza che legge Hemingway
ha negli occhi lo stesso verde
che s’ammuffisce contro i muri.
Pare un tempo che non passa.

 

 

 

Bologna

Un sorriso. Una facile stagione.
La ragazza ha le calze lunghe
e le labbra che sanno d’alcool.
Altri si tengono per mano.
Più in là una svendita d’usato
fa da memoria
da mercato, per cartoline. Una,
forse rumena, legge le carte,
come tutto fosse conoscibile.
***

L’uomo di Arta
.

Mauro

L’uomo di Arta è un uomo
                     pieno di dolore.

Non scrive versi perchè ha
perso un figlio
                    oggi, un anno fa.

E dice di voler spaccare
tutte le panche delle chiese
                   le ha fatte lui stesso – 
                   perchè non è giusto.

L’uomo di Arta siede
con una storia negli occhi.

                       Ha capito cos’è Dio.
***

 
Maria

Quarantacinque anni e mai
                        una vacanza da sola.

Maria parla e parla
                       comincia alle sei di mattina
perchè non c’è tempo da perdere –
e racconta le sue frasi,
i suoi aneddoti, che la dicono.

                      “È destino che sia così,
una donna è sempre una donna”.

                      Il ritorno a casa così triste.
***

 

Anna

Trentacinque anni e una bella
                            frangetta, straniera.

Occhi simili a un metallo.

Vende la sua vita per una
villa, un po’ di compagnia,
                           uno stipendio fisso

per sapere cosa avverrà domani.
***

 
Marina

Sessant’anni e undici chili
da perdere. Una vita
alla ricerca del più alto
                         un’auto borghese, una
                        casa con giardino,
il nome da Signora-.

Perchè la vita sono gli altri
che ti guardano riuscire

        – ora Marina vive sola
con un gatto che non conta,
senza soldi, stirando
solo quei panni sporchi

che non si lavano mai a casa -.

 

***
Giorgio

“Vincerò al lotto e farò i miliardi
perchè chi ha i soldi chi ha
            il barcone
                         ha il rispetto”.

Ora Giorgio sta in una casa
di riposo, senza soldi,
                       pagando abbracci,

i vestiti lavati da una donna
che gli sorride, ogni giorno,

                     anche se balbetta.
***

 
La signora Giulia

Una faccia piena, camminava
quattro chilometri al giorno
tra le auto e le corriere
per incontrare le sue amiche.

                       La sua vita una statale.

Rideva sempre, rideva
anche solo per rispondere
– non sempre capiva tutto
per una brutta caduta in moto
che le aveva portato via il
marito, salvando solo a metà 
                                  la sua vita -.

Quell’incidente l’aveva costretta
                               ad essere felice.

 

***
Maurizio

Sessant’anni e i capelli
lunghi, una vita da portiere
notturno, qualche prostituta
                                    brillante surrogato
                                         d’una moglie –
        e un maggiolone
parcheggiato sotto casa.

                                 nemmeno so se è ancora vivo -.

 

***

 

Bessy e Buio

La cagnetta Bessy ricorda le coccole
avute da cucciola. È chiaro
                                 dagli occhi che le luccicano
quando t’avvicini, dalla coda
che scondinzola e dal muso
che s’irrequietisce di quà e di là
                                incontro al mondo.

Buio, suo figlio, una palla
di pelo anche da adulto
ha conosciuto le medesime
        coccole, le medesime colpe.

Ora Bessy è morta, l’inverno
degli uomini è stato troppo
                                          rigido.

Buio aspetta, è ancora giovane,
                                         resiste fino a primavera.

 

***
Buio

Ed ora anche Buio è morto.

Non ha resistito al caldo, all’estate.

Alle zecche, alla pena, alla
                                            sete.

Alle persiane chiuse, ai giardini.

              Alla voglia di scappare
assieme alla cagnetta sua amica.

Il bene era troppo alto, già 
                                        a luglio.

 

 

***

Enzo

Settant’anni e un embolo
                                      nella gamba.

Tre figli, una moglie
col tumore, qualche nipote.

Una vita nella finanza
con una carriera rispettabile
e un’improvvisa chiamata
                                                al cielo.

E per questo pregare Dio,
pregare sempre, pregare
con un cane e qualche osso

da chiedere al macellaio.

 
***
Alessandro

E cominciare alle sette di mattina
a leggere
per disperazione, e solitudine.

Per colpa delle cose non fatte,
per il gatto che vuole da mangiare.

                                      Per confusione.

Un figlio nel letto che dorme
con accanto uno zainetto
                                      è appena tornato –
                                      pieno d’errori.

Ma la vita è così. È una mattina.

Alessandro Canzian

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