Opere Inedite, Marco Annicchiarico

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

Marco Annicchiarico ha 38 anni e vive a Torino. Mi scrive che legge quasi tutti i giorni il mio blog e che finalmente è riuscito a scrivermi. Marco è appassionato di musica (ha una band e scrive recensioni musicali per riviste online, PopOn, Bravo! e PoetarumSilva) e di letteratura. Si è avvicinato alla poesia  dopo aver letto alcuni sonetti di Federico Garcia Lorca. Marco mi scrive: “Mi sono sempre considerato un ‘poeta di seconda fascia’, non avendo fatto studi classici. Negli anni alcune mie poesie sono state pubblicate in diverse antologie poetiche edite, per lo più, dalla LietoColle Editore. Nel 2009, sempre con la LietoColle, ho pubblicato una raccolta di poesie (intitolata “e poco più lontano“).

Marco lavora saltuariamente ed è alla ricerca di una nuova occupazione. Mi auguro che quando le sue poesie usciranno sul blog abbia colmato il ‘vuoto’ che genera la mancanza di lavoro, con una nuova occupazione. Nei giorni in cui mi ha scritto (a luglio) stava lavorando alla realizzazione di nuovi siti web. Mi ha inviato alcune poesie che, secondo quanto scrive Marco, hanno ‘superato’ la sua personale selezione.
Eccole.

 

———

Incanto

Ogni notte ti conto
le coste, segnando
il limite dei sogni
con le dita.
Distesa
hai il sorriso di chi
è felice del profilo
della sua ombra, il respiro
di chi è già altrove.
E ogni notte racconto
le favole all’interno del tempio
dove il tuo cuore aspetta
che le mani accostino
le tende alle finestre,
luce bassa per nasconderci
voce bassa per affinare il canto.

 
Prima dell’alba

La nonna raccontava storie
seduta intorno al braciere
tra scorze d’arance e bambini svogliati.

Era sempre la stessa storia,
di padre in figlio.

“Il paese, visto dalle ali di un aereo,
diventa un serpente di luci gialle,
un pensare alla rovescia.
Senza le televisioni,
l’uomo si misurava in ettari,
si colorava del verde attorno alla casa,
tra la strada di ghiaia e la polvere”.

Oggi, è dimenticato tutto. Si resta
senza memoria e l’uomo si misura in carati,
al collo, alle dita, altre volte nella bocca.
L’oro è nel masticato, non più nel parlato.
Marradi ora è lontana, come mia nonna.
Senza baciare terra chiuse gli occhi
prima dell’alba, quando una farfalla
sul davanzale posò le ali. E di quella storia,
ancora oggi, non so la fine.

 

 
Nel nome del padre

La chiesa della prima comunione
e fuori gli alberi, a cambiare il colore
tra le ostie sconsacrate
e il vino, per noi versato.
Il prete, sepolto dietro l’ulivo
del convento, ha lasciato le impronte
sull’altare dei miei anni,
mentre il suo Cristo
a denti stretti taceva ogni male.

E’ la chiesa dei Caputi, quella
di quando da bambino
sognavo storie di fantasmi,
scheletri e messe nere.
Era il tempo della mietitura,
delle ristocce accese e di quelle cose
che ancora non sapevo,
quando il mio cristo
pronunciato a denti stretti
nel buio faceva quasi male.

 

 
E la chiamano estate…

Lo sciopero dei quotidiani, il caldo,
gli obiettivi da raggiungere prima
che arrivi la fine del mese, prima,
che la città si svuoti, ormai indolente.

Forse un pensiero che non fosse niente
potrebbe portare un po’ di riparo,
un po’ di aria fresca. Chi in radio canta
l’estate solitaria, è sereno.

Chi manifesta se ne torna a casa
con l’amarezza di chi non conta,
di chi resta inascoltato, senza

vie di uscita. La crisi la vive
e la paga mentre una voce ricorda
che la chiamano estate, questa estate…

 

 

Essere

Essere
una parola
pronunciata male
dalla tua bocca
per essere
ripetuta
prima che arrivi la sera
dei vicoli
e delle luci accese
di finestre schiuse
e rumori lontani.

Essere.

E in una parola
trovare la forma.

 
Settanta

Quella volta che ho camminato per cinque ore
di seguito, sotto il sole, lo zaino sulle spalle,
ho pensato davvero sarei arrivato altrove.

Ho immaginato di tagliare in due la strada,
guardandomi dall’alto prima di entrare in galleria.
C’era l’odore del fieno appena tagliato e quello
dei panini di mia madre, quando le macchine davanti
usavano sillabe diverse e mio padre mi interrogava.

C’era un posto in cui arrivare, dall’altra parte,
tra volti amati e altri sconosciuti. C’era una casa
da ricostruire e un cane a cui dare da mangiare.

C’era anche il tempo, hai detto,
per passarmi a trovare, lasciare un libro sul camino
prima di cena e le scarpe accanto al letto.

E’ che si finisce di amare,
come lo spegnersi di una sigaretta.
E altro non resta che il ricordo e una strada nuova
da camminare, mentre i volti cambiano
e una scritta resta sui muri

“Viva l’Italia, l’Italia liberata”?

 
Sette e quaranta

Uscire dalla città
costa poco,
solo il pedaggio
del risveglio
e qualche pensiero
di seconda mano.

Ai lati, fiori di pesco
e case popolari.
Io per primo,
quando passo,
giro lo sguardo
dalla parte che non aspetta.

Se solo fosse più tardi,
ti chiamerei,
inventando il nome
e insieme
la strada per tornare.

 

 

Terra

Giungere a Itaca
o anche solo al confine,
con la barba degli anni
e le mani segnate.
Sia rosso il sangue e il vino
che ancora manca
da bere a labbra stanche
in attesa di riposo.
Hai visto?
Fuori piove.
E il lampo è un segno,
la stella cometa da seguire
per rientrare nella nostra terra.

 

 

Taplow

Le nuvole grigie di Taplow
sembrano andare più lente verso sera,
forse per via del troppo carico di pioggia
o forse per il poco vento.

Per arrivare a Londra
manca ancora il tempo di pensare
a quanto siamo diventati poco italiani
in tutti questi anni.

Viaggiare da una città all’altra,
per guardare da un ponte,
per conoscere altre culture
e portare via qualcosa.

Come da Berlino. Dentro
c’è rimasto il muro a dividerci,
per metà sempre in viaggio
e per metà già al di là del confine.

 

 

Nero

La scritta viva il duce
accanto al cartello
che comunica l’attivazione
dei centri estivi per bambini
dà il colore
a un muro scrostato di borgata.
Qui, Roma, ha dimenticato l’eterno.
Lungo la strada,
distratti dai discorsi del viaggio,
i tuoi figli, il lavoro e le liberatorie firmate
al primo maggio,
le antenne sui tetti delle case
diventano mani tese,
un salutare che va di moda.
Da San Giovanni a Tiburtina
il ritorno è sempre un viaggio
e la distanza è solo una breccia momentanea
in una città richiusa su sé stessa.

 

 
Fiori viola

Ci sono fiori viola sul balcone,
l’ho notato questa mattina.
Il sole disegna ancora le loro ombre
sulle piastrelle e alcune formiche si fermano sull’orlo,
come se in quel momento fossero arrivate
al limite del mondo.
“Dovresti pulire tutti i giorni il balcone”
mi hanno detto.
“Sì”, ho detto.
Forse dovrei pulire tutti i giorni il balcone.
Ma le formiche non danno fastidio
e nemmeno i fiori che restano a terra.
A dare fastidio sono le ombre,
il riflesso che viene deviato dal vetro.
La chiamano Primavera
e con questa scusa hanno tagliato gli alberi.
Prima, allungando la mano,
potevi accarezzare le foglie.
Ora, quella mano resta sospesa
a tagliare l’aria, con un gesto
che non sa capire.
Dicono che il prossimo anno
saranno di nuovo in fiore,
saranno di nuovo da guardare.
Io intanto lascio chiuso il balcone.
Perché adesso sono riflessi e ombre
che non dicono niente,
come quel gesto.
Pierrot

I pierrot, alla fine, si struccano.
Rimettono i vestiti della festa e tornano in mezzo alla gente.
A volte cercano di passare inosservati.
Altre, vogliono farsi vedere.
Forse dagli occhi di lei o di lui, forse solo da qualche vetrina al centro della città.
Studiano quello che li circonda.
Si nutrono di sorrisi che passano accanto, di parole che ricordano altro nella loro mente.
E’ la vita stessa che prima o poi ci strucca.
A volte con le lacrime, altre con un po’ di serenità.

 

 
Cinquanta lire

Ricordo ancora.
Ogni bottiglia restituita, cinquanta lire.
E un sorriso nel sentire il vetro che andava in pezzi.
Andavo con il cestello verde pieno, in tutto sei bottiglie.
E ricordo i passi che mi separavano dal bar.
Nessun bicchiere, nessun caffè.
Solo un videogioco e un vecchio juke-box.
E ogni cento lire, due canzoni.
Una per me e una per il mio amico lontano.
Tutto durava sempre troppo poco.
Proprio come adesso,
che quelle canzoni non le ascolto più.

 

 

 
Linea 52

I sedili di una volta,
quelli,
ancora reggono
le parole
e i chili di troppo.

Quelli giovani
di oggi,
sono più insofferenti
al peso e all’età.

Generano pensieri
scomodi.

Seguono la moda
che ci vuole
alti e snelli.

Io già son tagliato
fuori,
figuriamoci dentro.

 

 

 

 

Lasciarsi

Sull’albero, senza cuore
disegnai un cielo
incrinato di nuvole, di stelle.

Incisi i nostri nomi
all’interno,
togliendo la corteccia
tutto intorno,
per riconoscere
la nostra promessa da lontano.

Sarai dell’ombra la mano,
quella che disegnerà
pensieri nudi di vento.

Lascerai la firma
al centro di una ragnatela
aspettandone il riflesso
e l’eco di quelle parole
di fantasma:

con amore e per sempre.
————

Auto-bibliografia di Marco Annicchiarico

Marco Annicchiarico nasce in una mangiatoia milanese il 28 maggio 1973, lo stesso giorno in cui La Malfa padre annuncerà il ritiro della fiducia del Pri al Governo. Da quel momento si appassiona alla musica e alla letteratura. Si perdono le sue tracce fino agli anni zero, quando compare in diverse antologie di autori contemporanei con poesie che non gli varranno mai il Premio Nobel.
Partecipa nel 2006 al Laboratorio Verso di Nicola Gardini, incontro che cambierà la sua visione della poesia.
Nel 2007 insieme all’amico Giacomo Rabiti cura e produce un cd tributo a Vinicio Capossela, chiamando diciotto artisti del panorama indipendente italiano, tra cui Bugo, Roberta Carrieri, i Nobraino e Federico Sirianni. Il ricavato sarà devoluto all’Amref mentre i debiti resteranno a carico dei due.
Nel 2009 pubblica “e poco più lontano” (LietoColle).
E’ finalista in diversi concorsi di poesia senza mai vincere, probabilmente per scelta del suo inconscio.
Tre giorni dopo il suo decesso resuscita nella fredda Torino, iniziando a scrivere recensioni musicali e ritornando a suonare.
Sotto la metropolitana.

 

 

 

 

6 pensieri su “Opere Inedite, Marco Annicchiarico

  1. ciao Marco,
    la tua voce poetica mi giunge forte e vibrante.
    Apprezzo molto i tuoi scritti e sono particolarmente affezionata a ” Incanto “.
    Questa poesia, secondo me una delle migliori di Rosso,(ma anche altre tue pubblicate con Lietocolle, come Via
    Bligny )mi suscita un tale sentimento di tenerezza e struggimento che ogni tanto sento il bisogno di rileggerla.
    Buon segno se la poesia di qualcuno fa questo effetto. E dunque un caro saluto, un grande incoraggiamento per il lavoro e continua a regalarci la tua poesia.

    ciao Donatella Nardin

  2. Grazie.
    A Luigia che mi ha ospitato, a Salvatore per il suo commento (e la sua amicizia) e a Donatella per le sue (belle) parole.
    Resto sempre un po’ sorpreso quando leggo di essere riuscito a trasmettere emozioni.

    Se tutto va bene, Donatella, ci vedremo a gennaio a Cavallino Treporti…

  3. caro Marco,
    ti aspettiamo con piacere a Cavallino Treporti e con te tutti gli autori LietoColle de ” Il Segreto delle Fragole 2012″ che vorranno intervenire per un bel pomeriggio di ” poesia insieme”.
    Speriamo che in futuro si possa organizzare anche qui da noi un evento poetico con la gradita partecipazione di Luigia (se vorrà/potrà naturalmente).
    Un caro saluto Donatella

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