Giovanni Nuscis, Transiti

Giovanni Nuscis
a cura di Luigia Sorrentino

«Una poetica ha origine dalla predilezione di alcune scritture rispetto ad altre, capaci di esprimere mondi – con sentimenti, pensieri, visioni e suoni – che ci hanno persuaso, nutrito, gratificato spalancando in noi porte altrimenti chiuse; più chiuse e selettive, spesso, col passare degli anni e col sedimentarsi della nostra esperienza umana e di lettori. I buoni libri ci lasciano un segno, non li dimentichiamo; e siamo talvolta spinti a cogliere il mistero della loro bellezza, del felice impatto su di noi. La nostra poetica risente perciò, in una qualche misura, delle letture fatte: quelle amate e, non di meno, quelle che ci hanno lasciato indifferenti, o critici. Le letture sedimentano valori o il senso dei dis-valori nella scrittura, caratterizzando il nostro giudizio sia sulle nuove letture sia sul nostro modo di scrivere. La letteratura nasce in buona parte da altra letteratura, dal confronto con essa, dal suo superamento; le opere richiamano delle precedenti (intertestualità), se non stilemi e approcci tematici, uno o più valori testuali, come l’essenzialità, la concentrazione, l’originalità e acutezza descrittive, la musicalità, la profondità tematica, la forza visionaria, la ricchezza sintattico-lessicale. Valori che sostanziano, nel loro combinarsi, poetiche spesso assai diverse tra loro, ma comunque dagli esiti rilevanti sul piano espressivo. L’avvincente narratività dei poemi omerici, col loro gigantesco affresco; la scrittura densa e polisemica di Celan e Dickinson; l’intensa liricità di Ungaretti; quella precisissima e affilata di Montale, quella “onesta” di Saba, quella chiara ed elegante di Caproni e Penna, quella di denuncia di Pasolini, di Scotellaro, di D’Elia, etc.

Sconosco la misura dell’influenza delle varie poetiche nella mia scrittura, che immancabilmente varia da testo a testo, ognuno con un suo sviluppo e, da ultimo, una sua identità peculiari. Identità che va intuendosi e formandosi poco a poco, e in cui gioca l’orecchio, l’indugio paziente sulle implicazioni semantiche di ciò che va si formando, verso dopo verso, senza escludere un’attenzione complessiva alla dimensione artigianale e formale. Credo nella centralità della parola, nella sua capacità di addensare significati molteplici e suoni, di rappresentare o evocare mondi fisici e interiori, chiaroscuri di senso e silenzio, visione e assenza. Il lavoro sulla singola parola è dunque fondamentale, assieme a quello sul verso, in una concatenazione armoniosa di musica e senso; valutando innanzitutto la sua necessità, la sua adeguatezza e insostituibilità. Nella parola e per la parola, in poesia, ci si gioca tutto, o quasi.

Le mie poesie nascono da occasioni (nell’urgenza di esprimere in versi un sentimento, un’idea o un’intuizione riguardo a un evento personale, di cronaca, sociale, politico) o da sequenze di suoni che si fanno verso, e poi testo. Il dire, dunque, nel primo caso, la necessità di exprimere qualcosa che vuol essere liberato dal di dentro, ché sembra importante e incontenibile, e che spesso affiora con una forma già definita, seppure non definitiva, in una sintesi di pensiero-visione-suono. Questa modalità compositiva è più diretta e immediata, dando voce a ciò che con più forza preme, per sensibilità o spirito critico; è la poesia che nasce dal quotidiano incedendo a pelo d’acqua, originata da incontri, letture di giornali e di libri, fatti e situazioni personali o collettive; i versi sono in genere più distesi e prosastici, colloquiali, ed entra talvolta l’ironia, la giocosità, ma anche l’indignazione, la presa di posizione di fronte a quelle che ritengo essere delle gravi ingiustizie. Altra poesia nasce invece dalla parola, dalla sua musica combinata con quella di altre parole; nasce nell’abbandono, nella libertà di spaziare nei paesaggi inediti della fantasia seguendo un susseguirsi di visioni, un ritmo, di parola in parola, la melodia che le attraversa. Una modalità di scrittura che s’affida alla parte più oscura e misteriosa di noi, fuori dagli steccati della ragione che interviene solo dopo, in fase di revisione; ciò che ne deriva, rompendo percorsi fono-sintattici convenzionali, ha talvolta una bellezza, una verità e un’originalità inaspettate, rivelando un volto inedito del mondo e di noi stessi, come la buona poesia sa fare: “Da chi sa dove questo vento nuovo,/sbandando sotto il peso di cose senza nome,/porta sul mare quello che noi siamo. ” – R. M. Rilke – Un vento di primavera.»
di Giovanni Nuscis

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Mosche
Pensare cose lievi
con dita basse che tornano
alla longitudine del corpo;
pensare che oltre sarà il fiato
a dire cosa incontra o resiste.
Come una mosca puntare
al chiarore che giunge dai vetri
infilata tra tenda e finestra
in attesa che s’apra,
o d’una pietra
di un becco impazzito
per il volo magari
tardivo di un metro.

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I morti
Esondano i morti
dallo spazio breve della commozione.
Aperte le pareti
sulla pelle una pioggia
o un vento pungente;
un fiume ci attraversa
e conduce senza che ce ne avvediamo
noi macellai nel daffare
tra le carni di un frigo.

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Caldaie
A vent’anni i coetanei
andavano per piazze e discoteche.
Noi si andava invece per caldaie
d’ospedale: io, Luigi,
Giuseppe e Francesco.
Ad accoglierci l’altro Luigi
in tuta da lavoro alle pendici
dei monti in cemento delle cliniche.
Mangiatori di patate e laureandi
tra i chiaroscuri di un ventre
pulsante e reietto,
dai borgorismi di calore sparati
in tubi enormi fino ai caloriferi remoti.
Si ragionava ore di libri e di politica.
C’era qualcosa di kafkiano
ci ripetevamo scherzando
in quel misto di unto, discorsi
cambi di turno.
In un mondo più umano si sperava
già allora con poche illusioni.
Mi segno mentalmente
ogni volta che passo davanti
a quella chiesa dismessa
senza ministranti e fedeli
di una qualunque fede.

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Specchio
Ti scopri in uno specchio
lontano come dalla luna.
Un brivido quegli occhi che s’incrociano
dalle tribune precarie di due corpi:
una più dell’altra.
Un corpo tracciato da solchi
dove la vita s’imbotra
e scoppia il cuore,
bengala nella notte;
l’altro senza tempo
che si ribella, guarda severo
s’allontana.
Sapersi piccoli
in un dissidio così grande
in un amore-odio così antico
e così inedito che si rianima
l’istante in cui il nemico
ricompare in quello sguardo
al suo bersaglio.

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Fuori mano
La mano che segna nomi, simboli, croci
non vede dal bianco della carta
le membra tenere d’inchiostro
affiorare e comporsi
prendere il largo, dal foglio.
Non c’è mano che possa più fermare
quella mano
quei piedi svelti che camminano
gitani dove non sappiamo.

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Matrioske
Vi tengo tutti dentro
con amore e rispetto voi
che col mio nome
vi siete divisi il mio sangue
il mio tempo.
Vecchi ormai vi incrocio,
e ad ascoltarvi mi fermo curioso
e commosso dai racconti che mi fate
di voi di me dell’estraneo che divento
poco a poco.

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Calla
Nei condomini in silenzio
la domenica, coi gatti pure loro fuggiti
tu nell’ombra del cortile
sei la calla tra i fondi di caffè
e il borbottio dei vecchi rimasti.
Il giallo del tuo cuore
è la tosse del vicino che ti espelle;
dal buio dietro le persiane
i suoi occhi ti rotolano dentro
quando passi serbando le parole
oscure della tua gioia dolente.
Voli col tuo sogno di polline
e il corpo niveo resta immobile
ad accogliere la cesoia dall’alto.
Prima della morte in un vaso
una farfalla si posa
e ti si annuncia come un angelo.
Penso a Fernanda
a l’ombra di quel re
che mai nessuno ha visto,
e penso a te lontana
gemere tra dita affilate.

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Salto di rana
Vedo dai tuoi occhi
il mio salto di rana sugli anni
la pace possibile imparando
a sostare e a ritrovarmi
senza morire o fuggire
in questa danza blanda o sfrenata
dove nulla resta uguale a sé stesso.
Vedo dai tuoi occhi
la luce smorzante di quell’Uno
stagliarsi netta
finalmente intorno a noi.

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Leader
L’auto lo portava sotto il palco.
Molte le braccia intorno
setole di scopa a mondargli
umore e coscienza.
Sui bordi della piazza
nei volti smagriti degli astanti
il piacere di predirgli una fine
non diversa dagli altri.
Ad ogni parola del comizio
sulle serrande dei negozi
l’avviso di un lutto
una malattia
un inventario in corso.
Molte parole e poche azioni
incomprensibili. E ancora parole
come coriandoli di terra
che ci seppelliranno.

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Briciole
Non ho imparato dalla neve.
Cado, mi perdo
nel pozzo buio dell’attimo,
senza dissolvermi.
Vedere con saio di corteccia
addormentarsi i rami.
Non fughe dalla radice
le primavere che passano
senza arrivare, d’estate
le foglie tossiscono il fumo
di un corpo mai nato.
Fame siamo
e briciole che restano del pasto.

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Nettare
Gli aghi del maestrale
sul viso smunto dell’inverno.
Le anime magre dei ghiacci
colano sulla terra.
Occhi si spalancano
come voli di cavallette.
Corolle secche cadendo
serbano una punta di nettare
come seme tardivo
come resina
da un tronco ferito.

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Transiti
Quindici rami dove
cantavano molti uccelli
dalle mete imprevedibili.
Spara il destino un solo
colpo di bombarda
che schianta l’albero
spegnendone le voci.
Ci resta una tua foto
e un tuo disegno
pubblicati sul giornale
l’intera classe e la prof
di spalle. Tu, larga ora nel verde
abbracci intero il bosco
che non muore e si rigenera
senza te che aliti invisibile
nutrendo nuove gemme.

(23 marzo 2010 – A Silvia, nel giorno del suo transito)

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Padri
Oltre questi monti
dai valichi erosi dai passi
ali d’aquila sono
le bianche camicie dei padri
sospese nell’aria;
alte e inarrivabili persino
da queste cime pietrose;
e impennano gli sguardi
cercando la ragione del salire
della molta fatica richiesta,
dello sgranarsi della fila,
noi nel mezzo non vedendo
se non il bianco sopra
lieve e distante.

di Giovanni Nuscis, ‘Transiti’, in Quaderno di Poien a cura di Gianmario Lucini, (Puntoacapo Editrice)

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Giovanni Nuscis
è nato ad Ancona nel 1958 e vive attualmente a Sassari. Laureato in giurisprudenza, si occupa attualmente di formazione.
Ha pubblicato i libri di poesia Il tempo invisibile (Book Editore, Castelmaggiore, 2003 – Premio Nazionale di poesia “Alessandro Contini Bonacossi” ed. 2003, opera prima), In terza persona (Manni, Lecce, 2006) e La parola data (L’arcolaio, di Gianfranco Fabbri, Forlì, 2009).
Fa parte della redazione del blog collettivo “La Poesia e lo spirito”
www.lapoesiaelospirito.wordpress.com
Gestisce un blog, “Transito senza catene” www.giovanninuscis.splinder.com dedicato alla poesia, alla letteratura e all’attualità.

5 pensieri su “Giovanni Nuscis, Transiti

  1. Una poesia così ben motivata, rigorosa, coerente; immagini limpide ma dense di significato e di segni (‘le bianche camicie dei padri/ sospese nell’aria’, ‘Fame siamo/ e briciole che restano del pasto’, ‘Vedo dai tuoi occhi/ il mio salto di rana sugli anni’, ‘Prima della morte /in un vaso una farfalla si posa/ e ti si annuncia come un angelo’). Una scrittura poetica, quella di Giovanni Nuscis, che si impone ormai come parametro per verificare coerenza e qualità d’altre scritture….

    Un saluto cordiale
    Antonio

  2. Una poesia meditata riflessiva stratificata, con una linea argomentativa serrata ma anche ricca di accensioni per illuminazioni dello sguardo e inventività linguistiche e sintattiche. Chiarificatore e coerente il testo di poetica. Grazie.

  3. Ho apprezzato molto le considerazioni e le riflessioni fatte da Giovanni Nuscis e anche la sua produzione poetica che già avevo avuto il piacere di conoscere e leggere.
    Come lui stesso afferma, la singola parola in poesia è tutto…E nelle sue poesie si può constatare l’importanza e lo spessore che l’autore dà alla parola poetica attribuendogli il giusto significato evocativo. Le poesie qui riportate sono davvero molto belle, dense, asciutte e nella loro essenzialità esprimono tutta la forza e la tensione sia lirica che umana. Ci sono versi che esprimono perfettamente l’antagonismo con il tempo, la morte, o con la necessarietà degli eventi che la vita impone (“Esondano i morti/ dallo spazio breve della commozione”; “Cado, mi perdo/ nel pozzo buio dell’attimo,/ senza dissolvermi..”) . E ci sono poesie come “Briciole”, “Mosche”, “Salto di rana” dove il movimento e la verticalità dei versi conducono il lettore ad andare oltre i versi stessi, a guardare più in là, a cercare un significato esistenziale e ontologico magari recondito o misterioso.
    Monica

  4. Grazie a Luigia per l’ospitalità, e ad Antonio e a Giorgio per le parole di apprezzamento.
    Un caro saluto a tutti.
    Giovanni

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